“Tutto apposto”: il calcio all’ombra del mostro ILVA

“Tutto apposto”: il calcio all’ombra del mostro ILVA

Giugno 8, 2020 1 Di Luca Sisto

Per la nostra rubrica fictional, una storia con nomi di fantasia che trae ispirazione da fatti reali, tramandati e raccontati all’ombra del mostro ILVA. Lo scenario potete sceglierlo voi, Taranto o Bagnoli fa poca differenza. Chiunque abbia vissuto in quella città o in quel quartiere può capire. Perché Salvatore Serio siamo tutti noi.

 

Mi chiamo Salvatore Serio e sono nato il 12 dicembre 1981. Mio padre ha lavorato nell’industria siderurgica della nostra città, l’ILVA, per 30 anni. Si occupava della gestione degli impianti elettrici. Col tempo è diventato una figura di spicco del cantiere, ma non portava mai il lavoro a casa, nonostante l’azienda attraversasse periodicamente crisi più o meno rilevanti, e a farne le spese erano sempre gli operai, che il pane in qualche modo lo dovevano portare a casa. Se lo vedevo cupo, scuro in volto, gli chiedevo “papà è successo qualcosa? Qualcuno ti ha fatto arrabbiare?” – E lui, sempre “No Salvato’, è tutto apposto”.

Eppure anni dopo, una volta in pensione, nel 1997, ero grande abbastanza per chiedergli di tutte le lotte sindacali che aveva portato avanti o a cui aveva partecipato. Di tutte le volte che quel “è tutto apposto” voleva dire ben altro. Tra un bicchiere e l’altro si lasciava andare un poco in più, con me che a scuola ci andavo solo per fare filone, meglio se per giocare a pallone. Così qualcuno di quegli “è tutto apposto” diventò: “sai, una volta, ricordo bene, stavamo realizzando un impianto, un collega si è distratto ed è rimasto fulminato. A casa una moglie e due figli che non lo rividero più. Un altro si arrampicò senza protezioni. Fece un volo talmente lungo che svenne prima di schiantarsi al suolo. Chissà come deve essere morire dimenticandoti di averne paura, anche solo per un istante”.

E poi “almeno una volta ogni due tre mesi, succedeva questo, poi quello, poi i licenziamenti, le cose non sempre andavano bene. Ma poi tornavo a casa e c’eravate tu e mamma. Com’era bella mamma, ti ricordi?”

“Sì papà, mi ricordo”.

“Senti, allora col pallone come va, quando giochi in prima squadra…” – “Papà ma se del calcio non te n’è mai fregato nulla…” – “Sì è vero, ma la scuola l’hai lasciata ed è già assai che ti parlo ancora per questo. Se ti vedesse tua mamma! Un amico mi ha detto che sai giocare bene, hai talento. Io qualche volta sono venuto al campo, di nascosto da tua madre. Poi però, un giorno, che potevi tenere, 10 o 11 anni, tirasti un rigore fuori. Gli altri genitori ti presero a parole, tua mamma chiamata in causa con modi vigliacchi. Ma lei era forte, ci litigò. Io non potevo appiccicarmi con nessuno di quegli imbecilli, li avrei presi a bastonate se no. Loro non sanno che cosa sono le cose serie. Io lo so perchè lo sono, serio, di nome e di fatto”.

Papà se n’è andato prima che potessi esordire. Quel giorno del 1999, a 18 anni nemmeno compiuti, la curva nord era piena. Arrivava la prima in classifica. Giocai titolare, neanche male, con la 10 sulle spalle. Perdemmo 2-0.

Nessuno mi toglie dalla testa che il Mister mi mise in campo perchè la partita era mezza venduta. Li vedevo che parlottavano in mezzo al campo, che si facevano cenni fra loro. Nel calcio ogni tanto va così, che vuoi farci.

Piano piano mi sono fatto valere, giocavo più spesso, guadagnavo benino, a nero ovviamente. Feci un gol su punizione per vincere la partita e conquistare la salvezza. Nei bar del paese se ne parla ancora, che tiro!

Nel 2006 ho cominciato ad avere problemi alle ginocchia. Prima il menisco, poi il crociato. Una gamba, poi l’altra. Due anni dopo già non servivo più. La C non l’ho vista più. Al che ho lasciato, non si vive di dilettantismo a vita, pur con le buste fuori mano. C’era Adriana che si voleva sposare.

Una sera le dissi “Adria’ non abbiamo un soldo”. E lei “Salvato’ sono incinta”. Che potevo mai fare. Uno che conosceva papà mise una buona parola col bar sotto casa. “Magari gli fate fare le consegne, il caffè poi si impara”.

Nel 2018 quel bar l’ho comprato, col lavoro e coi risparmi. Anna cresce. Ora comincia le medie. Fuori al balcone di casa tocca spazzare e pulire bene. Ogni tanto lei gioca per prendere un po’ d’aria, ma sta polvere marrone, sembra sabbia, si posa sui pavimenti, entra nelle case. Io non so se è un caso. Ma qui se ne sentono spesso. Poche sono le famiglie che non vengono toccate. E noi lo sappiamo bene. Una settimana fa, stavo al bar. Mi sentivo un po’ di febbre. Vado in bagno, la pipì era rosso sangue.

Adriana mi dice “non mi piace andiamo in ospedale” – “Adrià non ti preoccupare, è tutto apposto”.

Mi chiamo Salvatore Serio. Presto, non sarò più. 

 

Per le ultime sentenze sul caso ILVA di Taranto, potete approfondire a questo link.

Per saperne di più su Bagnoli, l’ILVA o Italsider, Bagnoli Futura e affini, vi consigliamo di leggere qui.