La famiglia Amiri oggi è perfettamente integrata nel tessuto sociale tedesco, ma per fuggire dall’Afghanistan è passata attraverso l’inferno.
La stucchevole ripetitività dei TG viene spezzata solo raramente da notizie diverse dai quotidiani aggiornamenti sul coronavirus. E, quando ciò accade, in linea di massima non si tratta di news leggere.
Notiziario del 14 maggio 2020: all’ospedale pediatrico Ataturk di Kabul, tre uomini (lato sensu) armati fanno strage di madri (partorienti o neo mamme), bambini e infermieri. Muiono 24 persone.
L’attentato è di probabile matrice jihadista ma non ha ancora ricevuto rivendicazione dalle frange armate della zona legate a ISIS e Al Qaeda. È possibile che tutto ciò abbia a che fare con i colloqui di pace fra americani, governo e ribelli taliban.
Gli Stati Uniti e i loro alleati conducono dall’ottobre 2001, direttamente o per procura, una guerra infinita, il cui teatro inespugnabile sono le città fra le impervie montagne dell’Af-Pak. Solo ora si sta finalmente parlando di ritiro delle truppe, dati gli investimenti necessari in politica ed economia interna agli USA per il contrasto alla pandemia.
L’Afghanistan è sotto assedio dall’interno e dall’esterno dal 1979. Quando i carrarmati sovietici attraversarono i confini, Mosca non sapeva che l’Afghanistan sarebbe stato il suo Vietnam.
Non sapeva che sette anni più tardi, lo scoppio del reattore di Chernobyl avrebbe procurato una strage e inquinato, con il continente eurasiatico, la sua reputazione internazionale.
Non sapeva che avrebbe perso la Guerra Fredda per implosione dello Stato e del sistema comunista.
Neppure la fine del blocco sovietico riuscì però a liberare l’Afghanistan dai suoi demoni.
Tra le diverse ondate migratorie che hanno coinvolto il Paese, la più pesante resta quella post ’79. Negli anni Ottanta, la famiglia Amiri riesce a scappare in Germania dove ottiene lo status di rifugiato. Gli Amiri si arrangiano fra lavori umili e frequenti cambi di dimora nella periferia dell’allora Repubblica Federale Tedesca, o Germania Ovest, a Ludwigshafen am Rhein, Renania. Oggi, possiedono un autonoleggio e sono perfettamente integrati.
Nel
1996 nasce
Nadiem Amiri, che potrà godere del migliorato tenore di vita dei propri genitori, per cominciare la sua carriera calcistica. Dopo essersi messo in luce nell’
Hoffenheim, si è guadagnato l’
under 21 tedesca, con cui ha vinto gli Europei di categoria nel 2017, ed è passato da poco al
Bayer Leverkusen.
A 24 anni è considerato uno dei migliori talenti della super competitiva Bundesliga. Amiri non ha dimenticato le sue origini ed è coinvolto in numerosi progetti di assistenza ai rifugiati nel suo Paese.
Ma non è per lui che abbiamo scritto questa storia. Nadiem ha dimostrato sufficienti skills per guadagnarsi tre gettoni nella nazionale maggiore, ma qualcun altro ha potuto godere delle possibilità offerte dal cuore della famiglia Amiri.
Se il fratello Nauwid, classe ’91, è anch’egli calciatore nelle serie minori tedesche, sono i cugini ad aver contribuito alla causa calcistica afghana.
Più grande di Nadiem di 6 anni, il cugino Zubayr (foto copertina, dal suo profilo FB) è nato a Kabul, ma grazie ai buoni uffici degli zii ha potuto formarsi calcisticamente in Germania, con un passaggio anche all’Eintracht II. Attualmente gioca in quinta serie tedesca, nella Hessenliga, nell’SC Hessen Dreieich.
Da centrocampista offensivo ambidestro, vanta 20 presenze e 3 gol con i Leoni del Khorasan.
Ancor più importante, da primatista con 53 presenze, è il contribuito del difensore del Kerala, campionato indiano, Zohib Islam Amiri, fratello di Zubayr che ha scelto altresì di non restare in Germania, per adesso.
Attualmente l’Afghanistan occupa la posizione n°149 nel ranking FIFA, ma il progetto tecnico, che nel 2014 li ha portati a vincere L’AFC Challenge Cup, ha ricevuto numerosi riconoscimenti dai vertici della Federazione Asiatica e coinvolge più di 60.000 aspiranti calciatori in tutto il Paese.
Sembrano lontani, calcisticamente, i tempi in cui, nel 2004, durante una tournée in Italia, a Verona, 9 giocatori della nazionale lasciarono il ritiro e partirono per la Germania in cerca di asilo politico.
Ma la ripresa del Paese non può prescindere dal consolidamento del processo di pace attualmente in corso e dal contrasto ai movimenti jihadisti, a cui gli americani non sembrano più prestare particolare attenzione nella loro rinnovata politica estera semi-isolazionista.