Alex Zanardi, il messaggero di dio
Giugno 20, 2020Come Alex Zanardi dopo l’incidente, l’ennesimo, è passato dalla dimensione umana a quella divina. Un uomo, un’icona moderna, un esempio.
La sera di martedì 11 settembre 2001, dopo un intero pomeriggio incollati alla TV, con gli occhi increduli di chi vive la storia che cambia in diretta, la Roma tornò in Champions League, contro il Real Madrid, davanti ai 70mila dell’Olimpico. Come diranno Montella e Franco Sensi, quella partita andava probabilmente rinviata per ragioni di sensibilità e sicurezza, ma la UEFA optò per questa soluzione solo per le gare del giorno successivo.
Sui media mondiali non si parla d’altro. L’11 settembre segna un prima e un dopo nella percezione del diverso, dello straniero, della sicurezza nazionale dei paesi occidentali. Inizia la tanto mediatizzata controffensiva su scala globale della war on terror, in risposta ai più cruenti attentati mai registrati sul suolo americano. Chiunque ricorda esattamente cosa stava facendo quando i notiziari cominciarono a mostrare le prime immagini degli aerei che si abbattono sulle twin towers. Personalmente, con la scuola ancora non iniziata, avevo da poco finito di pranzare e mi stavo rilassando con una sessione di gaming alla play, Formula1 2001.
Quella settimana, però, segna un prima e un dopo anche nella percezione dell’esistenza terrena di un esperto pilota italiano, poco considerato dal circus della Formula1 degli anni novanta, durante i quali, quelli della mia età lo ricorderanno, collezionò brevi trascorsi con Jordan, Lotus, Minardi e Williams senza mai lasciare il segno.
Sabato 15 settembre, sul circuito del Lausitzring in Germania, il driver di Formula CART Alex Zanardi esce dai box dopo un rifornimento dovuto ad un errore di calcolo, ancora in testa, verso la fine della corsa. La sua monoposto, a causa di un errore o di una macchia d’olio rimasta sulla pista, va in testacoda, venendo centrata in pieno dalla vettura di Alex Tagliani. Nel terribile impatto Zanardi perde le gambe, ma all’ospedale di Berlino riescono a salvargli la vita.
Per Zanardi non era stato quello il primo incontro ravvicinato con la morte. La sorella maggiore era deceduta in un incidente stradale. Egli stesso, col suo stile di guida spesso aggressivo e criticato dai colleghi, aveva rischiato più volte di perdere la vita.
Mi sono sempre chiesto quale fosse la soglia di adrenalina di un pilota di auto da corsa. Mi vengono in mente pochi parametri di comparazione. Parliamo di un’attitudine completamente fuori dall’ordinario. Cosa spingeva Michael Schumacher a provare nuovi sport pur di sentirsi vivo. Cosa spinge Alex Free Solo Honnold a tentare scalate oltre i limiti delle possibilità umane. Perché Patrick de Gayardon si sentiva vivo solo lanciandosi nel vuoto. Per noi comuni mortali, che ci facciamo venire il batticuore per una giostra a Gardaland, comprendere tutto ciò è complesso.
Zanardi come lui stesso si riconosceva, muore di fatto quel 15 settembre, rinascendo sotto forma di mito. La sua capacità di ironizzare sulla menomazione. La forza di volontà che l’ha spinto a intraprendere nuove discipline, come la handbike con la quale ha fatto incetta di medaglie a mondiali e paralimpiadi. Quella sua pacata simpatia, quel sorriso inconfondibile e la voce calda.
Non lo conoscevamo così.
Quel 15 settembre, Alex è stato scelto da dio come suo messaggero, per spiegare agli esseri umani il valore della vita. Ciò che Orazio, in una tanto fortunata quanto abusata espressione, identificava con carpe diem, ovvero la capacità di far tesoro di ogni singolo attimo dell’esistenza umana.
Zanardi non può morire due volte. Quello che abbiamo visto negli ultimi 19 anni, è l’ennesima manifestazione del divino agli uomini. E di questo, qualunque momento sceglierà dio per richiamarlo a sè, possiamo solo essere grati.