Black lives matter: anche i calciatori esultano inginocchiandosi
Giugno 21, 2020In un fortunato quanto controverso lavoro del 1996, The Clash of Civilizations and the Remaking of the World Order (Lo scontro di civiltà e il nuovo ordine mondiale), il politologo statunitense Samuel Huntington immaginava che, dopo la fine dell’epoca dei blocchi contrapposti, le nuove sfide e i nuovi conflitti del 21esimo secolo sarebbero stati generati dal confronto violento fra identità culturali, etniche e religiose.
Huntington ha avuto una grande influenza sulle scienze politiche, ma paradossalmente ha scritto di meglio. L’ala destra della politologia internazionale però, ha promosso questo volume ben oltre i suoi meriti scientifici, rendendolo l’unico motivo per cui il fu Samuel è noto al grande pubblico.
Come una profezia che si autoavvera, stiamo assistendo in questi giorni all’ennesimo revival di concetti ideologicamente superati, ma de facto ancora insistenti e persistenti a causa di secoli di dominanza politica e culturale bianca.
“With or against us” era il motto di George W. Bush alla vigilia dell’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq, due delle principali conseguenze dell’11 settembre.
“With or against us”, è lo slogan nemmeno troppo velato dei movimenti Black Lives Matter. Il sostegno e la solidarietà anche di chi non è afroamericano (parliamo del 12% della popolazione statunitense totale; per dire, gli ispanici rappresentano il 18%: vi aspettavate di più vero?), proviene da questa centenaria dominanza bianca verso una popolazione ridotta in schiavitù, segregata, sottomessa, ghettizzata.
Ma la rivoluzione non può essere pacifica. Di per sè, la rivoluzione è un atto violento, col fine definito di rovesciare l’ordine costituito, l’establishment.
Spero che, ad ogni esultanza inginocchiata, i calciatori si rendano conto di quale sfida attenda il mondo post-lockdown (e non post-covid, come qualcuno ha scritto, visto che la pandemia è ancora terribilmente in atto).
di Luca Sisto