Juventus Napoli sfida scudetto: un’occasione irripetibile

Juventus Napoli sfida scudetto: un’occasione irripetibile

Giugno 22, 2020 1 Di Alessandro Amodio

Racconto del viaggio da Napoli a Torino di quattro amici per seguire Juventus Napoli, quattro ragazzi disposti a tutto per assistere dal vivo a quell’incontro.

I protagonisti

Quella 127 verde bottiglia per Don Carlo Russo costituiva una rivalsa personale. Aveva vissuto prima la guerra, come giovane soldato di leva, poi la fame come venditore ambulante. Le difficoltà erano parte della sua vita. Orfano di madre e con un padre disoccupato, finalmente poteva raccogliere i frutti di anni di duro lavoro. Da semplice venditore di corallo era diventato un rispettabile venditore di stampe napoletane antiche, ma non aveva mai perso la sua indole parsimoniosa.

“Pasqua’ qua stanno le chiavi a papà, mi raccomando vai a mettere la macchina nel garage di Ernesto che domani sera poi la carichiamo per il mercato di sabato nella villa comunale”.

Pasquale avrebbe fatto ciò che suo padre gli aveva chiesto, ma erano ancora le 18. C’era tempo per farsi un giro al bar di Via Foria per incontrare gli amici.

“Viciè tutto bene?”

“Ué Pasqua’ buonasera, ma è tua questa macchina? Bella. Mi fa veramente piacere…”

Vincenzo Perillo era un amico di vecchia data di Pasquale. Si conoscevano dai tempi delle scuole elementari, quando litigarono su chi dovesse tirare quel calcio di rigore, durante una delle tante partitelle giocate nel cortile. Da quella scazzottata scugnizza diventarono inseparabili e spesso trascorrevano i pomeriggi fuori al Bar insieme al loro gruppo di amici.

Poco dopo arrivarono i fratelli Di Gennaro, che lavoravano come garzoni nella salumeria di famiglia.

Ciro, il più piccolo dei due, esordì:

“Uagliu Bonaser avete visto?! Il Club Napoli “Rione Sanità” ha organizzato quattro pullmàn per la partita di domenica, Juventus Napoli sfida scudetto, sono già finiti tutti i posti! Che peccato – sogghignò – sarebbe stato bello andarci pure noi”.

A quel punto Enzo colse la palla al balzo e lanciò l’idea che gli era balenata nella testa, collegando ciò che aveva appena visto e sentito: “E se ci organizzassimo da soli per andare a vedere la partita a Torino?”

“Ehhh e come facciamo quello il furgone che usiamo per fare le consegne al massimo arriva a Caserta, Torino so’ 1000 km solo andata…”

“Embè nun sai niente!? Pasquale tiene una Fiat 127 imballata arriviamo in un’ora a Torino altro che Caserta!!!”

“Uagliu non scherziamo proprio! La macchina serve a papà per i mercati, chill’ m’accir!”

Subito Pasquale troncò ogni velleità, ma Peppe, il maggiore dei fratelli Di Gennaro, incurante dell’obiezione, incalzò:

“Sarebbe una buona idea. Noi inoltre abbiamo uno zio a Cuneo, so dieci anni che è partito, dice sempre che non lo andiamo a trovare…sicuro ci ospita! Ha una nostalgia di Napoli che non vi dico proprio…Pasqua’, tuo padre capirà. Domenica al Comunale ci giochiamo lo Scudetto, non sappiamo quando ci ricapiterà più un’occasione del genere, non possiamo mancare.”

Quelle parole fecero breccia nella testa di Pasquale, un brivido di nervi lo scosse dai lunghi capelli ricci e neri fino alla punta dei piedi. La passione per il Napoli gliel’aveva trasmessa suo nonno quando, ogni lunedì, con 50 lire gli chiedeva di comprargli il giornale “SportSud”. Con il resto poi, ci campava tutta la settimana. Sin da bambino sognava un Napoli campione. Nondimeno, dall’altra parte della barricata c’era quello che era stato il suo idolo da ragazzino, Josè Altafini, prima che lasciasse la maglia azzurra per vestire quella degli odiati bianconeri.

Vincere quella partita non era solamente una vittoria sportiva, era anche dare una lezione a se stesso e a quel ragazzino così ingenuo, che dieci anni prima andava pazzo per quello che poi si sarebbe rivelato un “traditore”.

Oggi no. Oggi Pasquale avrebbe fiutato da subito il pacco, adesso era cresciuto non era più un ragazzino, era un uomo.

Il soggiorno a Cuneo

Due ore dopo erano già sull’autostrada del Sole in direzione Torino a bordo della Fiat 127 targata NA L27109. A Don Carlo, Pasquale non aveva detto nulla, aveva deciso di fare tutto di nascosto e provare a spiegarsi una volta tornato a Napoli. Magari con una vittoria.

Sapeva che non l’avrebbe passata liscia ma non aveva avuto il coraggio di dire no ai suoi amici così entusiasti e a se stesso, desideroso di andarsi a prendere la rivincita personale con Altafini.

Le 100.000 Lire di budget per la trasferta erano state racimolate chiedendo un prestito a Donna Filomena, la proprietaria del locale dove si trovava il Coloniali della Famiglia Di Gennaro.

Arrivarono a Spinetta, frazione a vocazione agricola, ad est della cittadina piemontese verso le ore 9.00.

“Uagliù che piacere rivedervi quant’ann ca so passati! L’ultima volta che so stato a Napoli era il ‘70. Avete fatto bene a chiamarmi ieri sera, io e mia moglie Angela vi stavamo aspettando”.

L’abitazione di Salvatore Di Gennaro era una piccola masseria agricola che si trovava in via Fratelli Castellino. Viveva da solo con la moglie, il figlio studiava ingegneria al Politecnico di Torino.

Appena entrarono in casa sul grande tavolo di legno della cucina, vi erano del pane e dei salumi affettati, preparati con tanto amore dalla giunonica signora Angela. I quattro ragazzi, nonostante fossero stanchi per il viaggio notturno, si fiondarono immediatamente sul cibo. L’accoglienza data da Salvatore Di Gennaro fu molto calorosa e subito fece sentire i ragazzi a proprio agio. Si era trasferito a Cuneo in cerca di fortuna e dopo i primi anni difficili aveva raggiunto un discreto livello di benessere, ma la vita calorosa e passionale di Napoli gli mancava molto e la presenza di quei ragazzi gli alleviò il malumore.

La partita del Comunale si sarebbe giocata due giorni dopo. Sfruttarono quei giorni per concedersi una mini-vacanza prima di partire al “fronte” per la battaglia di Torino.

L’attesa della partita sembrava essere svanita. Raramente ci furono discussioni intorno al calcio, i racconti del dopo cena vertevano sui più disparati argomenti, vi era un clima vacanziero in casa. Sabato a cena, fra un bicchiere di vino e l’altro, gli sguardi che Vincenzo scambiava con donna Angela erano sempre più insistenti, a tal punto da non poter passare inosservati né agli altri né al marito. Don Salvatore scelse di far finta di nulla, in fondo quei ragazzi avevano portato aria di freschezza nella sua casa e magari qualche sguardo in più alla sua procace moglie era il prezzo da pagare. Era un tipo ragionevole, in fondo.

Domenica la sveglia suonò alle 8 in punto. Pasquale era già sveglio ma preferì non alzarsi ancora. La tensione per il match era salita alle stelle, mancavano poche ore al fischio d’inizio. Quella partita rappresentava molto per lui e ripensava anche a quando sarebbe rientrato a casa e avrebbe dovuto raccontare tutto ai genitori, soprattutto a suo padre, che non era un amante del calcio, “una perdita di tempo per chi non ha nulla da fare”. In caso di vittoria del Napoli, con l’entusiasmo di una città intera, Don Carlo avrebbe potuto chiudere un occhio. Queste erano le speranze di Pasquale.

Il giorno della partita Juventus Napoli

“Pasquà alzati che da qui a Torino ci vogliono due ore. Dobbiamo fare presto che il bagarino ci aspetta all’una nei pressi dello stadio. Non siamo venuti fino a qui per restare senza biglietto”.

I pensieri di Pasquale furono interrotti dalle parole del maggiore dei fratelli Di Gennaro.

Erano le 10 quando lasciarono Spinetta. Don Salvatore e la moglie avevano preparato delle colazioni al sacco per i ragazzi che avrebbero mangiato nel viaggio di ritorno verso Napoli.

L’uomo che li aspettava era sulla quarantina, aveva un volto truce, le labbra erano coperte da folti baffi neri leggermente ingialliti dal fumo.

“Finalmente siete arrivati sto qui ad aspettare voi da un quarto d’ora…altri cinque minuti e sarei andato via. Siete stati fortunati che ho piazzato tutti i biglietti che avevo, altrimenti non avrei avuto tempo da perdere. Vabbuò, avit purtat ‘e sord!?”.

“Certo, altrimenti che venevem’ a fa? Ancora non ci hai detto quanto vuoi per i biglietti, al botteghino costavano 5.000 Lire…” rispose Enzo con tono fermo e deciso per non mostrare timore nei confronti dell’atteggiamento minaccioso e spavaldo del bagarino.

“Quattro biglietti ve li faccio a 40.000 perché l’amico che abbiamo in comune è uno che rispetto!”

“40.000 Lire. Il doppio! E vuij nun facit o bagarin, facit ‘o cravattar! Vi possiamo dare 30.000 perché aropp’ nun tenimm e’ sord pe turnà a Napule”.

Pasquale innervosito e preoccupato avviò la trattativa al ribasso, ci teneva più di tutti ad assistere alla partita ma soprattutto a rientrare a casa senza peripezie.

“Allor facit ‘na cos, avviatevi mo’ a Napoli così viaggiate col sole e non beccate neanche traffico. Ma tu vir si aggia perdere tiemp cu sti 4 uagliunciell!!!”

“Enzù nu bagarin chiu chiavec e chist nun o putevm’ truva’. Menomale che ci trattava perché è amico di tuo cugino…”

I toni della discussione diventarono sempre più accesi. Enzo cercava di calmare Pasquale ma allo stesso tempo non voleva inimicarsi il bagarino, pur consapevole che la richiesta avanzata era eccessiva.

Ciro, il più giovane ed esuberante del gruppo era d’accordo con la posizione presa da Pasquale, non avrebbe avuto problemi a questionare in altri modi con quell’uomo arrogante e prepotente. Tuttavia quando era col fratello, molto più pacato di lui, cercava di tenere a freno i suoi istinti primordiali.

Peppe Di  Gennaro era un ragazzo molto saggio e taciturno. Non gli piaceva parlare molto, preferiva analizzare le cose prima di esprimere il suo pensiero e qualora non avesse avuto un’idea chiara, sarebbe rimasto in silenzio. Prima che la discussione degenerasse ulteriormente provò a fare una proposta al bagarino:

“Scusate posso dirvi una cosa? Perdonate la nostra irruenza ma noi ci teniamo tanto ad assistere a questa partita. Capisco che questa cosa a voi non riguarda e vulit’ solamente ‘e sord, però vi vogliamo fare una proposta che non potete rifiutare. Noi le 40.000 da darvi non le teniamo per davvero, possiamo darvene 30.000 e vicino vi diamo una bella damigiana di vino rosso del cuneese.

Mio zio ha una piccola azienda agricola e noi da lì stiamo venendo. Se non vi fidate ve lo faccio prima assaggiare, lo teniamo nel cofano!”

Quell’idea riuscì a calmare gli animi e a far sì che i ragazzi ottenessero i biglietti per entrare al Comunale.

L’atmosfera era incandescente, non mancarono le scaramucce fra le due fazioni durante l’attesa per il calcio d’inizio. Sulle gradinate dello stadio Comunale vi erano 70.000 spettatori, di questi oltre 20.000 erano napoletani. C’erano quelli emigrati al nord e quelli in trasferta da Napoli. Fu una vera e propria invasione azzurra.

I partenopei erano staccati di soli due punti. All’andata al San Paolo gli 11 di Parola avevano vinto 6-2, ma il Napoli di Vinicio, che aveva giocato un calcio spumeggiante per tutto il torneo, arrivò più in forma per quella partita. Una settimana prima aveva vinto contro il Milan mentre i bianconeri avevano capitolato nel derby cittadino.

Vinicio schierò la formazione tipo, fatta di un gioco offensivo e spettacolare che non dava punti di riferimento alle difese avversarie, con il brasiliano Clerici uomo di punta dell’attacco azzurro.

Mister Parola decise di non schierare dal primo minuto uno dei due ex, il tanto atteso Altafini, mentre l’altro ex Dino Zoff era inamovibile tra i pali. Nel mercato estivo vi era stato uno scambio di portieri con Carmignani che passò agli azzurri e Zoff sotto la Mole.

Nelle fasi iniziali del primo tempo ci fu uno stallo alla messicana, nessuna delle due squadre voleva sbilanciarsi troppo. Al diciannovesimo i bianconeri passarono in vantaggio con un destro forte, dall’interno dell’area, dritto nel “sette” da parte del Barone Causio. Il primo tempo fu di marca juventina con varie incursioni da parte di Anastasi e Cuccureddu, tuttavia la difesa partenopea riuscì a tenere botta e andare negli spogliatoi in svantaggio solo di una rete.

Dopo la sfuriata nell’intervallo di Vinicio il Napoli entrò in campo con un altro piglio, ma non ancora in grado di dare una sterzata decisiva all’incontro, per reindirizzare la partita e probabilmente il campionato sui binari partenopei. Al decimo della ripresa una staffilata di Fabio Capello su punizione colpì la traversa. Il suono del legno sembrò svegliare definitivamente i giocatori del Napoli che fino a quel momento non avevano ancora espresso tutto il loro potenziale. Da lì in poi cominciarono a macinare gioco riuscendo ad agguantare il pareggio pochi minuti dopo con Juliano.

Superato lo spauracchio iniziale il Napoli cominciò a crederci sempre più, denotando una maggiore consapevolezza e una tenuta atletica migliore a cui contribuì senz’altro il tifo incessante dei ventimila cuori azzurri: cominciò quindi un vero e proprio forcing alla porta difesa da Zoff.

Al trentesimo della ripresa Parola decise finalmente di far entrare il grande ex di giornata Altafini. Tuttavia poco dopo, ancora una volta protagonista fu l’altro ex Dino Zoff. Il portierone friulano fece un autentico miracolo su una bordata da fuori area di capitan Juliano. La pressione del Napoli ormai era diventata asfissiante. Ma si sa, con la Vecchia Signora, non puoi distrarti un secondo: pallone al centro dell’area e…

Il ritorno verso casa

Il viaggio di ritorno dei quattro amici fu una via diretta dal comunale di Torino al capoluogo Campano. Avevano fatto il pieno di benzina la mattina, poco dopo aver lasciato Cuneo. Per arrivare prima a Napoli si diedero il cambio a turno e fecero soltanto una sosta, all’altezza di Orte.

“Questo Napoli è una cosa incredibile, giochiamo benissimo. Veramente oggi sembravamo l’Olanda di Crujff! Nel secondo tempo non hanno capito niente, eppure…” Vincenzo mentre accendeva l’ennesima Marlboro ripensava all’incontro del pomeriggio.

“Eh oggi ‘O capitan Juliano e che partit che ha fatt! Solo quel paratone di Zoff ha evitato una doppietta” rispose Peppe mentre continuarono a ripensare alla partita del pomeriggio. Ciro dormiva, aveva esagerato troppo con il vino.

Pasquale durante tutto il viaggio invece preferì non entrare nei discorsi della partita, la sua testa riccia era invasa da un unico pensiero. Come spiegherà al padre quell’affronto che gli aveva fatto? In che modo reagirà Don Carlo?

Arrivarono a Napoli verso le 6 di mattina. Pasquale entrò in casa cercando di non far rumore ma nella penombra seduto sulla poltrona dell’ingresso vi era Don Carlo che era lì ad aspettarlo.

“’O sacc’ dove sei stato disgraziato! Me l’ha detto Franco Di Gennaro visto che siete stati a casa del fratello a Cuneo, con la mia macchina poi…”

“Papà ti posso spiegare tutto. So di avere sbagliato ma era un’occasione che non potevo mancare, sono cinquant’anni che Napoli aspettava una partita del genere”

“Quale Napoli!? La Napoli dei nullafacenti scansafatiche comm’ a te che vann perdenn’ tiemp’ e denar’ appriess ‘o pallon. No figliu mì, Napoli non è quella. Napoli è fatta di gente che lavora, che fa tanti sacrifici per andare avanti.

Sai quanti soldi mi hai fatto perdere che non sono andato a fare i mercati sta settimana? Ma che ne sai tu, che ne puoi sapere. Colpa mia che non ti ho insegnato il valore del sacrificio.”

“Eh no papà ngopp’ a chest t’aggia ra’ tuort’, ‘o Napule è sul’ sofferenza e sacrifici. Era un anno che aspettavo questa partita, pensavamo di vincerla poi complice un’uscita a vuoto di Carmignani loro hanno segnato il goal del 2-1. Ha segnato proprio iss’: Altafini. Juventus Napoli peggio di così non poteva andare per me è stata una sofferenza atroce. Mai mi sarei aspettato un epilogo del genere. Chill’ è stato proprio nu Core Ingrato

“A me delle tue scemita’ nun m’interess! Il 25 aprile mi toccherà lavorare per colpa tua perché aggia’ pav’ ‘e cambial’ per la macchina. Pasqua’ mo non voglio discutere più che fra un po’ se sceta mammet’…tieni una settimana di tempo per trovarti una nuova sistemazione e un lavoro perché ind’ ‘a sta cas posto per te non ci sta più!”

Pasquale sapeva che la decisione di Don Carlo sarebbe stata irremovibile. Quella follia gli costò un cambio radicale nella sua vita.

Un’ultima bravata di gioventù che mai dimenticherà, seppur dall’amaro epilogo.