Quel maledetto Napoli 1997-1998 e una retrocessione cult

Quel maledetto Napoli 1997-1998 e una retrocessione cult

Giugno 26, 2020 0 Di Luca Sisto

La storia del maledetto Napoli 1997-98 e di una retrocessione divenuta un cult: una delle peggiori squadre di tutti i tempi in Serie A. 

Prologo: Napoli 1997-98, retrocessione? Ma no!

Una maglia bellissima targata Nike, che accompagnerà due delle peggiori stagioni della storia del Napoli calcio. Uno sponsor ufficiale poco conosciuto in città, con la Polenghi azienda multinazionale specializzata in prodotti alimentari, in particolare latte e derivati.
Un numero enorme di calciatori alternatisi in rosa, 37, grazie ai dubbi affari del DS Pavarese.
Ultimo posto, diciottesimi con soli 14 punti e due vittorie interne, totale stagionale, contro Empoli e Vicenza.
Una serie ingestibile di risultati tragicomici. A fronte di numerose disfatte, si segnala un clamoroso 2-2 al Delle Alpi contro i futuri campioni d’Italia e finalisti di Champions della Juventus, a campionato già compromesso.

Già, perché quella stagione, nonostante la cessione di alcuni prediletti della tifoseria azzurra per tentare di ripianare i soliti debiti, sembrava cominciata sotto buoni auspici, grazie ad una campagna acquisti che puntava su “nomi” di grido.
Igor Protti era stato capocannoniere in A col Bari un paio di stagioni prima. Claudio Bellucci, cannoniere del Venezia in B. Questi due ottimi giocatori, avrebbero dovuto giocarsi il posto in attacco con il presunto bomber José Luis Calderon, poi rispedito al mittente (l’Independiente) nella sessione invernale, senza lasciar traccia nel box score.

Una squadra a suo modo nostalgica

Fenomenale il livello di nostalgia nello scouting degli acquisti: il Principe Giannini, ripescato dallo Sturm Graz e accolto da Carletto Mazzone (dopo l’esonero di Mutti). Massimiliano Allegri dal Padova. Rossitto e Sergio dall’Udinese, che sembravano completare, con il nazionale croato Asanovic, un parco giocatori di qualità ed esperienza, con i sempreverdi Turrini e Altomare a tenere alta la bandiera della vecchia guardia, a fronte della partenza di Boghossian, Pecchia e del rimpianto Beto.

Peccato però aver smantellato la difesa con le cessioni di Colonnese, Milanese e Cruz, per far posto ad acquisti da b-movie anni ottanta come Prunier, Facci e Mirko Conte, che insieme al belga Crasson sostenevano, si fa per dire, le vecchie glorie Baldini e Ayala, davanti Pino Batman Taglialatela.

Agli ordini del navigato Bortolo Mutti, la squadra cara al presidente Ferlaino scenderà così in campo, nel campionato che la riporterà in B dopo 33 anni filati di gloriosa militanza nella massima serie, con discreti auspici.
I giornali reclamizzano Calderon come un bomber da Coppa Uefa, con la solita spocchia di chi gusta sempre quel pizzico di esotico in più nell’erba delle terre lontane, meglio se delle sconfinate lande sudamericane.
Nell’idea di Mutti, il centrocampo prevede gente come Goretti e Raffaele Longo a dettare l’ultimo passaggio verso le punte. Con tutto il rispetto, calciatori che non si sono mai occupati di questo.

Si aprono le danze

Il valzer comincia all’Olimpico contro la Lazio. Due gol al passivo, frutto delle reti del Mancio e di Pippo Pancaro, poco male. Alla seconda giornata l’Empoli fa visita al San Paolo. Protti e Bellucci portano i primi 3 punti nel 2-1 finale, mentre un pareggio per 1-1 al Menti di Vicenza (dove il Napoli aveva perso la finale di Coppa Italia pochi mesi prima) mette in cascina 4 punti in 3 partite. Ruolino di marcia non esaltante, ma nessuno avrebbe potuto prevedere che, nelle successive 14 giornate del girone d’andata, il Napoli avrebbe raccolto solo 2 punti.

Claudio Bellucci non mantenne le attese, ma avrebbe fatto parte della stagione del momentaneo ritorno in Serie A, due anni più tardi (foto Wikipedia)

I primi scricchiolii si avvertono quando, alla quarta giornata, l’Atalanta banchetta a Fuorigrotta con gol di Nicola Caccia, uno degli epurati della stagione precedente, a causa proprio di quella maledetta gomitata a Vicenza che aveva lasciato i suoi in 10 nel momento topico della finale.
Successivamente, ancora a Roma, sponda giallorossa, il Napoli incassa 6 gol con un Balbo in versione deluxe autore di una tripletta. Mutti viene esonerato. Mentre “paga sempre l’allenatore” diventerà il leitmotiv della stagione, il Napoli del nuovo allenatore Carletto Mazzone perde 0-2 in casa con l’Inter. Poi va dal Bologna di Roby Baggio già in formato mondiale: 5-1, tripletta del Divin Codino e doppietta di Kenneth Andersson. E dire che gli azzurri erano passati in vantaggio con Goretti.

A questo punto, finalmente, qualcuno comincia a capire che l’obiettivo Coppa Uefa non solo non è realistico, ma che la squadra non è competitiva nemmeno per una salvezza risicata. Sor Carletto dura lo spazio di un mese, rimediando una sola, inutile vittoria in Coppa Italia, 3-0 contro la Lazio. All’andata, il Napoli ne aveva presi 4 senza trovare la rete biancoceleste. Da uomo degno quale è, Mazzone si dimette dopo la sconfitta di Lecce, triste seguito del giustificabile 1-2 interno contro la Juve.

Napoli 1997-98: una retrocessione inevitabile

Arriva Galeone, ma il calcio spettacolo lo vedranno solo gli avversari. Il Napoli batte un colpo pareggiando con la Viola. A Piacenza Rastelli a 3 dalla fine regala i tre punti agli emiliani, infliggendo l’ennesimo duro colpo alla precaria autostima del gruppo azzurro. La botta è così forte che contro Parma e Samp il Napoli rimedia 10 gol al passivo in 7 giorni. Si perde anche in casa col Milan, prima che una sciagurata autorete di Crasson al 92esimo neghi agli azzurri il successo a Udine.

Domenica 18 gennaio 1998, al San Paolo arriva il Brescia. I giornali campani non ne possono più da tempo, cavalcando il senso di tragedia che alimenta la curva napoletana. Sulle testate nazionali, altresì, si fantastica di una fantomatica tabella di marcia che permetterebbe agli azzurri di tirarsi fuori dalle sabbie mobili della retrocessione, da ultimi classificati.

I bresciani sembrano squadra abbordabile, ma il gruppo è ormai alla frutta. Galeone lancia dal primo minuto l’esordiente Sasà Bruno nel tridente al fianco di Protti e Bellucci. Finisce 0-3, sotto i colpi di Pirlo, Kozminski e Aimo Diana.
La sconfitta di Bari alla diciassettesima chiude il girone d’andata con 6 miseri punti, con la quota salvezza distante come Giove dalla Terra.

Epilogo: e retrocessione fu

Il Napoli apre il girone di ritorno con un pari interno a reti inviolate contro la Lazio, ma Galeone scivola definitivamente alle ventesima giornata, rimediando una scoppola tremenda (5-0) contro l’Empoli di Luciano Spalletti.
Ferlaino affida la squadra al Caronte per antonomasia, Vincenzo Montefusco, che aveva giurato di lasciare il calcio per sempre al termine della stagione precedente, dopo gli attriti con la tifoseria che mai gli perdonerà di aver lasciato in panchina Beto a Vicenza.

Inopinatamente, Turrini e il nuovo acquisto Damir Stojak, serbo della Vojvodina, battono 2-0 proprio il Vicenza al San Paolo. Una vittoria che sembra dare nuovo ossigeno ai pochi calciatori che ancora giocano per onorare il campionato. Sarà invece l’ultimo sussulto stagionale, perché il Napoli non troverà più la via dei 3 punti, concludendo con la miseria di 14 alla detta voce, in classifica.

L’11 aprile a Parma arriva la retrocessione matematica. Taglialatela esce dal campo in lacrime fra le braccia del napoletano Fabio Cannavaro, cresciuto alla Loggetta nel quartiere di Fuorigrotta. L’immagine emblematica getta nello sconforto una tifoseria che troverà il tempo di salutare la squadra con uno striscione entrato nella storia, fulgido esempio dell’ironia partenopea nei momenti più bui, e così Mutti è il protagonista di “Via col vento”, Bianchi di “Per un pugno di dollari”, Mazzone de “Il fuggitivo”, Galeone del successo del momento, “Titanic”, Ferlaino di una commedia italiana che non è mai passata alla storia del cinema ma rende efficacemente l’idea: “Pacco, doppio pacco e contropaccotto”.
Sipario.

 

Immagine di copertina tratta da Wikipedia