La trasversalità del playmaker negli sport di squadra: i casi di Andrea Pirlo, Steve Nash, Tom Brady

La trasversalità del playmaker negli sport di squadra: i casi di Andrea Pirlo, Steve Nash, Tom Brady

Giugno 30, 2020 0 Di Luca Sisto

Attraverso lo studio di tre campioni storici di tre discipline diverse, cerchiamo di capire cosa accomuna il ruolo del “playmaker” negli sport di squadra.

I moderni studi sull’intelletto umano, tendono ad individuare diverse categorie di intelligenza. Accanto alla logico matematica e a quella mnemonica, appaiono sempre più di frequente l’intelligenza sensibile e quella spazio/temporale.
Nello sport, la capacità di curvare lo spazio tempo, in maniera proattiva, ossia leggendo la risposta della difesa oppure dominando il pallone, è una condizione essenziale per lo sviluppo dell’azione corale nell’ottica della creazione di vantaggi per la propria squadra.

Il ruolo del playmaker, sia esso il regista basso, o volante, nel calcio oppure la point guard del basket, o meglio ancora il quarterback del football americano, ha assunto col tempo un ruolo preponderante e trasversale all’interno degli sport di squadra.

Il calcio ha adottato in principio il metodista, salvo poi delegare sempre più frequentemente alla mezzala creativa l’impostazione della giocata. Il basket ha adottato scelte diverse: nello sviluppo dell’azione, non sempre il primo portatore di palla ha un ruolo decisivo, ma spesso chi crea gioco agisce come cosiddetto point forward. Nel football americano invece, il quarterback è sempre stato il ruolo più importante e che meglio di tutti ha incarnato, nell’immaginario collettivo, i compiti dell’eroe sportivo. Con la sua capacità indifferentemente di lanciare a meta o di saltare personalmente la difesa avversaria, è questo il ruolo che ogni americano da bambino sogna di interpretare.

 

Andrea Pirlo, oggi allenatore della Juventus, è una delle menti più brillanti nella storia del calcio italiano (foto Juventus.com)

Questo tipo di atleti è capace tanto di adattarsi al ritmo partita, quanto di condurlo. Nel calcio italiano, in una carriera cominciata sulla trequarti per il vecchio credo che il calciatore più tecnico debba giocare più possibile vicino alla porta, il miglior interprete del playmaking è stato senza dubbio Andrea Pirlo. Il Maestro, ai tempi del Brescia, si trovò a dividere il campo col Divin Codino Roberto Baggio, ancora in grande spolvero anche nell’ultimo tratto di carriera. Da vecchio lupo della panchina, Mazzone cercò una difficile coesistenza fra i due arretrando il raggio d’azione di Pirlo. I risultati non tardarono ad arrivare nonostante la diffidenza iniziale dell’uomo da Flero, preoccupato della parte passiva del suo gioco. Pirlo dimostrò di essere eccellente soprattutto in un fondamentale, ovvero nella capacità di alternare il calcio corto/lungo a seconda delle esigenze di possesso della squadra. Nell’iconico gol di Baggio alla Juventus, quello dello stop al volo con dribbling a un tocco su Van der Sar, il lancio parlante è di Andrea Pirlo. La connessione fra i due geni fu di vitale importanza per quel campionato del Brescia. Un asse play-trequartista che Mazzone avrebbe riproposto anche con Pep Guardiola qualche stagione più tardi, e che influenzerà la prima parte del percorso tecnico da allenatore del catalano.

Pirlo sublimerà il concetto di playmaking da regista del Milan campione d’Europa di Ancelotti, dell’Italia iridata di Lippi, e della Juve scudettata di Conte e Allegri. Una carriera strordinaria che gli vale un posto fra i grandissimi di ogni tempo del calcio italiano. Non a caso, grazie al suo carisma e al suo intelletto, oggi allena la Juventus pur senza avere alcuna esperienza pregressa di rilievo in panchina.

Con Pirlo il pallone sembra viaggiare a velocità supersonica, assume traiettorie letali e indefinibili per i portieri, cade docile sul piede e sulla testa degli attaccanti, con affrancata una lettera d’amore che recita, semplicemente, “da spingere in porta”.

 

Steve Nash, oggi Head Coach dei Brooklyn Nets, dove ha ritrovato il suo vecchio allenatore Mike D’Antoni come assistente (foto Forbes).

Steve Nash, attraverso i suoi due mentori Don Nelson ai Mavs e Mike D’Antoni ai Suns, è diventato due volte MVP della NBA, ergendosi a profeta di una pallacanestro uptempo che non lesinava abbellimenti tecnici e gesti sopraffini, strizzando l’occhio al delirante spettacolo del run&gun. Precursore della pallacanestro “seven seconds or less”, tanto in voga oggi, con l’aumento vertiginoso del pace (indicatore del numero di possessi all’interno di una partita) e dell’uso del tiro da 3 punti, Nash è un giocatore che ha mostrato, meglio di chiunque altro, la via del basket del futuro alle generazioni del 21esimo secolo. Fosse venuto fuori dieci anni più tardi, avrebbe fatto affidamento in modo ancora più radicale sul tiro da 3, mettendosi in proprio per un numero sufficiente di possessi da giocare partite da 20+15 (punti e assist) molto più di frequente. Canadese di formazione sudafricana e amante del calcio inglese, centrocampista mancato, Nash è divenuto leggenda in uno sport che fisicamente non avrebbe dovuto dominare, ma che ha altresì rivoluzionato grazie ad uno stile unico. Steph Curry è figlio legittimo di quel trend, attraverso la cui ispirazione ha potuto intraprendere una carriera da all time great.

Oggi Nash è capo-allenatore dei Brooklyn Nets, franchigia fra le principali contender della stagione NBA, potendo contare in campo su fuoriclasse del calibro di Kevin Durant, James Harden e Kyrie Irving.

 

Tom Brady ha appena vinto il suo settimo anello a 43 anni. Il primo al primo colpo con i Tamba Bay Buccaneers, nel Superbowl LV contro i campioni uscenti dei Kansas City di Patrick Mahomes.

Il gubernator, o timoniere, era una figura mitologica dell’antichità: la sua funzione era quella di condurre le navi per i mari, alla ricerca di nuove terre. Governare una nave, voleva dire governare il mare.
Tom Brady è considerato il GOAT del football americano. Entrato nella NFL con un fisico da atleta normalissimo, attraverso una scelta bassa al draft (199esimo assoluto nel 2000), è diventato leggendario gubernator dei New England Patriots. Dopo sei anelli e la più vincente dinastia dello sport americano del 21esimo secolo, alla soglia dei 43 anni, ha scelto di concludere la sua carriera ai Tampa Bay Buccaneers. I “Bucanieri”, tanto per restare in tema marittimo.
Come un atleta possa essere ancora decisivo oltre i 40 anni, resta un mistero segretamente custodito nell’ampolla dei grandissimi dello sport, categoria a cui Tom Brady appartiene di diritto, grazie alla qualità innata con cui abbiamo aperto il nostro pezzo: la capacità di governare lo spazio/tempo, a piacimento.

Il 7 febbraio 2021, con Tom Brady alla guida, i Tampa Bay Buccaneers hanno vinto il Superbowl contro i campioni uscenti dei Kansas City Chiefs. Si tratta del settimo anello personale per il fuoriclasse sposato con la supermodel brasiliana Gisele Bundchen, ormai considerato uno dei più grandi sportivi della storia.