Due allenatori che non si amano, che siedono e si sono seduti sulla panchina più prestigiosa d’Italia.
Eppure, se escludiamo l’appartenenza regionale toscana, le similitudini terminano qui.
Max preferisce puntare su un calcio fatto di principi di gioco chiari, ma con la fase d’attacco lasciata alla responsabilità tecnica individuale dei suoi interpreti. Per Allegri vince chi riesce a mettere il singolo giocatore nelle condizioni di fare la giocata decisiva, sia esso un gol o un passaggio smarcante.
Per Sarri, la vittoria dipende dal metabolizzare al massimo il sistema di gioco in cui i suoi calciatori sono inseriti.
Per
Allegri, arrivare sulla trequarti, liberare l’uomo sull’esterno d’attacco e riempire l’area di rigore per aumentare le chance di gol, nel più breve tempo possibile, è la chiave.
Per
Sarri, il possesso palla esasperato e la ricerca dell’uomo negli
half spaces è cruciale per muovere la difesa e creare vantaggi propedeutici al risultato finale. In questo senso, la stagione all’
Empoli in A e le
tre stagioni napoletane,
in particolare la seconda metà del campionato 2016-17, quella in cui Dries Mertens fece il fenomeno, sono la bandiera del
sarrismo, che ha dato filo da torcere alle grandi del campionato.
Il Sarri che si è seduto sulla panchina dei Blues in Premier, vincendo un’Europa League, e quello della prima parte di campionato alla Juventus, è invece un Sarri diverso. Meno possesso palla. Meno insistenza sull’esasperazione dei triangoli di passaggio per risalire il campo, maggiore responsabilità dei singoli nel saltare l’uomo e creare vantaggio.
Le motivazioni sono due. Innanzitutto il calcio del Mister di Figline Valdarno richiede tempi di assimilazione lunghi. Tempo che per adesso non ha avuto, o che comunque ha potuto sfruttare solo in fase embrionale, nelle esperienze tecniche a Londra e Torino. In secondo luogo, ha potuto qui contare su un tasso tecnico individuale maggiore, con giocatori del calibro di Hazard (la scorsa stagione in gran forma) e Cristiano Ronaldo che rappresentano il Gotha del calcio internazionale moderno.
Costringere questo tipo di talenti all’interno di un sistema che richiede una fase passiva molto dispendiosa in fatto di pressing e riaggressione non è affatto semplice. Può accadere solo per brevi tratti della gara.
Non è un caso che Sarri sia stato molto scettico nel combinare Higuain (o Douglas Costa), Dybala e CR7 per tutti i 90 minuti, e si sia affidato spesso e volentieri al 4-3-1-2 a lui caro ai tempi di Empoli.
Con questo modulo ha potuto sfruttare maggiormente la compattezza del centrocampo con un uomo in più, fra Ramsey, Rabiot e Bernardeschi, in grado di dare una mano in fase difensiva. E ha affidato alle combinazioni individuali di Cristiano e del Pipita, o di Dybala, buona parte delle giocate nella trequarti avversaria, con ampia libertà d’inserimento delle mezzali.
Ha utilizzato quindi un sistema ibrido, in una Juve ancora legata ai concetti di Allegri.
Le maggiori innovazioni sono state soprattutto nella linea difensiva, laddove il baricentro alto viene tenuto da Bonucci e De Ligt (o Chiellini, out diversi mesi ma oggi arruolabile), con il primo a dare il “segnale” per scappare all’indietro nel momento in cui gli avversari attaccano.
I terzini sono spesso inseriti in maniera diversa dai tempi di Napoli: anche al San Paolo
nella sconfitta per 2-1 contro gli uomini di Gattuso, Sarri ha preferito mantenere alta la pressione con due terzini d’attacco come Cuadrado e Alex Sandro, vere e proprie ali aggiunte. Da un errore in copertura di Cuadrado, che non ha tagliato fuori Zielinski, è nato però il vantaggio azzurro.
Torniamo ora a noi.
Nella seconda fase della gestione dell’emergenza Covid-19, il politologo e sociologo israeliano
Yuval Noah Harari, ci pone di fronte due alternative: una prevede un ferreo controllo statale top down, l’altra prevede una maggiore responsabilità e responsabilizzazione individuale, del cittadino.
Potremmo dire, per utilizzare la similitudine calcistica che è alla base di questo pezzo, dover scegliere fra il sistema top down di Sarri e quello più libero e individuale di Allegri.
La risposta potrebbe essere un sistema ibrido, come quello che sta sviluppando Sarri alla Juventus. Ovvero, migliorare la responsabilità individuale dei cittadini per il bene della collettività.
Ma deve esserci uno Stato (un allenatore, un manager) forte e coerente per far sì che i cittadini possano tornare a condurre le loro vite, gradualmente, in questi mesi (se non anni) in cui bisognerà convivere con il coronavirus, in attesa che la medicina faccia il suo corso. Sarà necessario il massimo funzionamento dell’apparato statale, in fatto di organizzazione del lavoro e della sanità: rifornimento costante di mascherine, regolamentazione degli standard di lavoro a tutti i livelli, gradualità delle aperture con sostegno economico a privati (in particolare a coloro che, già in ristrettezze economiche e impossibilitati a lavorare per mesi, sono i più colpiti dalle conseguenze della pandemia) e imprese.
Ma sarà fondamentale il buon senso dei cittadini: dall’igiene personale e dei luoghi di lavoro, alla capacità di rinunciare al proprio benessere individuale per larghi tratti ancora, per consentire ai luoghi ricreativi di implementare un adeguato distanziamento sociale.
Solo uniti e compatti, come una grande squadra di calcio, usciremo da questa terribile crisi economico sanitaria di livello mondiale.