Milano e il Berlusconismo. La parabola del Cavaliere dall’acquisto dei rossoneri. Un uomo che ha fatto della vittoria sportiva un viatico per quella politica, plasmando a sua immagine, nel bene e nel male, oltre 20 anni del nostro Paese.
Il Milan: la squadra di Berlusconi
Il 10 febbraio 1986, con la firma di Paolo, fratello di Silvio, il Milan diventa la squadra di Berlusconi.
Si mette così il punto a 59 giorni di trattative, seguite alle dimissioni di Farina dalla sua carica nel CDA del 13 dicembre 1985.
Eppure, ad un certo punto sembrava che il Milan, nelle trattative orchestrate dall’ex vicepresidente Gianni Nardi, fosse sul punto di passare al petroliere Dino Armani.
Con un colpo di coda, che il Cavaliere definirà in realtà di cuore, i legali Fininvest incontrano quelli di Nardi e formalizzano l’acquisto della società rossonera, presso lo studio di Vittorio Dotti in Via Visconti Venosta 3.
Il Milan rischiava di sparire, dopo le due retrocessioni seguite agli anni bui del Totonero, proprio ora che la squadra si era ristabilita in serie A.
La domenica precedente la Fossa aveva espresso la sua volontà con degli striscioni eloquenti: “Silvio salvaci dalla vergogna” e “Silvio Milano ti ama”.
Berlusconi diventa presidente al termine del periodo più complicato della storia milanista, cercando di riprendere dal punto in cui la gloriosa storia rossonera si era interrotta: lo Scudetto della Stella del 1979.
Il Milan dei milanisti e quello degli olandesi
Il Milan riparte da Franco Baresi, che era solo un giovane libero diciannovenne di belle speranze in quel campionato di fine anni settanta, e da un settore giovanile florido che avrebbe formato l’ossatura milanista dei futuri successi.
Con la scelta di
Sacchi allenatore e l’acquisto di
Gullit e
Van Basten, il Milan conquista lo
Scudetto del 1987-88 strappandolo al Napoli e comincia il suo ciclo vincente.
Berlusconi presidente milanista non era solo una scelta di cuore. Ma il penultimo tassello, prima della discesa in campo politico seguita allo scandalo Tangentopoli, di un disegno molto più grande. Da Canale 5 alla costruzione di interi quartieri della Milano bene, la Milano da bere degli anni ottanta è la nuova capitale finanziaria d’Italia. La città della Madunina è al vertice basso di un triangolo economico mittel europeo, in virtù della sua vocazione continentale a nord della penisola italiana. Milano capitale economica, con Berlusconi artefice primario, capace di raccogliere l’eredità craxiana di homo novus della scena politica italiana, deve avere una squadra di club vincente. E quella squadra, in Europa più che in Italia, deve essere riconoscibile a livello globale, oltrepassando le sue origini proletarie e surclassando quelle internazionaliste dei cugini nerazzurri.
Forza Italia
Con Forza Italia e il 1994, Berlusconi completa la sua opera e comincia, infine, ad attirare su di sè le attenzioni della stampa di cronaca, passando dagli editoriali finanziari delle sue TV e dei suoi giornali amici, a quelle della Prima Pagina dei principali quotidiani mondiali.
Berlusconi diventa il simbolo, il volto della Milano rampante e di un’Italia che vuole sfuggire alla mafia e alla corruzione. Un’Italia che sembra uscita con le ossa rotte dalla logica bipolare della Guerra Fredda. Un’Italia in cui diventa necessario, per Milano, spostare l’asse verso il Nord e il Nord-est, contrastando da un lato l’egemonia piemontese degli Agnelli, dall’altro Roma Capitale e le terre del Sud, con una Napoli forte nel calcio e avvezza agli investimenti edilizi della Nuova Camorra Organizzata, unica entità capace di investire grazie ai proventi del narcotraffico, nell’ottica delle devastazioni causate dal terremoto dell’Irpinia.
Il
Berlusconismo è ovunque: in politica con i governi di centro destra. Negli edifici della periferia colta e ricca di Milano. Nelle fanciulle in abiti succinti e nelle pubblicità aggressive dei programmi
Mediaset. Nell’utilizzo della satira come burla di autogol politici. In tutto e nel contrario di tutto.
Il Berlusconismo è la storia d’Italia degli ultimi 30 anni e la sua onda lunga mostra effetti tangibili ancora oggi che l’egemonia lombarda è minacciata, più che nel resto della penisola, da un nemico invisibile.