Carri di bestiame: il dramma dei migranti del Burkina Faso

Carri di bestiame: il dramma dei migranti del Burkina Faso

Luglio 3, 2020 0 Di Luca Sisto

Quella che segue, è una storia di fiction che racconta le vicende di una famiglia del Burkina Faso, costretta tragicamente ad emigrare, con un sogno impossibile da realizzare.
Nord del Burkina Faso, febbraio 2020.
“Aristide corri qua, non ti allontanare”, urlò papà Thomas.
“Papà perché stiamo seguendo questi signori?”
“Perché dobbiamo andare via, il camion partirà fra 15 minuti, Aristide. Metti una maglia addosso e le tue scarpe”.
“Papà ma io sto bene qui. La scuola riprenderà prima o poi, ha detto la maestra Johanna. E le mie scarpe sono piene di polvere, non mi vanno più da un pezzo”.
“Andrai a scuola quando saremo in Europa”.
“In Europa? Davvero papà? Allora mi porti a conoscere Drogba?”
“Ti porto da Drogba, ti porto dove vuoi, ma adesso sbrigati”.
Il padre di Aristide era un grande tifoso di calcio. L’aveva chiamato così perché era il nome di battesimo di Bancè, storico bomber degli Stalloni. Il signor Thomas era nato nel 1984 e il padre gli aveva dato il nome per Sankara, proprio quando il Presidente mutò quello del Paese, da Alto Volta (che era il nome coloniale) a Burkina Faso, che significa “Terra degli uomini integri”.
Aristide era nato nel 2013, l’anno in cui gli Stalloni arrivarono fino alla finale di Coppa d’Africa, guidati dal centrocampista ex Amburgo Pitroipa, contro la Nigeria. Le Aquile vinsero 1-0, ma ad Ouagadougou si festeggiò fino all’alba per l’eccellente risultato ottenuto.
Thomas aveva perso la moglie da poco e non aveva più nulla in Burkina. Inoltre, girava voce che il villaggio sarebbe stato presto sotto attacco jihadista.
Tra il 2019 e il febbraio 2020, nel nord del Paese si conteranno oltre 750000 sfollati e la forzata chiusura delle scuole, a causa della carestia e delle incursioni di gruppi legati a cellule jihadiste.
Finalmente Aristide obbediva e insieme a Thomas si diresse sul camion. Stipati sul retro, con loro, 50 persone. “Comode” ne vanno al massimo 12. Aristide riuscì a cogliere un po’ d’aria da una feritoia, fermo sulle ginocchia di papà Thomas.
“Papà, quando vuoi facciamo cambio”.
“Non importa tesoro, respira, ti servirà”.
Thomas aveva regalato al figlio, in un mercato del villaggio, una maglia di Francesco Totti. Gli aveva raccontato che quella era la maglia del re di Roma, che era in Italia ed era un bel posto per giocare a calcio. La maglia ormai gli andava stretta, ma quel 10 dietro le spalle era troppo prezioso per Aristide.
Dal Burkina Faso si spostarono in Niger attraverso una strada deserta. Ci impiegarono 3 giorni. L’acqua scarseggiava e nel camion c’era puzza di morte.
L’autista fece una breve sosta prima di arrivare in un sobborgo di Niamey, dove il gruppo superstite sarebbe stato diviso in 3 sottogruppi. Non parlava la loro lingua. Fece scendere tutti dal camion, sei corpi non si mossero. Furono lasciati lì a marcire per terra, un pasto succulento per uccelli da carogna.
Di lì a poco arrivarono tre camionette, che li avrebbero trasportati lungo tutto il Niger fino in Libia e, da lì, verso la costa.
Thomas teneva sotto braccio Aristide. L’uomo deputato alla divisione dei gruppi notò la maglia del bambino. Gli chiese in inglese “dove vai con questa maglia, bimbo, allo stadio?”
Aristide non capiva, il padre comprese pur non conoscendo l’inglese e suggerì al bambino di non rispondere. Ma Aristide aveva la lingua lunga e rispose a modo suo qualcosa che l’altro, che i compagni chiamavano Alì, non capì.
“Vado in Italia, papà mi farà conoscere il re di Roma e poi mi porterà da Didier Drogba, che è il mio calciatore preferito. Vero papà?”
“Ti avevo detto di stare zitto Aristide”.
“Ok papà, scusa”.
Alì pensò per un attimo se separarli, non si fidava di Thomas e temeva che il bambino parlasse troppo durante il viaggio. Ma poi comprese che in quel modo avrebbe procurato solo altri guai. Thomas tirò fuori una sacca con del denaro dentro e la porse ad Alì.
“È tutto”, fece Alì all’autista, così salirono a bordo.
Arrivati in Libia dopo due settimane, dalle camionette furono fatti scendere in una località vicino Al Jawf, nel sud est del Paese.
In quei maledetti carri di bestiame, sopravvivere era quasi impossibile. Sul mezzo di Thomas e Aristide, di tredici persone sopravvissero in quattro, fra cui loro due.
In tutto, dal camion partito dal loro villaggio in Burkina, ne restarono undici.
Il gruppo fu costretto a proseguire a piedi per una ventina di km. Dal punto di raccolta, nei pressi di un ghetto africano dentro Al Jawf, partivano i pullman diretti a Bengasi.
Alì si avvicinò a Thomas e Aristide “il mio viaggio finisce qui, ma voi avete avuto coraggio, possa Allah guidarvi verso ciò che hai promesso a tuo figlio”.
Thomas capì subito che Alì e la sua banda avevano venduto tutti ai libici, ma se l’aspettava. D’altronde erano merce umana, che acquisiva valore ad ogni scambio e, nel caso fossero morti, nessuno ci avrebbe badato poi tanto. A migliaia morivano. A migliaia arrivavano sulle coste della Libia. Ma lui doveva resistere, per Aristide, per la memoria della moglie.
Ci volle oltre un mese di cammino per arrivare a Bengasi.
Da lì, finalmente, partivano i barconi libici.
Su quello di Thomas e Aristide c’erano 143 persone, di ogni nazionalità e gruppo etnico potesse distinguere.
4 aprile 2020.
Thomas morì durante il viaggio, mentre Aristide dormiva fra le sue braccia. Come lui altre 17 persone, che vennero gettate in mare. Quando Aristide si svegliò, senza il padre, si mise a urlare, ma nessuno parlava la sua lingua. “Papà papà dov’è il mio papà? L’avete ucciso!” Ci vollero ore per calmarlo, fra le minacce degli scafisti di fargli fare la stessa fine del padre.
13 aprile.
Il barcone arrivò al largo di Lampedusa. Gli scafisti si confusero fra la folla. Tutti urlavano che il barcone si stava ribaltando, le condizioni del mare risultavano estreme a causa del forte vento.
La Guardia Costiera riuscì ad evitare il peggio.
Aristide venne soccorso fra gli altri nel porto, in condizioni disperate.
La maglia di Totti ormai mangiata dall’acqua del mare e dalla sabbia del deserto. Lo avvolsero tra le coperte.
“Quale è il tuo nome, bambino? Dottore presto! Venga qui. Il bambino non risponde!”
“Gli tolga la mascherina lo lasci respirare”.
“Non respira dottore”.
In un sussulto di vita, Aristide aprì gli occhi e vide che l’uomo di fronte a lui aveva indosso una mascherina bianca. Non aveva mai visto un uomo bianco nella sua vita, figurarsi uno con la mascherina bianca.
Pensò per un istante che fosse davvero lui, il Re di Roma, davanti a sè. Riuscì a sibillare, abbozzando un sorriso felice..
“Totti”.
E spirò.
Questa è una storia di fiction sullo sfondo delle reali vicende del Burkina Faso. Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è da ritenersi del tutto casuale (foto copertina CNN press).