Spaghetti legs and white guns: la storia di Bruce Grobbelaar

Spaghetti legs and white guns: la storia di Bruce Grobbelaar

Luglio 3, 2020 0 Di Luca Sisto

“Quante persone ho ucciso? Molte, troppe. Non le ho contate, un orrore troppo grande”.
L’esercito bianco della Rhodesia del Sud, deciso a conservare l’indipendenza dal Regno Unito e la supremazia della minoranza bianca nei confronti della maggioranza nera, si rese protagonista di massacri e omicidi di massa, durante il periodo fra l’11 novembre 1965 (anno della dichiarazione unilaterale d’indipendenza firmata dal primo ministro Ian Smith) e il 1979, quando il Regno Unito riprese il controllo del Paese per consegnarlo a Robert Mugabe, leader delle forze marxiste dello ZANU.
Dopo il governo di transizione a mediazione britannica ed esaurita la spinta sovietica nell’ottica dell’equilibrio bipolare, Mugabe avrebbe dominato il Paese (che cambiò denominazione da Zimbabwe Rhodesia a Zimbabwe) dal 1980 al 2017.
Lo Zimbabwe, la cui economia fu distrutta da sanzioni ONU e guerra civile ben prima dell’avvento al potere di Mugabe, è oggi il secondo Paese più povero d’Africa dopo il Ciad.
Quando nel 1975, appena diciottenne, Bruce Grobbelaar fu reclutato nell’esercito rhodesiano, il futuro portiere del Liverpool campione d’Europa all’Olimpico contro la Roma nel 1984 era già una stella del campionato di calcio locale. Veniva, paradossalmente, amato dalla stessa gente che era costretto a prendere a fucilate per difendere non gli interessi coloniali britannici, ma il suprematismo bianco del governo. Una minoranza d’élite, che costituiva il 90% degli aventi diritto al voto, in virtù di qualifiche come reddito e posizione sociale e non di un apartheid di legge come in Sudafrica. Era una casta, più che un governo razzista. Razziste erano le condizioni sociali esclusive a cui i bianchi avevano sottoposto la maggioranza nera, pur presente come opposizione di governo.
I neri accettavano Grobbelaar, la cui battaglia in campo era quella per giocare tra i pali della nazionale, nonostante questa fosse a maggioranza nera.
Concluso il servizio militare, decise però di perseguire la carriera calcistica prima in Canada, poi, finalmente, in Inghilterra, dove si mise in luce nel Crewe Alexandra, attirando le mire del Liverpool, il club attraverso cui ha raggiunto la notorietà.
Grobbelaar rimase se stesso, sempre. Un uomo dalle infinite contraddizioni. Dalle interminabili serate nei pub di Liverpool con la classica bottiglia per combattere i suoi demoni, alle gambe tremanti (spaghetti legs), la danza con cui esorcizzava la tensione dei tiri dal dischetto fatali ai Giallorossi Conti e Graziani, regalando la Coppa ai Reds (e diventando il primo calciatore africano a vincere la Coppa dalle Grandi Orecchie).
Dai 6 titoli d’Inghilterra conquistati col Liverpool, alla maledizione nei confronti dei pali di Anfield quando, ceduto al Southampton per l’accusa di aver truccato delle partite di campionato (il tabloid The Sun vinse in seguito la causa d’Appello costringendo Grobbelaar al pagamento di spese legali da mezzo milione di sterline, che il calciatore non aveva), chiamò un medico stregone dello Zimbabwe per lanciare un anatema contro i suoi stessi colori.
Recentemente, nel dicembre 2019, ha dichiarato di aver versato la sua pipì sui pali di Anfield, in modo da far svanire la maledizione in campionato dei Reds.
E il Liverpool è tornato campione.