La Somalia, Stato fallito anche a causa delle ingerenze internazionali, è da 30 anni teatro di diverse terribili vicende, come raccontiamo qui.
Failed State, Stato fallito. Questo è, dal 1991, la Somalia.
Quando Silvia Romano è finalmente tornata a casa, dopo 18 mesi dal suo rapimento in Kenya, è stata liberata in Somalia, nei pressi della capitale Mogadiscio, al termine di una lunghissima trattativa con i suoi aguzzini, probabilmente legati al gruppo terroristico jihadista sunnita di Al Shabaab (nato come frangia di Al Qaeda in Somalia intorno al 2006).
La Somalia ha raggiunto l’indipendenza nel cosiddetto “anno dell’Africa”, il 1960, quando una gran parte degli Stati africani si era formalmente liberata dal giogo coloniale. La Somalia britannica nel nord est, nota come Somaliland, si era unita col territorio dell’ex Somalia italiana, formando un unico Stato. La Somalia francese è diventata invece Gibuti.
Nel 1991, dopo la guerra persa con l‘Etiopia per la regione rivendicata dell’Ogaden, il Somaliland si è dichiarato indipendente, ma non è stato riconosciuto dalla comunità internazionale. La Somalia ha cominciato ad essere dilaniata da guerre civili a causa delle discordie fra clan, capeggiati da signori della guerra, creando i presupposti per il fallimento di uno Stato fuori controllo e favorendo la nascita di movimenti jihadisti estremamente pericolosi e radicati. L’Italia e l’Europa non sono state in grado di fare la loro parte.
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, foto La Repubblica
Il 20 marzo 1994, nel corso di un’inchiesta sullo smaltimento internazionale di rifiuti speciali in cambio di armi, venivano assassinati, in circostanze misteriose, la giornalista italiana Ilaria Alpi e il suo cameraman Miran Hrovatin. A causa dell’inquinamento di prove e della scarsa collaborazione internazionale, l’omicidio resta tutt’oggi coperto da troppi misteri.
Nell’ottobre del 2003, in Somaliland, viene uccisa Annalena Tonelli, missionaria italiana che sfidava l’infibulazione. Il 99% delle donne somale è stato sottoposto a mutilazioni genitali.
La Somalia quindi mantiene ancora uno stretto rapporto con l’Italia e con la Gran Bretagna come ex colonia: coloro che riescono ad emigrare, puntano a raggiungere l’Europa con questi Paesi come destinazione finale, laddove sono forti le comunità del Corno d’Africa. A Roma, c’è un intero quartiere segnato da vie che rimandano alla dominazione coloniale italiana in quella regione. Personalmente ho vissuto per un periodo a Largo Somalia.
È con questo sogno nel cassetto, che l’ex velocista olimpionica Saamiya Yusuf Omar, partecipa a Pechino 2008 a soli 17 anni, gareggiando nella specialità dei 200 metri.
Cresciuta col poster del mezzofondista britannico di origine somala, Mo Farah, pluricampione olimpico e mondiale, Saamiya torna tristemente alla ribalta della cronaca nell’aprile del 2012. Il sogno di cambiare vita, si spegne a soli 21 anni nel naufragio di un barcone nel Mar Mediterraneo.
La storia di Saamiya è stata raccontata in un toccante quanto meraviglioso libro di
Giuseppe Catozzella,
“Non dirmi che hai paura”.
La Somalia ha partecipato per l’ultima volta come delegazione olimpica nel 2012.
La
Federazione calcistica è al n.202 del ranking internazionale, ma a fine 2019 è stata protagonista di un incredibile doppio confronto con lo
Zimbabwe per l’accesso ai gironi di qualificazione ai mondiali. I somali hanno vinto l’andata a Mogadiscio per 1-0, perdendo il ritorno ad Harare per 3-1 solo nei minuti finali. Sarebbe stato l’upset più clamoroso nella storia del calcio africano.
Il ruolo dei cooperanti internazionali in uno Stato così povero e con una situazione politica tanto grave, è fondamentale.
Sottovalutarlo, o tacciare di avventurismo coloro che operano per migliorare le condizioni di vita di quelle popolazioni, è un qualcosa che non tolleriamo e a cui ci opponiamo ideologicamente e moralmente.
Come abbiamo visto, per una storia finita bene, ce ne sono molte altre con finale tragico, non solo in Somalia.
Si chiarisca l’omicidio del diplomatico Attanasio e del carabiniere Iacovacci in Congo.
Speriamo si faccia finalmente luce sull’omicidio, in Egitto, di Giulio Regeni.
E che nessuno di loro, e di tutti quelli che, come loro, hanno perso ingiustamente e inspiegabilmente la vita per lavorare alla pace e alla giustizia nel mondo, venga lasciato indietro.