Rogerio Ceni, nella foto copertina (di copalibertadores.com), ha segnato 59 gol in carriera da punizione diretta (103 compresi i rigori). Storico portiere del Sao Paulo, ma chiuso in nazionale (16 presenze totali) dai vari Taffarel, Marcos e Dida, ha vinto da riserva i mondiali del 2002. Con il club paulista vanta 3 campionati brasiliani, 2 Libertadores, 1 Intercontinentale e 1 Sudamericana.
Il brasiliano può essere considerato il maggiore esponente di una scuola di pensiero, quella del portiere che non riesce a stare fermo tra i propri pali, che conta leggende del calibro del colombiano René Higuita, il paraguayano Jose Luis Chilavert, il messicano Jorge Campos e l’argentino Gatti.
L’idea del portiere “matto” assume un senso oggi molto più profondo, che va oltre la semplice retorica romantica dell’estremo difensore col vizio dell’offensiva alla porta avversaria. Questi calciatori nascono in un contesto storico in cui il portiere giocava palla con i piedi solo sui rilanci da fondo campo. All’inizio delle loro carriere, infatti, il retropassaggio con i piedi poteva essere raccolto con le mani dai portieri. La regola generale cambia fra il ’93 e il ’94 un po’ ovunque ed esordisce ufficialmente a USA ’94.
La loro attitudine al gioco con i piedi va quindi rintracciata nella cultura sudamericana e nelle capacità individuali dei giocatori, molto più propensi a sentirsi “calciatori” pur non essendo “di movimento”, laddove il ruolo del portiere veniva considerato unicamente difensivo.
Tutto ciò ha avuto di recente uno sviluppo ancora più interessante. Con l’avvento del gioco di posizione e la crescita del possesso palla, con l’azione che parte dalla propria area di rigore per eludere la prima linea di pressione avversaria, il portiere è diventato parte completamente attiva della manovra.
Alcuni manager, addirittura, preferiscono impostare la squadra a partire da portieri più bravi con i piedi che con le mani.
Precursori di questo tipo di strategia li possiamo rintracciare in Europa, da Guardiola in avanti, fino all’enorme diffusione delle ultime due-tre stagioni.
Oggi, fra i migliori interpreti di questo tipo di calcio, troviamo sia fenomeni come il brasiliano Alisson, sia specialisti come il connazionale Ederson. Ma anche il colombiano Ospina, nonostante qualche errore comprensibile per il livello di rischio a cui questa tattica sottopone i portieri, ha beneficiato delle sue abilità coi piedi per togliere il posto ad un ottimo elemento come Meret, su cui il Napoli ha investito molto. Lo stesso Napoli, con lo spagnolo Reina e Sarri come allenatore, si era fatto portavoce, tra i primi in Italia, di questa strategia.
Nel calcio sudamericano il portiere assume da sempre un atteggiamento più coraggioso, ma almeno a livello di club il pressing alto non è così diffuso per larghi tratti della gara, facendo sì che i portieri abbiano più tempo per agire indisturbati portando avanti il pallone per qualche metro, pur senza creare vantaggi tangibili.
L’impressione è che anche a livello di top club, sempre più allenatori adotteranno questo sistema nel prossimo futuro, e le scuole di portieri europee, anche non latine, dovranno adattarsi negli allenamenti allo sviluppo della tecnica di base come, da decenni, i sudamericani sono già portati a svolgere.