L’uomo squadra è un qualcosa che prescinde dal ruolo in campo. Generalmente, parliamo di un calciatore in grado di interpretare più ruoli all’interno della stessa squadra e, quindi, più funzioni all’interno della stessa partita. Il giocatore totale incarna i numeri che vanno dal 7 in su. Parte dal centrocampo, fraseggia, ribalta il campo, dribbla, si muove senza palla, regala l’assist o finalizza. Talvolta, se la difesa avversaria è particolarmente arroccata, per trovare spazi è costretto a ricorrere fino alla posizione di 5.
La leggenda del “jugador total” trae origine e ispirazione dal Sudamerica, nell’atmosfera del futbol degli anni ’40.
Nel calcio di sistema
WM con
delantera a 5 elementi, caro alla
Maquina del River, il calciatore totale viene interpretato da
Moreno.
Pedernera e
Labruna erano le punte, Moreno l’uomo in più,
Muñoz e Loustau i più bravi a saltare l’uomo e a dare opzione di passaggio sulla fascia.
La famigerata “Maquina” del River Plate
Nel suo capolavoro narrativo
Splendori e Miserie del Gioco del Calcio, Eduardo Galeano cita un episodio che riguarda l’ultima partita della carriera di Moreno. Amichevole
Boca-Millonarios de Bogotà,
El Charro (sinonimo di
vaquero, un soprannome che si era guadagnato nella sua parentesi messicana proprio per la sua propensione a guidare la squadra) è allenatore-giocatore dei colombiani, ha 42 anni. Il Boca è in vantaggio 2-0. Moreno entra, segna due gol e saluta. La partita finirà 5-2 per i suoi. Per parafrasare un vecchio successo degli Outkast, Moreno era il
“prototype” del giocatore totale.
Seguendo il suo esempio nel River e nell’esperienza colombiana, Alfredo Di Stefano portò a compimento l’opera di Moreno, trasferendo in Europa lo stile iconico attraverso il quale vedeva il calcio. La Saeta Rubia vinse 5 Coppe Campioni di fila con il Real Madrid, facendo la storia del club e del calcio, in seconda battuta anche insieme a fuoriclasse del calibro di Puskas, altro giocatore totale nella metà campo offensiva.
Con l’aumento del ritmo di gioco, in concomitanza con l’avvento del calcio totale, l’uomo squadra ha dovuto compiere una scelta: privilegiare una posizione più avanzata, o più arretrata, per mettere le sue qualità al servizio del team.
In Sudamerica, il Pelè dei mondiali di Messico ’70 e il Cubillas della generacion dorada peruana (che conquistò la Copa America nel ’75 al fianco di Sotil e Chumpitaz), scelsero di guidare l’attacco. In Europa, nacque invece il mito del libero, che da Beckenbauer a Scirea, da Matthaus a Baresi, avrebbe rivoluzionato il ruolo sino al monopolio della zona.
Quando il Barcellona decise che era tempo di sopravanzare Real e Athletic Bilbao nelle gerarchie della prima divisione spagnola, Rinus Michels, su consiglio del Profeta del gol, Cruijff che l’aveva visto in azione nel ’74, fece seguire Teofilo Cubillas dai suoi osservatori. Quando questi si recarono a visionare le partite dell’Alianza Lima, capirono di trovarsi di fronte ad un altro calciatore totale come l’olandese, e virarono sul centravanti Sotil.
Il Barcellona vinse la Liga, ma Sotil, preso dalla vida loca catalana, non durò più di due stagioni ad alti livelli.
Con la nascita dei grandi 10 degli anni ’80, Maradona e Zico in America Latina, Platini e Rummenigge in Europa, l’uomo squadra esce dal suo canonico ruolo di calciatore totale e diventa libero di creare e finalizzare, per vincere le partite attraverso la realizzazione dei vantaggi della superiorità numerica negli ultimi 30 metri.
In questo senso, Lionel Messi può essere considerato l’ultimo talento in grado di traslare il calcio che fu nell’epoca moderna, grazie al suo talento a metà strada fra i “pibes” della retorica argentina e il calciatore totale alla Di Stefano.
Gli ultimi giocatori sudamericani in grado di incarnare lo spirito originario del jugador total, sono stati Veron (soprattutto quello di Parma, ovvero prima di arretrare il raggio d’azione a volante di centrocampo) e Kakà. Quest’ultimo, soprattutto nella sua versione 2007 al Milan, ha rappresentato quanto di più vicino al toponimo originale sublimato da Moreno e Di Stefano.
Un mito che, a nostro parere, sta scomparendo in favore di attaccanti più decisivi negli ultimi venti metri (più 9 che 9 1/2, sulla scia di Ronaldo Fenomeno, CR7 e, per citare la generazione futura, Mbappè e Håland), e centrocampisti più bravi nella costruzione della manovra che nella finalizzazione.
È l’evoluzione del calcio, rappresentata dal gioco di posizione e dal possesso palla quale generatore di vantaggi numerici.