L’Italia a Messico ’86: il difficile cammino degli Azzurri

L’Italia a Messico ’86: il difficile cammino degli Azzurri

Luglio 9, 2020 3 Di Luca Sisto

Riscopriamo il cammino dell’Italia a Messico ’86, un’avventura dimenticata, l’ultima fatica del Vecio Bearzot.

Il ritiro dell’Italia a Messico ’86: primi segnali di rottura

A cavallo dei mondiali messicani, nella torrida estate di quel meraviglioso spaccato storico che sono gli anni ottanta, Madonna esce in tutte le radio con Papa don’t preach, singolo e video in cui interpreta una ragazza incinta che non sa come dirlo al padre. Papà, non rimproverarmi, l’ho fatta grossa.

Il CT Bearzot, reduce dalla vittoria in Spagna quattro anni prima, porta ai Mondiali una nazionale di talento, ma stanca e con un mix mal digerito di giovani e veterani.
L’Italia, che non si era neppure qualificata agli Europei del 1984 dominati da Monsieur Platini, non giocava una partita ufficiale da oltre due anni.

La fase pre-ritiro viene svolta a Roccaraso, per abituare i convocati alla rarefazione dell’ossigeno in altura.
L’Italia si sposta poi a Puebla, un piccolo ma dignitoso paese tipicamente messicano, dove gioca pure un’amichevole contro la rappresentativa locale (1-1 senza brillare).
Bearzot, che nel frattempo si era inimicato la stampa al seguito, fino alla fine non scioglie il dubbio portiere, creando un inutile dualismo fra Giovanni Galli e Tancredi. La spunterà il futuro milanista.

Tra i convocati non c’è Franco Baresi, ma il fratello Beppe a centrocampo. Tardelli e Pablito Rossi vengono aggregati per puro spirito di spogliatoio e, forse, riconoscenza.
In ritiro Bearzot prende in disparte Galderisi e De Napoli: saranno loro i titolari al posto degli eroi dell’82. La colonia veronese (scudetto ’85) supera quella juventina (scudetto ’86), ma è l’Inter a portare il numero più alto di convocati azzurri, ben 6.
Tra questi, oltre allo Zio Bergomi, figura Spillo Altobelli, l’unico a salvarsi della spedizione.
Il n.18 riprende da dove aveva interrotto, ovvero dal gol della staffa nella finale contro la Germania Ovest. Sarà l’unico calciatore azzurro a figurare tra i marcatori.

La prima partita contro la Bulgaria: decisiva per incrementare l’ansia del gruppo

A detta dei giocatori, la prima partita contro la Bulgaria è stata decisiva per far venire a galla una serie di ansie e paure che hanno diviso il gruppo. Gli azzurri si fanno raggiungere dal pari bulgaro a 5 minuti dalla fine.

L’Argentina di Maradona, il quale, tirato a lucido da far paura, aveva fatto visita ai compagni napoletani Bagni e De Napoli nel ritiro azzurro, è l’avversario successivo.
Un rigore di Spillo al ‘6 sembra spianare la strada, ma un tocco da biliardo di Diego costringe L’Italia al secondo pareggio di fila.

Terza gara, contro lo spauracchio Corea del Sud. Si vince con un sofferto 3-2 (doppietta di Altobelli e autorete coreana), strappando il secondo posto alle spalle dell’Albiceleste.

Ci aspetta la Francia di Platini agli ottavi.
L’Italia, si dirà, affronta la gara con un timore reverenziale giustificabile solo con l’aura potente che avvolge i campioni europei in carica. Platini e Stopyra fissano il risultato sul 2-0 con un gol per tempo. L’Italia torna mestamente a casa, finisce nel peggiore dei modi l’epoca Bearzot. Ma per fortuna, tutti lo ricorderemo per aver riportato la Coppa del Mondo a Roma dopo 44 anni.