Diego sarà sempre El Pibe

Diego sarà sempre El Pibe

Novembre 25, 2020 0 Di Luca Sisto

Da bambino, per tenermi buono, era sufficiente piazzarmi davanti alla TV con le videocassette di Maradona. Dagli Scudetti alla Coppa UEFA, dai Mondiali dell’82 a quelli del ’90, passando per “Hero”, Maradona un Eroe, il film dei mondiali del 1986, il più bello in assoluto mai creato dalla FIFA, perchè vide nel Diez la massima espressione del calcio mondiale, uno spot probabilmente irripetibile in cui le comparse erano sì un gradino sotto, ma restavano fuoriclasse assoluti, come Platini, Zico, Rummenigge e tanti altri.
Poi vennero i Mondiali del 1994. Fino a quel momento, sapevo esattamente, guardando una partita di Diego, quando e come avrebbe segnato o fatto segnare gli altri. Ma quel giorno era diverso. Vedemmo il miracolo del calcio accadere in diretta. Non tifavamo per l’Argentina, tifavamo per il calcio, e il calcio, anche a 34 anni, dopo la squalifica per cocaina e, purtroppo, quella successiva per doping, si chiamava Diego Maradona.
Quando ce l’hanno portato via dal campo, accompagnato ad una giunonica infermiera bionda, non sapevo che non l’avremmo più rivisto a certi livelli. Per questo motivo, il gol alla Grecia rappresenta per me l’anello di congiunzione fra il sogno e la realtà, nell’immaginario maradoniano che ho costruito nella mia mente di tifoso e credente.
Diego è sempre stato se stesso solo con un pallone tra i piedi.
Talvolta, nell’amore per i bambini ha trovato la felicità. Come con Benjamìn.
Un bambino mai davvero cresciuto, e questo nonostante l’amore ricevuto e offerto ai suoi genitori, le uniche persone che venerava e che ora potrà rivedere nell’altra dimensione. Di tutti i soprannomi, Pibe, classico argentino, è quello che più gli si addice.
Come tanti bambini era capriccioso, si stracciava le vesti e sostituiva vizi su vizi. Solo che i suoi vizi non erano cartoni, giocattoli, cioccolatini e bolle di sapone.
Tutta roba che mangia il cervello. Alcol, droghe, cibo, ogni tipo di donne.
Come tutti i bambini aveva bisogno di sentirsi importante, il più importante.
In questo noi napoletani siamo stati perfetti per lui. Attendevamo il nostro Masaniello, il capopopolo, che ci ha fatto vincere e l’abbiamo eletto nostro dio, come la tribù cambogiana col colonnello Kurtz in Apocalypse Now. Lui ci ha messo sulla mappa. Il mondo lo identifica con il Vesuvio, con il mare, con il San Paolo. Ma è argentino. A Barcellona l’hanno cacciato, noi l’abbiamo accolto.
Da decenni, Diego combatteva con i propri demoni. Quindici-venti anni fa, nessuno avrebbe scommesso su un solo giorno di vita in più.
Ricordo il primo infarto a Punta del Este. Ero in auto quando la radio diffuse la notizia, con mio fratello ci dicemmo “sta veramente morendo!” Lui sarebbe andato fino in Argentina al funerale se fosse stato possibile.
E nel 2005, la festa di Ferrara si trasformò nella sua festa. Piangemmo nel vederlo passare sotto la curva B. I biglietti costavano 5 euro. Quando fu chiaro che sarebbe venuto Maradona, salirono a 50, 100 euro! I bagarini fecero affari d’oro.
Diego è follia, pura locura. È Dioniso reincarnato nel dio del pallone.
Chi era con lui, l’ha amato. Chi ha avuto la sfortuna di vedersi sconfitto e respinto, ne ha fatto un nemico.
E’ morto D10S, evviva D10S.
Para siempre Diegote.