Il punto del Dott. Solone, vol.7: salviamo i sogni dei bambini
Dicembre 14, 2020Avevo soltanto 22 anni. Era una calda estate del 1982 ed invece di studiare per gli esami di giurisprudenza ero incollato a vedere i mondiali in terra spagnola. Ero giovane, avevo tanti capelli in più e quel pallone bianco e nero lo guardavo con occhi infuocati, accesi dall’amore smisurato che nutrivo per esso. In quell’estate mi innamorai. Uno di quegli amori che trovi in vacanza e poi finiscono nello scatolone dei ricordi. Mi innamorai però, soprattutto, di un attaccante rapido e letale. Ma se della ragazza conosciuta in Calabria mi innamorai solo io, di quell’attaccante magnifico ci innamorammo tutti: milioni e milioni di italiani, donne e bambini, giovani e vecchi.
Eppure quel mondiale partì malissimo. Tre pareggi su tre con Polonia, Perù e Camerun, una qualificazione strappata per il rotto della cuffia. Passammo alla fase successiva. Nel girone successivo vincemmo con l’Argentina, poi il Brasile: l’amore smisurato per Paolo Rossi. Ai Verdeoro ne segnò ben 3, ma non era finita lì: in semifinale doppietta decisiva con la Polonia, in finale il gol che aprì le ostilità con la Germania Ovest.
Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo.
Quattro anni più tardi, in un’estate ancora più calda mi immersi nei mondiali messicani del 1986. Allo stadio Azteca, davanti agli occhi dei 115 mila presenti, che diventarono occhi di milioni, forse miliardi di persone sintonizzate per vedere quell’estroso calciatore dai riccioli neri, il dio del Calcio si manifestava su terra in tutta la sua onnipotenza. Maradona ci regalò i 2 gol più belli della storia del calcio, ognuno a suo modo. Uno di rapina. Un modo per ricambiare le mire espansionistiche ed oppressive degli inglesi proprio ai danni degli argentini. In quella mano ci fu la forza di tutto un popolo a spingere la sfera in rete. Poi Diego, solo 4 minuti dopo, decise di regalare all’umanità il gol più bello della storia del calcio.
Immaginerete che sono state settimane difficili per chi è cresciuto con questi due miti nel cuore e li ha visti volare via a distanza di così poco tempo uno dall’altro. Quegli occhi che erano accesi dall’amore, ora sono più tristi, più vuoti, più grigi. Ma il calcio, con tutti i suoi difetti, i suoi cambiamenti, le sue evoluzioni che spesso sono involuzioni, ha la magia unica di ricrearsi, di reinventarsi, di proporci nuove storie da raccontare. Io, ormai, sono vecchietto, il tempo dei sogni col pallone è finito. Ma ci sono tanti bambini nel mondo che vanno a dormire col pallone sotto il braccio, che quando vedono la luna piena provano a colpirla di testa al volo, che quando camminano per strada e vedono una lattina la calciano pensando di essere lì a giocarsi una finale mondiale, come Paolo e Diego.
Che continuino a sognare, ancora di più, questi bambini, con la speranza che questi occhi tristi possano tornare a sorridere guardando le loro gesta tra qualche anno. Perchè forse ci sarà un nuovo Paolo Rossi tra i vicoli di Napoli, tra le strade di Palermo, tra i campi della provincia di Bergamo o in Piazza a Siena, magari un nuovo Diego, tra i barrios argentini, o chissà dove nei luoghi più remoti della terra. E’ la magia del calcio e bisogna crederci, come in Peter Pan dove se non credevi nelle fate, queste morivano. Ecco, i bambini devono sognarlo, e noi più grandi dobbiamo credere nei sogni di questi e fare in modo che si avverino, altrimenti il calcio muore.
Del resto, da dove era partito Diego, se non dai suoi sogni? “Il mio primo sogno è giocare i Mondiali; il secondo, diventare campione”, diceva in una famosissima videointervista da bambino.
A proposito di Paolorossi tutt’attaccato, 13 mesi fa per lanciare la sua autobiografia dalla sua pagina FB, proponeva la foto che abbiamo utilizzato in copertina, con queste parole:
Ero bambino, avevo un grande sogno: diventare calciatore. Ho fatto sacrifici infiniti, ho consumato tante scarpette, avevo un idolo…ho lasciato la mia casa di Prato a 16 anni tra le lacrime di mia madre che non voleva lasciarmi andare, ho rotto tre menischi in tre anni, ho subito una grande ingiustizia, ho provato molta gioia e tanto dolore, ma non mi sono mai arreso e sono diventato Pablito, Campione del Mondo e Pallone d’Oro. E quel sogno di bambino è diventato realtà.
Credo ci sia poco da aggiungere. Sogni e sacrifici, lacrime e sudore, questo è calcio, è sport. E mentre ai bambini in questi mesi è rimasta solo la TV per guardare i propri beniamini, il mio sogno è che possano presto tornare a socializzare, a giocare insieme. Perchè lo sport e la scuola sono anche e soprattutto amicizia, il modo migliore per stare insieme, crescere. Di tutte le criticità di questa pandemia, fra lutti e disperazione finanziaria e psicologica di molti, il tempo sociale sottratto ai bambini è uno degli aspetti più sottovalutati.
Di fare commenti piccati sull’ultima giornata di serie A, perdonatemi, proprio non mi va, ma dal turno infrasettimanale, se sarà di vostro gradimento, continuerò a commentare con sarcasmo le gesta (mmm) dei campi di Serie A.
Un saluto dal vostro Dottor Marcello Solone.