Ronaldo: l’Età del Fenomeno
Dicembre 17, 2020 0 Di Luca SistoCos’era il Fenomeno
Luis Nazario da Lima Ronaldo, O Fenomeno, è stato nei suoi momenti migliori la cosa più vicina alla perfezione che un calciatore potesse incarnare in campo, dai tempi di Diego Armando Maradona. I due erano anche amici e, sebbene Diego mostrasse amore un po’ per tutti (e un po’ tutti ne mostravano a lui), in più di un’occasione sia il Pibe che O Rey Pelé sono stati d’accordo: Ronaldo Fenomeno era nella stessa frase con loro, faceva parte dello stesso Pantheon.
Spesso sentiamo dire che Ronaldo senza infortuni sarebbe stato il migliore in assoluto. Sinceramente trovo stucchevole questo discorso. Credo che il Ronaldo del primo Pallone d’Oro (’97) e quello del secondo Pallone d’Oro (2002) siano, per quanto diverse, due massimali incarnazioni dello stesso immenso calciatore.
Il Fenomeno che viene acquistato dai nerazzurri di Moratti, dopo aver incantato nel PSV e nel Barcellona tra il 1995 e il 1997, e che all’Inter vivrà il momento migliore e quello peggiore della sua carriera nei club, non aveva la maturità e la consapevolezza (di se e del suo corpo) di quello che, fra il 2002 e il 2005, avrebbe dominato gli ultimi trenta metri di ogni campo della Liga e d’Europa con la camiseta blanca del Real Madrid.
Corsi e ricorsi storici
Il grande filosofo napoletano vissuto a cavallo fra il XVII e il XVIII secolo, Giambattista Vico, passato alla storia in maniera semplicistica per aver teorizzato la ciclicità del tempo, individuava tre diverse età: l’età degli dei, caratterizzata dal diritto divino; l’età degli eroi, costituita da un ordine di diritto misto, divino e umano; e l’età degli uomini, governata dal diritto della ragione.
Ronaldo è andato incontro, come quasi tutti i calciatori di altissimo livello, a diverse fasi della sua carriera. Il primo Fenomeno che si è manifestato pubblicamente aveva sembianze divine, era onnipotente. Ma quel calciatore andò oltre le possibilità muscolari, articolari e tendinee di un uomo inconsapevolmente fragile (solo nel settembre del 1999 i medici dell’Inter gli diagnosticarono una tendinopatia rotulea). Il Ronaldo dalla Coppa del mondo del 2002 in poi era umano ma altrettanto decisivo, aveva imparato l’arte della “conservazione”, una consapevolezza ragionata con la quale aveva dovuto fare i conti prima di altri grandi calciatori “integri”, proprio per via dei gravi infortuni patiti lungo tutto l’arco della sua carriera.
Ronaldo divino
Il giorno in cui il Brasile vinse i mondiali del 1994 a Pasadena, con un Paese intero che aveva atteso 24 anni, fino al rigore di Baggio, per tornare calcisticamente sul tetto del mondo, Luis Nazario da Lima era in campo a festeggiare con gli illustri compagni. Esclusi i portieri di riserva, Ronaldo fu (con il difensore Ronaldao, chiamato così per distinguerlo dall’attaccante carioca) tra i calciatori di movimento mai impiegati dal CT Parreira.
Il suo sorriso lasciava comunque trasparire la gioia quantomeno di esserci, a 18 anni ancora da compiere. Una bella investitura, che non toccò neppure a Diego Maradona, non convocato dal CT Menotti per i Mondiali di Argentina ’78, pur essendo già allora il calciatore più talentuoso della Selecciòn. Ronaldo, altresì, era sicuramente il calciatore più ricco promettente di tutto il Brasile, ma non avrebbe trovato spazio con la coppia Romario-Bebeto in quella forma fisica e tecnica. Parliamo di due campioni assoluti, questo è chiaro.
Percorso simile, quello che accomuna il Fenomeno con l’altro asso di Rio de Janeiro. Fu proprio O Baixinho, che ad Eindhoven deve essersi annoiato tanto da concentrarsi solo sul calcio, a consigliare a Ronaldo un approccio soft all’Europa: il passaggio dal Cruzeiro al PSV in Olanda fu tappa intermedia (prima di Barcellona) estremamente formativa per Ronnie.
Dalle temperature brasiliane al gelo di Eindhoven, il giovane Fenomeno accrebbe il suo bagaglio fisico e tecnico. L’aspetto più critico da affrontare, al di là del freddo, fu quello che lo avrebbe tormentato per il resto della carriera: permettere alle sue fragili ginocchia di tollerare una crescita muscolare e di peso repentina. Una volta ingranata la marcia, però, Ronaldo dimostrò ben presto di essere fuori contesto.
Dopo aver realizzato 30 gol in 33 partite di Eredivisie nella prima stagione, Ronaldo saltò oltre metà della seconda per un infortunio al ginocchio (lesione del tendine rotuleo, che si rivelerà una triste costante), realizzando 12 gol in 13 partite. Vinse la Coppa d’Olanda, con un bottino totale fra campionato e Coppe di 54 gol (Foto Pinterest).
Venti milioni di dollari sono necessari al Barcellona per portarlo in Catalogna, contro i 6 sufficienti a suo tempo agli olandesi per il primo passaggio in Europa. In blaugrana, Ronaldo offrirà le prime manifestazioni del divino, passando dallo stato umano a quello sovrannaturale in più di un’occasione.
Contro il Compostela, il Fenomeno controlla un pallone a centrocampo affrontato da due avversari. Uno di loro gli strattona vistosamente la maglia, costringendolo a “sedersi” per sfuggire al fallo. In quell’istante, come caricato da una molla, Ronaldo riparte arrivando fino in porta. Lo abbraccia Stoichkov che, pur essendo un campione, probabilmente avrà visto una cosa simile solo quando era ragazzino in Bulgaria e si prendeva gioco degli altri pari età. Lo stadio è in piedi, il telecronista si limita ad un incredulo quanto laconico “què golazo!”.
Al termine della stagione 1996-97, il Barcellona manca la Liga ma i gol del brasiliano fruttano una Coppa delle Coppe (con rigore decisivo in finale contro il PSG) e una Copa del Rey. Sono 34 i gol in campionato e 47 quelli complessivi in 49 partite ufficiali. Impressionante.
Il mondo intero, a questo punto, è innamorato di Ronaldo. Ma è Massimo Moratti a strapparlo alla concorrenza dopo una sola stagione al Barça, grazie a quarantotto miliardi del vecchio conio, l’acquisto più caro della storia fino a quel momento. In maglia nerazzurra, alla fine del 1997, solleva il suo primo pallone d’oro diventando il calciatore più amato e conosciuto al mondo. Ben presto, sarebbe diventato anche il più compatito. Ma prima contribuisce al secondo posto in campionato, sfiorando lo Scudetto fra mille polemiche alle spalle della Juventus, e conquistando la Coppa Uefa a suon di gol e prestazioni inarrestabili come questa contro lo Spartak Mosca.
Altra manifestazione del divino: sul campo fangoso, ghiacciato e dannatamente impraticabile del Luzhniki di Mosca, Ronaldo riceve palla a trequarti di campo, si gira in un fazzoletto, scambia con Zamorano e galleggia fino alla porta saltando avversari, danzando come se fosse Pljuščenko alle Olimpiadi.
Immaginifico il gol alla Lazio nella finalissima, dominata dall’Inter 3-0. Ronaldo scatta sul filo del fuorigioco e punta Marchegiani. Il suo classico doppio passo stavolta subisce una modifica stilistica netta: il Fenomeno non tocca il pallone e neppure lo aggira, semplicemente, man mano che la sua falcata avvicina il portiere laziale, sposta a ripetizione il peso del corpo lateralmente, alternando destro e sinistro in una stregoneria che spedisce Marchegiani al tappeto. Impercettibile deviazione a destra col pallone e gol a porta vuota.
Ai Mondiali di Francia del 1998, il Brasile è campione uscente e favorito d’obbligo e Ronaldo è ampiamente il miglior giocatore del mondo, il più temuto dai grandissimi difensori di fine anni Novanta (nella foto copertina da gettyimages, sfugge alla marcatura di Cannavaro e Maldini al torneo pre-mondiale di Francia del ’97).
La Seleçao supera la Scozia 2-1 nella gara inaugurale grazie ai gol di Cesar Sampaio, centrocampista di contenimento, ma Ronaldo riappare al massimo della forma già nel 3-0 al Marocco col suo primo gol in carriera ai Mondiali. In tre edizioni giocate (delle quattro totali a cui prese parte) sarebbe arrivato a quota 15. Un record superato solo da Miro Klose durante il tragico Mineirazo del 2014.
I gol di Ronaldo al Cile agli ottavi sono due. Contro la Danimarca, nel quarto di finale più bello dei mondiali, si trasforma in rifinitore e manda in porta Bebeto e Rivaldo. Segna di nuovo all’Olanda in semifinale, in una partita in cui il Brasile gli affida letteralmente il peso di ogni azione offensiva per contenere lo strapotere fisico degli Oranje. I Verdeoro la spunteranno solo ai rigori.
Poi, d’un tratto, il buio.
La caduta del dio e il doloroso ritorno allo stato “umano”
La vigilia della finalissima contro la Francia del 12 luglio 1998, è scossa da una vicenda le cui fattezze, a distanza di anni, non sono mai state accertate.
Roberto Carlos trova il compagno di stanza Ronaldo svenuto, in preda, si disse, a convulsioni. Come se in quell’istante, la tensione organica di un uomo che reclamizzava l’idea che“la potenza è nulla senza controllo” per un noto marchio legato al suo club, fosse del tutto collassata. Ronaldo viene ricoverato in attesa di ulteriori esami che non avrebbero mai del tutto chiarito quanto davvero avesse rischiato di morire quella notte (si è parlato anche di un lieve attacco cardiaco). Il suo nome non compare nella distinta ufficiale inviata ai giornalisti. Come ebbe a dire Petit “capimmo che saremmo diventati campioni guardando le facce dei brasiliani che entravano in campo”.
Fra i verdeoro che fanno il loro ingresso sul terreno dello Stade de France, tenendosi per mano, in realtà c’è anche Ronaldo. O, quantomeno, ciò che ne restava dopo quella drammatica notte. Il Brasile viene preso a testate da Zidane senza mostrare la minima reazione nervosa.
L’immagine di Ronaldo che tenta di sorreggersi al corrimano incespicando nella discesa dalla scaletta dell’areo appena atterrato a Rio, è la Chernobyl di tutto ciò che significava il Fenomeno per il calcio brasiliano e mondiale.
L’Inter comincia la stagione ’98-’99 con rinnovato ottimismo, affiancando a Ronaldo e Zamorano il Divin Codino, reduce da un ottimo mondiale e dalla fantastica stagione in maglia bolognese.
Ma le cose non vanno come previsto. I continui cambi di gestione tecnica e una serie di risultati negativi faranno scivolare i nerazzurri ad un inopinato ottavo posto in classifica.
Nel settembre 1999, Ronaldo in preda ai continui dolori alle ginocchia perde definitivamente il suo status divino: la diagnosi è terrificante, tendinopatia rotulea. Il pericolo che quelle microlesioni portino ad una rottura del tendine rotuleo del ginocchio destro è dietro l’angolo. Ronaldo è costretto ad amministrarsi. Niente più “stop and go” a velocità supersonica, niente più cambi di direzione folli, come un’auto da Formula1 fra le chicane di Montecarlo sulla quale hanno inserito un motore troppo potente per il telaio.
Il 21 novembre 1999, in occasione di Inter-Lecce, il tendine del ginocchio destro cede. Ronaldo resta fuori dai campi 141 giorni. L’Inter gioca senza dubbio un campionato migliore e in aprile è in programma la sfida alla Lazio di Coppa Italia. Lippi si gira verso la panchina fra primo e secondo tempo, Ronnie c’è. Una preghiera al Cristo Redentore, 3 volte il segno della croce, il Fenomeno torna a calcare l’erba di uno stadio da calcio in una partita ufficiale. E’ il 12 aprile 2000. Il sogno dura 6 minuti prima di ripiombare nell’incubo peggiore, con la caduta davanti agli occhi di Pancaro e Couto e due urla strazianti (“mamma! papà!”) che squarciano il cielo dell’Olimpico di Roma.
Passano altri 522 giorni prima di rivedere Ronaldo in attività. Fast forward e l’Inter di Cuper ritrova le lacrime del Fenomeno, a mezzo servizio per tutta la stagione, e di tutta la tribù interista nel giorno del famigerato 5 maggio 2002.
Ronaldo fuoriclasse dal volto umano
Eppure, il Brasile che si presenta ai mondiali nippo-coreani del 2002 è uno dei più solidi di sempre. Ronaldo regge perfettamente la preparazione iridata e, complice una ritrovata mentalità vincente, con 8 gol in 7 partite trascina (con Rivaldo e Ronaldinho) la Seleçao al quinto titolo mondiale. Passano cinquantasei giorni dalle lacrime dell’Olimpico (stadio maledetto per Ronnie) alla coppa alzata al cielo di Yokohama.
Ronaldo è stato incredibile per tutta la manifestazione, ma il gol alla Turchia in semifinale con un astuto diagonale di punta, e la doppietta alla Germania nella finalissima, lo consacreranno nuovamente come pallone d’oro. Una risalita dagli inferi repentina, attesa ed inaspettata date le premesse di una stagione che non aveva mai visto in campo il Ronaldo di un tempo. Ma il punto è proprio questo: quel Ronaldo è andato incontro ad una radicale trasformazione di sé, fisica, atletica e mentale. Gattopardianamente, ha dovuto cambiare tutto, per fare in modo che il suo dominio sul gioco restasse quello che era.
Il 31 agosto 2002, sul fil di lana, il Real Madrid conclude la telenovela di mercato dell’estate: Moratti cede ai 45 mln di euro di Florentino Perez e Ronaldo diventa il nuovo tassello dei Galacticos freschi campioni d’Europa.
L’atteso esordio avviene contro l’Alaves: neppure il tempo di entrare in campo, il Fenomeno stoppa il pallone in area portando il rimbalzo della sfera leggermente alla sua destra, e con una torsione dell’anca schiaccia il pallone sul terreno di gioco infilandolo sotto l’incrocio.
Il 3 dicembre 2002 Ronaldo torna all’International Stadium di Yokohama, e 5 mesi dopo aver sollevato al cielo la coppa del mondo per nazioni con la Seleçao, mette le mani sulla Coppa Intercontinentale col Real Madrid, suggellando l’impresa con il gol che apre le marcature contro i paraguayani del Club Olimpia di Asunciòn, allenati dall’ex portiere della nazionale argentina dell’86, Nery Pumpido, nel 2-0 finale.
In questa versione dei Merengues, il leggendario allenatore Vicente del Bosque opta per 4-2-2-2 di brasiliana memoria, con Figo e Zidane protetti da Cambiasso e Makelele, pronti a lanciare in porta Raul e Ronaldo, e una linea a 4 di difesa con, da destra verso sinistra, Salgado-Helguera-Hierro-Roberto Carlos, davanti a Casillas.
Questo assetto mette a suo agio Ronaldo sciogliendolo da compiti di costruzione della manovra offensiva e consentendogli di concentrarsi sul suo nuovo tempio: l’area di rigore, della quale è sacerdote assoluto.
Al termine di un’altra grande stagione, Ronaldo vincerà il suo primo campionato nazionale, la Liga e concluderà la sua marcia verso una mai raggiunta finale di Champions in semifinale contro la Juventus, poi sconfitta ai rigori nella finale dell’Old Trafford dal Milan di Ancelotti.
Proprio all’Old Trafford contro lo United, Ronaldo si manifesta nuovamente sotto sembianze divine: la storica tripletta con la quale permette ai Blancos di eliminare i Red Devils in uno scontro all’ultimo sangue con un mai domo David Beckham (che fece innamorare Don Florentino in quella gara) è considerata la più grande performance individuale di un giocatore avversario nel Teatro dei Sogni. Averla realizzata contro la sua nemesi, il portiere francese Fabien Barthez, è il dessert che rende il menù stellato.
Nel 2004 Ronaldo torna di nuovo a vincere il trofeo di Pichichi della Liga, a 7 anni di distanza da quello conquistato in maglia Blaugrana.
La seconda parte della sua carriera a Madrid, però, è costellata da infortuni muscolari, e la collezione di figurine dei Blancos lo relega, col tempo, ad un ruolo di secondo piano.
Dopo aver segnato l’ultimo gol ai Mondiali, il quindicesimo, contro il Ghana, sarà di nuovo la Francia a rispedire a casa lui e il Brasile ai quarti di finale grazie ad un sontuoso Zidane.
Nella stagione 2006-07, il Real di Capello, futuro campione della Liga, in gennaio lo cede al Milan. I rossoneri vinceranno la Champions, ma Ronaldo funge da semplice talismano, dal momento che all’epoca, avendo giocato la prima fase con un’altra squadra, la regola stabiliva che non si potesse giocare la seconda col nuovo club d’appartenenza.
Col Milan si segnala per un gol in un derby perso, stavolta dall’altra parte della barricata, e per la nuova rottura del tendine rotuleo, in questo caso del ginocchio sinistro.
Il finale di carriera è dedicato al ritorno in Brasile. Ronaldo, ora più che mai conosciuto come“El Gordo”, appellativo che si era tristemente guadagnato nella seconda fase della sua parentesi spagnola (ai mondiali di Germania si presentò con un poco invidiabile peso di 95 kg, ben 15 oltre la sua forma fisica storica), indossa la maglia del Corinthians e vince il Paulistao del 2009, con un 4-2 aggregato nella doppia finale contro il Santos di un giovanissimo Neymar. Il gol del Fenomeno del momentaneo 2-1 in trasferta nella gara d’andata, è una perla di rara e inestimabile bellezza.
Ultimo assaggio di eredità dell’onnipotenza calcistica che fu.
Andate al minuto 6.36 del video e piangete con me
Immagine di copertina tratta da Wikipedia.