Come ogni ragazza lei va pazza per Meazza

Come ogni ragazza lei va pazza per Meazza

Dicembre 20, 2020 5 Di Alessandro Amodio

Il decennio d’oro di Giuseppe Meazza, il Balilla. Racconto delle sue gesta con l’Inter e la Nazionale sullo sfondo dell’Italia degli anni ’30.

 

Nel 1930 il Partito Nazionale Fascista è l’unico partito in Italia. Ha pieni poteri e si avvia verso un percorso politico che porterà il paese, dieci anni dopo, ad entrare in guerra al fianco dei tedeschi.

Il decennio si apre con il matrimonio tra il principe ereditario Umberto II (Re di Maggio) e la principessa Maria Josè del Belgio, col beneplacito del Papa Pio XI, a suggello del disgelo nei rapporti fra Stato e Chiesa grazie ai Patti Lateranensi, entrati in vigore da meno di un anno, che risolvono l’annosa “Questione Romana”.

La musica si ascolta tramite i primi programmi radiofonici della neonata EIAR, antesignana della Rai, oppure, per le classi più agiate, mediante i dischi a 78 giri. Il primo disco a 45 giri sarà inciso nel 1948, dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Per il calcio è un decennio di grandi trasformazioni.

L’Uruguay si appresta ad ospitare e poi vincere il primo campionato mondiale di calcio. Il campionato italiano apre ad un nuovo format: la stagione 1929/1930 è la prima disputata a girone unico senza la divisione fra nord e sud.

L’esordio e i primi successi

Nell’Ambrosiana (il nome con cui per ragioni ideologiche fu rinominata l’Inter) comincia a salire alla ribalta della cronaca un giovane attaccante soprannominato Il Balilla. I più maliziosi sostenevano che questo soprannome gli fosse stato affibbiato in quanto ritenuto vicino ad ambienti fascisti.

In realtà il termine balilla, che sta ad indicare un ragazzo, fu coniato alcuni secoli prima dell’avvento del PNF. A Meazza fu dato questo soprannome perché cominciò a giocare in prima squadra da quando aveva solo 16 anni, lanciato da Arpad Weisz.

Con 31 gol in 33 partite trascina l’Ambrosiana alla conquista dello scudetto, guadagnandosi la convocazione in Nazionale (doppietta all’esordio contro la Svizzera), diventando presto un punto fermo.

Dopo la mancata partecipazione al mondiale per scelta politica, contro l’assegnazione del mondiale all’Uruguay, l’Italia si appresta ad ospitare la seconda edizione del Campionato del Mondo. Mussolini caldeggiava la candidatura italiana, avendo già capito l’importanza del calcio sulle masse, affinché potesse usarlo come strumento della sua propaganda.

Meazza è una delle stelle di quella squadra, nonostante non abbia ancora compiuto 24 anni, a quel punto della carrriera ha già realizzato oltre 160 gol in massima serie e 20 gol in 22 partite con la maglia azzurra. Numeri da capogiro ancor di più se pensiamo alla giovane età di Peppìn.

Grazie al gol di Schiavio l’Italia batte la Cecoslovacchia in finale, davanti agli occhi del Duce. Tempo dopo Gianni Brera definirà Meazza, che era uno dei suoi giocatori preferiti, il “fòlber” una traslitterazione milanese del termine footballer (il calciatore). Un Mondiale che l’Italia aveva vinto superando corazzate come la Spagna ai quarti, in un replay molto discusso con Zamora out per un infortunio e in polemica con l’arbitraggio della gara precedente, e l’Austria del Wunderteam in semifinale, anche in questo caso con un gol di Guaita molto dibattuto dalle cronache per una probabile carica sul portiere Platzer proprio da parte di Meazza.

Pochi giorni dopo la finale, Mussolini a Venezia incontra per la prima volta Hitler, deriso dagli stessi gerarchi fascisti per il suo goffo abbigliamento. Era tempo di consolidare le alleanze con le potenze straniere, strizzando inizialmente l’occhio sia agli inglesi che ai tedeschi.

Dopo la conquista del mondiale, arriva anche l’oro olimpico di Berlino del ’36, ma gli anni ’30 italiani nel calcio offriranno ancora un’altra impresa.

Meazza (foto copertina www.giuseppemeazza.it) è una celebrità, tutti conoscono il suo volto da divo del cinema e le sue gesta sul rettangolo verde. Gilberto Mazzi, parafrasando Leopardi, gli dedica una canzoncina che fa così:

La donzelletta torna dalla campagna

leggendo la Gazzetta dello Sport

e come ogni ragazza

lei va pazza per Meazza che fa reti a tempo di fox-trot

1938: l’anno della definitiva consacrazione

Ormai è un calciatore affermato, ottiene grandi soddisfazioni personali, sempre in doppia cifra e raggiunge (primo in assoluto) la quota di 200 gol in A. Nel 1938 vince il suo secondo scudetto con l’Ambrosiana, laureandosi capocannoniere e, a 28 anni, si appresta a disputare il mondiale in Francia da Campione del mondo.

In Europa la situazione si fa molto pesante, con lo spauracchio della guerra alle porte. L’Italia rompe ogni rapporto diplomatico con gli inglesi. A fine anno la promulgazione delle leggi razziali che avvicineranno ideologicamente sempre più il Fascismo al Nazionalsocialismo tedesco.

La Nazionale di Pozzo non trova un clima pacifico in Francia: emblematico l’episodio del saluto romano ripetuto due volte, in segno di sfida nei confronti degli esuli italiani presenti a Marsiglia che accusavano la squadra di essere un mezzo di propaganda del regime.

L’Italia bissa il successo del 1934 superando squadre come Brasile in semifinale e Ungheria in finale. Meazza, dopo i due gol del ’34 ne realizza uno solo nel ’38 (contro gli Stati Uniti), ma è il capitano e leader di quella squadra coaudiuvato stavolta dal bomber cresciuto nella Pro Vercelli, Silvio Piola e da un grande Colaussi in finale (doppietta per entrambi). Gli azzurri s’impongono 4-2 sull’Ungheria di Sàrosi, che non era ancora l’Aranycsapat degli anni ’50 ma rappresentava comunque una grande potenza del calcio mittel-europeo. Gli italiani erano reduci da un lungo viaggio in treno per giungere alla finale (giocata a Colombes, vicino Parigi, allo stadio Yves du Manoir) da Marsiglia, visto che i brasiliani non avevano voluto rinunciare ai biglietti dell’aereo già prenotati.

Anche qui non mancano scaramucce sugli spalti tra fascisti e antifascisti, anche italiani, in particolare nella gara con i francesi (sconfitti ai quarti), che di lì a pochi anni, col fallimento della politica dell’appeasement, verranno invasi da Hitler.

L’inesorabile declino

Quella che può essere considerata l’apoteosi della carriera di Meazza, ormai arretrato in posizione di regista offensivo, non è altro che l’iniziò della fine.

La stagione 1938/39 non è una delle migliori. Un’occlusione dei vasi sanguigni, conosciuta nel gergo popolare come “piede gelato” , lo costringe a stare lontano dai campi per oltre un anno e mezzo.

Il ritorno in campo nel 1940 è uno shock e non solo per i tifosi ma anche per Meazza. La dirigenza dell’Inter (Ambrosiana), riteneva ormai la sua bandiera, l’idolo indiscusso dei tifosi, un ex giocatore e decide di “cederlo” ai cugini rossoneri. Questo passaggio all’altra sponda meneghina appare quasi come un’onta nella carriera di Meazza.

In due stagioni col Milan non lascia grandi ricordi, nel frattempo l’Italia è entrata in guerra. Gli ultimi anni di calcio a disposizione di Peppìn sono tranciati di netto.

Il triste commiato

L’illusione di un benessere collettivo, di pace fra i popoli, si sgretola dinanzi alla potenza dei Panzer Tedeschi che invadono la Polonia da un lato, e dei sovietici che incalzano dall’altro. E’ la sublimazione del Patto Molotov-Ribbentrop, che di lì a poco resterà solo un documento di carta, con Hitler che tenterà il tutto per tutto attaccando l’Unione Sovietica in una guerra suicida.

Da quel momento, per sei lunghissimi anni, il mondo non sarebbe stato più lo stesso, come la carriera di Meazza che dopo la parentesi col Milan cambia altre 3 casacche (Juventus, Varese, Atalanta), prima di ritornare a vestire la maglia nerazzurra nel 1946 che stavolta, e finalmente, aveva ripreso il suo vero nome: Inter.

Il ritorno dell’ex Balilla è solo un ricordo sbiadito del campione che fu. I nerazzurri concludono la stagione al decimo posto, Meazza realizza soltanto due reti. A fine stagione annuncia il suo ritiro, scrivendo la parola fine a 20 anni di straordinaria carriera in cui ha realizzato 349 reti fra nazionale (33 in 53 partite) e club.

Fuor di dubbio, Meazza è stato uno dei più forti e rappresentativi campioni della storia del calcio italiano. Il suo nome battezza tutt’oggi le gare di Milan e Inter a San Siro, la Scala del Calcio.

Siamo certi che sarebbe entusiasta di sentirlo riecheggiare per sempre.