La prima africana ai Mondiali: l’Egitto nel 1934
Gennaio 5, 2021La storia della prima nazionale africana ai Mondiali di calcio, l’Egitto nel 1934 in Italia, raccontata attraverso le parole del suo portiere Mansour e secondo le cronache del tempo.
I mondiali di calcio del 1934 e del 1938 non prevedevano la fase a gironi. Tra rifiuti e selezioni di basso profilo, il 1934 presentò formazioni molto particolari (anche se non ai mirabolanti livelli del 1938, come vi abbiamo raccontato per Cuba e Indie Orientali Olandesi) al primo turno dei knock-out, ovvero dagli ottavi di finale.
Per quanto concerne i continenti africano e asiatico, era prevista una sola nazionale, tramite doppio spareggio. Dopo il rifiuto della Turchia di incontrare la vincente del turno preliminare, la doppia sfida per accedere alla Coppa Rimet che si giocò fra l’Egitto, in rappresentanza dell’Africa, e la Palestina, protettorato britannico sin dagli accordi Sykes-Picot del 1916, dalla parte asiatica, avrebbe decretato direttamente la squadra qualificata ai mondiali.
Non vi fu storia: l’Egitto si qualificò con un perentorio 7-1 all’andata (tripletta di Mahmoud Mukhtar Altech, soprannominato El-Tetsh “L’acrobata”) e un meno roboante 4-1 in trasferta (a Tel-Aviv, che detto oggi fa abbastanza riflettere, visti gli eventi che avrebbero travolto l’area alla fine della seconda guerra mondiale con la nascita dello Stato di Israele e la guerra con l’Egitto) nella gara di ritorno.
A bordo della nave Helwan, in un viaggio durato 4 giorni, come ricordava l’esperto portiere Mustafa Kamel Mansour in un’intervista alla BBC nel 2002, l’Egitto si recò in Italia. “Fu una bella esperienza”, disse Mansour, “ma le nazionali non europee non godevano di una buona reputazione, e lo capimmo affrontando l’Ungheria”.
Il 27 maggio 1934, l’Egitto incontrava l’Ungheria all’ex stadio Ascarelli di Napoli, ribattezzato dal regime per l’occasione Stadio Partenopeo. Inaugurato dal fu presidente Giorgio Ascarelli, fondatore del Napoli, lo stadio ospitò due partite della Coppa Rimet. Oltre a Ungheria-Egitto, la finalina valida per il terzo e quarto posto in cui la Germania sconfisse l’Austria. Lo stadio Partenopeo fu poi distrutto dalle bombe degli Alleati nel 1942 e completamente smantellato. Nel luogo dove sorgeva, oggi troviamo il Rione Luzzatti, quartiere popolare ad alta densità a ridosso di Gianturco, dell’area di Poggioreale e della stazione centrale, teatro dell’ormai famosa “L’Amica Geniale” ritratta nelle storie e nei libri di Elena Ferrante.
Lo stadio Partenopeo come appariva dall’esterno, prima della sua distruzione durante il conflitto bellico
I ricordi di Mansour, vicino agli 88 anni nel 2002, erano ancora vivi. L’Ungheria approfittò dell’iniziale smarrimento degli egiziani andando sopra di due gol grazie alle segnature di Teleki all’11’ e Geza Toldi al 31′. Ma “eravamo più forti di loro, d’altronde l’Egitto aveva già battuto l’Ungheria alle Olimpiadi del 1924 per 3-0 ed era finita al quarto posto nel 1928”, insisteva Mansour.
In 4 minuti, dal 35′ al 39′, Abdulrahman Fawzi segnò una doppietta pareggiando i conti. “Fawzi fece anche un terzo gol, dribblando la difesa ungherese, ma l’arbitro annullò per un fuorigioco inesistente”, lamentò Mansour. L’arbitro, l’italiano Rinaldo Barlassina, diresse tre gare in quei mondiali (ne arbitrò una anche alle Olimpiadi del 1936 a Berlino e ai Mondiali del 1938 in Francia), ma Kamel Mansour lo ricordava di pessimo giudizio: “Dopo il gol annullato a Fawzi, l’Ungheria passò in vantaggio con Vincze (al 53′) e realizzò il quarto gol con lo stesso Geza Toldi. Anche in questo caso l’arbitro non vide un netto fallo su di me, che avevo bloccato il pallone in uscita e presi una ginocchiata nello stomaco e una gomitata che mi spaccò un dente”.
L’Egitto uscì subito dai mondiali, davanti ai 14000 dello stadio Partenopeo (che ne conteneva oltre il doppio), piuttosto silenti per l’occasione, se non per contestare la carica non fischiata al portiere egiziano.
L’Ungheria fu sbattuta fuori dall’Austria nel turno successivo in un derby dal gusto mittel-europeo.
Ma la carriera di Mansour, che aveva cominciato in Egitto con l’Al Ahly, non si esaurì in quel mondiale. Partecipò sempre da dilettante alle Olimpiadi di Berlino ’36 e seguì il suo allenatore Jordan McRea, studiando educazione fisica al Jordan Hill Training College di Glasgow in Scozia. Mansour accettò di giocare due stagioni fra il 1937 e il 1939 nello storico club Queen’s Park FC (un totale di 41 partite) dove si disimpegnò , secondo le cronache del tempo, in modo eccellente. Rifiutò di passare professionista in Scozia, asserendo che “non voleva giocare per soldi”, rinunciando a 5000 sterline.
Mansour in azione in Scozia, foto BBC
Prima di tornare in Egitto, Mansour, soprannominato “Tuffy” (potremmo tradurlo con “Il roccioso”) dai britannici, lavorò come scout leader a Glasgow.
Nel suo Paese natale, fu dapprima allenatore del suo club originario, l’Al-Ahly, infine trovò lavoro come ministro governativo.
Mansour rimase sempre affascinato dal calcio. Passeranno però ben 46 anni prima di rivedere l’Egitto ai mondiali, ancora in Italia, nel 1990, per la gioia dell’ex portiere.
Poche settimane dopo aver rilasciato l’intervista alla BBC da cui abbiamo tratto questo pezzo, si spense, il 24 luglio 2002, a pochi giorni giorni dal suo 88esimo compleanno. Il suo desiderio, come affermò, era quello di vedere un giorno una nazionale africana campione del mondo.
Immagine di copertina tratta da Ramadan Tales, che ritrae la selezione egiziana in viaggio a bordo della Helwan, agli ordini dell’allenatore scozzese James McRea