
Mondiali Uruguay 1930: un sogno per pochi fra storia e leggende
Gennaio 21, 2021“Ricordo che nevicava quando segnai il primo gol. Lo stadio era semivuoto, celebrammo la rete senza troppi festeggiamenti. Non avevamo idea che potesse essere un momento storico”
Lucien Laurent, autore del primo gol nella storia dei mondiali, Francia-Messico 4-1, in un’intervista alla FIFA, foto FIFA/imago images
L’assegnazione all’Uruguay e le nazionali partecipanti
Al congresso di Amsterdam del 1928, Jules Rimet e Henry Delaunay (a quest’ultimo più avanti verranno dedicati i campionati Europei per nazioni), ispirati dalle ultime due edizioni olimpiche, decidono che è tempo per il calcio di darsi una nuova aria.
Presidente della FIFA dal 1921 al 1954, Rimet darà il proprio nome ad una competizione che, in un primo momento, verrà accolta con scetticismo dalle altre nazioni europee. Le selezioni britanniche non hanno intenzione di rinunciare allo splendore e ai fasti olimpici di inizio secolo. Le altre candidate, una volta scelto l’Uruguay come sede dei primi mondiali di calcio, snobbano la competizione.
L’Uruguay aveva vinto le ultime due edizioni delle Olimpiadi, nel 1924 a Parigi e nel 1928 ad Amsterdam, e con un parterre di stelle di primo livello, Andrade, Cea, Castro, Iriarte, Nasazzi, Scarone, è la favorita d’obbligo.
Per l’occasione, verrà inaugurato l’Estadio Centenario de Montevideo, che avrebbe dovuto ospitare le gare del torneo sin dalla partita inaugurale. Ma qualcosa va storto, e piuttosto che rimandare la partita d’esordio in attesa che il Centenario sia pronto, si sceglierà un’altra location, all’Estadio de Pocitos, in un quartiere popolare di Montevideo.
Le nazionali europee che decidono di rispondere all’invito della FIFA sono ovviamente Francia, Belgio, Jugoslavia e la Romania di Re Carlo, appassionato di calcio e convinto da Jules Rimet in persona a concedere ai calciatori rumeni una passerella che, in effetti, sarebbe costata un lungo viaggio in nave.
La locandina ufficiale dei Mondiali del 1930 in Uruguay, realizzato da Guillermo Laborde
In Francia, la Peugeot fa da sponsor per la nazionale transalpina, ad una condizione: che almeno tre dei suoi dipendenti giochino ai mondiali. Fra questi, ci saranno quindi lo stesso Lucien Laurent (che si disimpegnava nel tempo libero nel Sochaux), suo fratello Jean, Andrè Maschinot e Etienne Mattler. Diversi sono invece i calciatori che non ricevono l’autorizzazione ad assentarsi per oltre un mese dalle proprie aziende, col risultato che la Francia si vede costretta a salpare da Villefranche-sur-Mer, a bordo del Transatlantico Conte Verde, fortemente rimaneggiata. Un viaggio di 15 giorni all’andata e 15 al ritorno. Il Conte verde raccoglie la Romania a Genova, il Belgio a Barcellona e il Brasile a Rio de Janeiro. Anche i brasiliani credono poco all’importanza dei mondiali, tant’è vero che, a causa di una disputa fra le federazioni di Rio e quella di Sao Paulo, mandano solo i calciatori carioca, lasciando a casa i paulisti, all’epoca considerati giocatori più pronti (fra loro, salta il mondiale Arthur Friedenreich, il più grande calciatore brasiliano dei primi 30 anni del Secolo Breve). In effetti però, un calciatore paulista viene infine convocato, ma solo perché senza squadra e quindi non vincolato da accordi a livello di Federazione: si tratta di Araken Patusca, figlio di uno dei fondatori del Santos e fondamentale figura del calcio pionieristico brasiliano.
La Jugoslavia sceglie un altro transatlantico per varcare l’oceano, l’SS Florida, in partenza da Marsiglia. L‘Egitto, che pure era stato invitato, tarda a raggiungere il luogo dell’imbarco, rimandando di 4 anni la sua prima partecipazione ai Mondiali di calcio (della sua partita a Italia 1934 abbiamo parlato qui).
Il sorteggio per i gruppi dei Mondiali non viene effettuato fino alla comprovata presenza delle nazionali a Montevideo. Ne giungono in tutto 13: oltre alle quattro europee, all’Uruguay e al Brasile, partecipano l’altra favorita, l’Argentina, gli Stati Uniti (che chiuderanno in semifinale come la Jugoslavia), la Bolivia, il Cile, il Perù, il Paraguay e il Messico. In buona sostanza, il meglio del Sudamerica affronta americani, messicani e le poche nazionali europee che non avevano protestato per l’assegnazione della rassegna agli uruguaiani.
La partita inaugurale all’Estadio de Pocitos
Scultura commemorativa (chiamata “Dove riposano i ragni” e realizzata da Eduardo di Mauro) dell’Estadio de Pocitos a Montevideo, teatro del primo gol nella storia dei Mondiali. La scultura riprende l’idea e la presunta locazione dei pali della porta dove ebbe luogo il gol del francese Lucien Laurent (foto di Marcelo Bonjour, El Paìs).
Oggi, passeggiando per le strade di Montevideo, fra Charrùa, Coronel Alegre e Silvestre Blanco, potrebbe capitarvi di calpestare un luogo apparentemente ameno, ma in realtà magico: in quell’area sorgeva lo stadio di Pocitos (allora stadio del Peñarol de Montevideo), dove Lucien Laurent realizzò, in Francia-Messico 4-1, il 13 luglio 1930, il primo gol nella storia dei Mondiali di calcio. Lo stadio Centenario vede la conclusione dei lavori e la sua inaugurazione solo pochi giorni più tardi (a causa del maltempo, fra pioggia e nevischio, che colpì il Paese in quelle settimane), con i padroni di casa dell’Uruguay (nell’immagine di copertina, li vediamo schierati nella classica foto pre-partita, tratta da FIFA.com/gettyimages), che battono il Perù 1-0 con gol del “Manco” Castro, che giocava senza la mano sinistra.
La seconda scultura (sempre realizzata da Eduardo Di Mauro, e chiamata “0 a 0 palla al centro”) commissionata dalla sovrintendenza di Montevideo e posta in corrispondenza del presunto “centrocampo” dell’Estadio Pocitos, si trova di fronte ad un negozio di lavanderia (foto wikipedia).
Contemporaneamente, alle 15:00, al Gran Parque Central (stadio del Nacional), si gioca l’altra gara del 13 luglio, fra Stati Uniti e Belgio, che finirà 3-0 per gli americani. Ma è la Francia con Lucien Laurent a segnare per prima, al minuto 19, come ricorda lo stesso nazionale francese in un’intervista alla FIFA: “il nostro portiere passò la sfera al centrale difensivo, che verticalizzò per l’ala destra Liberati, il quale crossò al centro per me che impattai al volo poco dentro l’area di rigore. Ricordo che nevicava, festeggiammo il gol congratulandoci fra noi ma senza fare salti di gioia”.
Oscar Bonfiglio, portiere messicano, è il primo estremo difensore a raccogliere la sfera dalla propria porta.
Fotogramma della gara tra Francia e Messico al Pocitos. Laurent ricorda che nevicava, ma più probabilmente ci fu maltempo e nevischio in quel periodo a Montevideo, essendo inverno, dato che secondo le nostre indagini sul meteo storico uruguaiano la neve “non si posava al suolo in maniera defintiva”, come anche dalle poche immagini a disposizione. Non fu insomma una forte nevicata capace di ricoprire il terreno, come avvenne solo nel 1960 a Montevideo. Foto El Paìs.
Nel 1933 il Peñarol passerà ufficialmente a giocare le partite casalinghe al Centenario, e l’Estadio de Pocitos verrà conseguentemente demolito. Lo studio del 2006 dell’architetto Enrique Benech ha prodotto come risultato la sovrapposizione del disegno del vecchio quartiere dove sorgeva l’impianto, col nuovo, dando vita alle opere di Eduardo Di Mauro che abbiamo visto nelle immagini precedenti, create su bando della sovrintendenza di Montevideo. Quella zona oggi è considerata una rotta turistica di interesse nazionale e vi passano dei bus ad hoc.
La finalissima: Uruguay-Argentina
Le nazionali giunte all’atto finale, al Centenario di Montevideo, sono esattamente quelle che ci si attendeva in fase di sorteggio. La Celeste, l’Uruguay padrone di casa, e l’Albiceleste, l’Argentina del capocannoniere della manifestazione, Guillermo Stabile, e del centromediano Luisito Monti, il quale solo quattro anni più tardi si prenderà la rivincita con la casacca azzurra da oriundo, diventando per sempre l’unico giocatore nella storia a giocare due finali mondiali con due diverse selezioni. Ironia della sorte, Stabile non avrebbe neppure dovuto essere titolare, ma Manuel Ferreyra, capitano e selezionatore alle Olimpiadi del 1928, il giorno dell’esordio contro il Messico aveva un esame all’università e preferì quello, piuttosto che raggiungere Montevideo.
La rivalità fra le due squadre riecheggia non solo nello stadio, ma anche nelle piazze argentine e arriva ad influenzare la scelta del pallone. Si decide quindi di giocare il primo tempo col pallone “degli argentini” e il secondo con quello “degli uruguagi” (qui potete vedere le impressionanti immagini del match, sul canale ufficiale Youtube FIFA.tv).
Nonostante la scelta salomonica di accontentare entrambe le selezioni sull’uso dell’attrezzo di gioco, l’arbitro belga Langenus restava profondamente preoccupato a causa del clima teso della partita, e pretese dagli organizzatori un’assicurazione sulla vita e una scorta personale, con la possibilità di raggiungere un piroscafo per l’Europa (la cui partenza venne ritardata di proposito quel giorno) nel caso le cose si fossero messe male.
Come prevedibile, dopo il vantaggio casalingo con Pablo Dorado al 12′, l’Argentina prende in mano il pallino (o meglio, il suo pallone) del gioco e ribalta il risultato con i gol di Carlos Peucelle (leggenda del River Plate, ma all’epoca ancora in forza allo Sportivo di Buenos Aires) e del bomber Stabile (storico attaccante dell’Huracan, che dopo il mondiale avremmo visto in Italia, dove però fu vittima di gravi infortuni prima al Genoa e poi al Napoli).
Nel secondo tempo l’Uruguay, ovviamente col suo pallone, domina con un parziale di 3 gol a 0 e conquista la Coppa Rimet, grazie alle reti di Cea, Iriarte e del sigillo di Castro (che ha giocato al posto di Anselmo, il quale secondo la leggenda non resse la tensione) sul finire della gara.
Al Centenario è festa grande, con l’Uruguay campione del mondo alla prima, storica edizione. Nelle strade argentine si registrano altresì diverse manifestazioni di protesta e, addirittura, un gruppo di donne uruguaiane immigrate a Buenos Aires, che si erano messe in testa di sfilare per le strade con la bandiera del proprio Paese, vengono picchiate e colpite con pietre, come riportano gli archivi storici del Mundo Deportivo.
Nelle successive edizioni, pian piano, il mondo avrebbe preso coscienza del significato culturale, storico, geopolitico e ovviamente sportivo dei Mondiali di calcio. Una manifestazione che, nel tempo, avrebbe scandito ogni quattro anni la vita di miliardi di appassionati in giro per il globo.
La redazione ringrazia il giornalista Davide Tuniz per aver arricchito il pezzo con la sua professionale consulenza.