La paura irrazionale della costruzione dal basso è lo specchio del Paese
Marzo 23, 2021La costruzione dal basso in Serie A come in Europa, è uno degli argomenti più dibattuti degli ultimi anni a livello tattico. Giornalisti, tifosi, presunti esperti di storia del gioco, prendono posizione quotidianamente, ognuno per dire la propria su questa strategia, bollandola talvolta come moda pericolosa e presunto retaggio negativo del guardiolismo, talaltra come panacea di tutti i mali del calcio italiano. Se ne sottolineano costantemente gli errori, ma non ci si accorge di quando, al termine di una lunga azione manovrata, si crea la superiorità numerica e la chance di fare gol. Ma allora perché questa fantomatica strategia di gioco fa così paura? Perché gode di pochi favori e largo disprezzo? La verità va ricercata nella forma mentis dell’italiano medio e nelle strategie comunicative di media e divulgatori.
Cerchiamo di offrire risposte concrete, utilizzando una terminologia semplice, non perché scriviamo per un pubblico poco avvezzo alla materia, tutt’altro, ma poiché riteniamo inopportuno discernere dei dettagli tecnici del gioco in questa sede, quando il dibattito non è ancora pronto, a nostro avviso, a giungere a una comprensione così avanzata di meccanismi che sfuggono all’eye test.
Viviamo tempi difficili, non c’è che dire. Ma noi italiani siamo sempre capaci di trovare il modo per sviare la conversazione dai problemi personali e dalle reali difficoltà del Paese.
Dopo 13 mesi di pandemia si registra ancora una media di oltre 400 deceduti per complicazioni da covid-19, in Italia, dove abbiamo da poco superato la quota che tutti conosciamo di “caduti” per il virus. Ma qual è il nemico del popolo, alimentato irrazionalmente dalla stampa? Il vaccino. Non uno qualunque: il vaccino Astrazeneca. Su trenta minuti di telegiornale, quando va bene, 20 sono dedicati alla querelle vaccini.
L’Italia è un Paese conservatore in ogni ambito
Del resto siamo un Paese conservatore, retrogrado e largamente ignorante e manipolabile. Diciamo che se non ci fosse stata Tangentopoli, avremmo ancora la Democrazia Cristiana come primo partito nazionale, probabilmente. Ci siamo così abituati alla pandemia, che il nemico per chi è sopravvissuto, sono i vaccini.
E mentre sempre più persone (e intere categorie, vedi i vigili urbani in Campania) disertano l’appuntamento con la propria dose di uscita dalla pandemia, un nuovo spauracchio finalmente si affaccia nelle nostre menti alimentate dalle folle di indignati della stampa: la costruzione dal basso.
Ora, voglio dire, siamo in Italia, il Paese che ha implementato la tattica del catenaccio meglio di chiunque altro. Abbiamo vinto Coppe Campioni, Mondiali, un Europeo e diverse altre competizioni col solito mantra: pensiamo prima a non prenderle, poi magari facciamo gol. E se lo facciamo, tutti dietro la linea della palla a difendere il risultato, ovviamente. No, il catenaccio non era e non è una roba così semplice. Ma il “gioco all’italiana”, che non è altro che un’evoluzione tattica dello stesso stratagemma, è entrato nella testa dell’uomo medio del pallone con l’idea che l’Italia e le squadre italiane possano vincere solo così. Salvo cambiare canale quando la propria squadra non supera il centrocampo palla al piede per 85 minuti, finendo schiacciata senza appello all’interno della sedici metri difensiva.
Eppure, neanche il catenaccio, arrivato in Italia quando si registravano stagioni record dal punto di vista dei gol fatti, ma perdenti a livello di nazionale, ha avuto uno sviluppo così facile.
Come racconta bene Jonathan Wilson in “Inverting the Pyramid: The history of football tactics”, fu Gipo Viani, nel tentativo di salvare la difesa della sua Salernitana, ad introdurre in Italia il catenaccio e il ruolo del libero. Questa tattica venne quindi fatta passare, inizialmente, come il rifugio dei perdenti. Fu solo con il Milan di Rocco (che di gol ne faceva comunque a raffica) e l’Inter di Helenio Herrera (che avrebbe ricreato il DNA dell’Internazionale attorno alla solidità difensiva e a un gioco pragmatico) che il catenaccio entrò stabilmente nella mentalità italiana, grazie alla quale il Belpaese si fece conoscere sia a livello di club che di nazionale.
Gianni Brera e il difensivismo
Tutto ciò aveva di certo un appoggio mediatico di altissimo livello: quel Gianni Brera che ha raccontato l’Italia e il calcio nostrano come nessuno, penna autorevole capace di dividere i buoni dai cattivi grazie ad una prosa ineguagliabile. Per Brera, la partita perfetta sarebbe dovuta terminare 0-0. Rocco, suo amico fidato, non si spingeva per fortuna a questi livelli, grazie al superiore tasso tecnico di una rosa che aveva in Gianni Rivera il campione più fulgido, per il quale Brera non stravedeva certo.
Catenaccio e gioco all’italiana ci hanno messo quindi un po’ per passare dall’anonimato alla celebrità, restando però in quella zona grigia di elogio intra moenia e disprezzo dall’esterno: del resto, agli inglesi non è mai andato a genio, ma non è che il loro palla lunga e pedalare fosse più spettacolare. Il tanto amato (e giustamente compianto) Brian Clough ha vinto tutto con squadre poco quotate, come Derby County (First Division da nepromosso) e Nottingham Forest (First Division e due Coppe Campioni di fila, un paradosso), ma per quanto il suo gioco fosse più resultadista che altro (una serie infinita di cross in mezzo e ritmi elevatissimi), avrebbe odiato la Juventus (incontrata in Coppa Campioni) e i presunti favori arbitrali al club italiano quasi quanto il maledetto Leeds United.
Essendo molto spesso il calcio lo specchio del nostro Paese, anche l’ormai famigerata “costruzione dal basso” è entrata di soppiatto prima nel gergo mediatico e successivamente nella retorica popolare.
Un percorso che sembra molto simile a quello del catenaccio, di cui si propone come antitesi, essenzialmente per due motivi. Il catenaccio e il difensivismo sono, appunto, tattiche “reattive”, ovvero si basano su una difesa solida e sulla ripartenza veloce della squadra, sfruttando lo spazio alle spalle della linea di difesa avversaria.
La costruzione dal basso e il possesso palla
La costruzione dal basso è invece l’estremizzazione di uno stile per nulla recente, partito dal Sudamerica e implementato col tempo in Europa come risposta all’evoluzione di regolamenti (come quello del retropassaggio al portiere, di cui Zenga si lamentò) e tattiche difensive proattive come il pressing alto e il contro-pressing. Le statistiche dimostrano che, quando una squadra in possesso di palla viene attaccata alta, lanciando il pallone in avanti ha più probabilità di perderlo.
Il pericolo di subire gol, che è quello che contraddistingue irrazionalmente la paura della costruzione dal basso, viene quindi differito nel tempo. Questo aspetto in Italia è cruciale. Se in Premier la polemica nei confronti degli errori dello specialista Alisson contro il City, è durata lo spazio di un mattino, in Italia ad ogni gol subito (o meglio, ad ogni pallone conquistato sulla trequarti avversaria dalla squadra in pressione alta) torna di prepotenza il partito degli anti-costruzionisti.
Il caso del Napoli di Gattuso e i pericoli della costruzione dal basso
Nello specifico, analizziamo la costruzione dal basso del Napoli, una squadra che è penultima in Serie A (solo la Juventus ne ha fatti di meno) per numero di lanci lunghi da rinvio dal fondo. In buona sostanza, soprattutto quando gioca Ospina, il Napoli costruisce sempre l’azione dall’area piccola. Come vedremo, a seconda del risultato, cambia completamente il mood della stampa nei confronti del gioco degli uomini di Gattuso.
Assetto tattico di partenza del Napoli, nella trasferta vittoriosa per 2-0 a Roma, 28° giornata
Risultati altalenanti: cosa non ha funzionato
Conclusioni: non esiste la tattica perfetta, con o senza la costruzione dal basso
Completiamo il discorso con una massima fondamentale: non esiste una tattica perfetta, soprattutto non esiste un vestito che vada bene per tutti. Mantra di una grande squadra dovrebbe essere quello di massimizzare i punti forti e minimizzare le debolezze. Nel caso di un maggiore tasso tecnico, la costruzione dal basso si rivelerà sempre preferibile rispetto ad un lancio lungo. Ma sta alle scelte individuali dei calciatori sapere fino a che punto rischiare un passaggio orizzontale, oggi che fin dalle scuole calcio, finalmente, non è più tabù vedere i difensori passarsi la palla.
Ci sarà sempre il Musacchio di turno che tocca male la palla per Reina favorendo Lewandowski. Ci sarà sempre il portiere che sbaglia un passaggio, ma non per questo “è colpa della costruzione dal basso”.
Attirare la pressione avversaria in maniera proattiva e giocarsi gli uno contro uno nella metà campo offensiva, è il motivo per cui questa strategia sta guadagnando sempre più consensi. Se la via maestra è tracciata, come abbiamo visto, i media pian piano si adegueranno, a livello di Serie A come a livello europeo dove, ormai, i nostri club non arrivano più in fondo da anni.
Immagine di copertina tratta da Wikimedia Commons: Roberto De Zerbi ai tempi del Sassuolo in un’intervista.