
La coscienza di Cesare
Marzo 25, 2021La lettera di dimissioni di Cesare Prandelli ha sconvolto il mondo del calcio. L’ormai ex allenatore della Fiorentina ha detto basta, ha smesso di confrontarsi con un mondo malato in cui non si riconosce più, come il Sig. Cosini ne “La Coscienza di Zeno” di Svevo.
“La salute non analizza se stessa allo specchio e neppur si guarda nello specchio. Solo noi malati sappiamo qualcosa di noi stessi”.
A cavallo tra l’800 ed il ‘900, in uno dei periodi più complessi della storia di un’umanità martoriata dallo scoppio della Grande Guerra, nel momento in cui si manifesta una vera e propria crisi dell’individuo, Italo Svevo compone il suo capolavoro “La Coscienza di Zeno”. Vero e proprio manifesto del romanzo psicoanalitico, incentrato su una narrazione a flusso di coscienza che tanto aveva rapito i lettori d’Oltremanica di James Joyce, nel romanzo il protagonista Zeno Cosini è un inetto, incapace di vivere in una società che non riesce a riconoscere. Zeno è il malato, quello in psicoanalisi, quello inadeguato alla vita, in una società sana.
Sana, soltanto in apparenza. Il protagonista, infatti, riesce a riconoscere se stesso soltanto lontano da quella società che come un abito che gli sta stretto non vede l’ora di togliere di dosso, anche se solo quell’abito ti può far sentire adeguato, accettato.
La struggente lettera di dimissioni di Cesare Prandelli, che come allenatore potrà essere giudicato dai tanti tecnici che albergano dietro gli smartphone, ma che come uomo ha mostrato ancora una volta la sua grandezza, riporta alla mente la storia proprio di Zeno Cosini.
Ritornato a Firenze, Prandelli ha provato a dare una sterzata alla stagione viola, riuscendoci almeno in parte, facendo finalmente sbocciare il talento di Dusan Vlahovic e recuperando quello perduto, come il senno di Orlando, del francese Eysseric.
Eppure non è bastato al buon Cesare perché quando si lotta con una grande sensibilità d’animo ci sono cose che vanno oltre i semplici 3 punti in palio in una partita di calcio, lo sa bene lui, lo sa bene Zeno.
“Bisogna moversi. La vita ha dei veleni, ma poi anche degli altri veleni che servono di contravveleni. Solo correndo si può sottrarsi ai primi e giovarsi degli altri”. Scriveva così il protagonista del romanzo sveviano, parafrasa così Cesare:
“Nella vita di ciascuno, oltre che alle cose belle, si accumulano scorie, veleni che talvolta ti presentano il conto tutto assieme”.
Cesare quel veleno ha deciso di non berlo più, ha deciso di correre per sottrarsi, di fuggire, con le immediate dimissioni. Quest’ultime che sono tutt’altro che segno di codardia, bensì di estremo coraggio, gettando via la maschera che lo faceva sentire adeguato in questa società sana, o meglio nella fattispecie in questo mondo del calcio.
Ma proprio come nel libro i ruoli si sono capovolti: il mondo è malato, ed il calcio, facendo parte dello stesso mondo, è malato anch’esso. Il vero sano è Prandelli, lo ha capito, lo ha dichiarato a lettere cubitali.
“Probabilmente questo mondo di cui ho fatto parte per tutta la mia vita, non fa più per me e non mi ci riconosco più. Sicuramente sarò cambiato io e il mondo va più veloce di quanto pensassi. Per questo credo che adesso sia arrivato il momento di non farmi più trascinare da questa velocità e di fermarmi per ritrovare chi veramente sono”.
E se nella novella di Pirandello un altro inetto, il Signor Belluca, si era ribellato a quella società malata con “Il treno ha fischiato”, il fischio lo ha sentito anche l’ex allenatore della Fiorentina, praticamente mettendo fine alla sua carriera da allenatore per ricercare se stesso.
Alla ricerca della vera felicità, altrove dal mondo del pallone che da fuori sembra tutto gioia e lustrini, ma che in esso abbraccia anche contraddizioni e veleni. “Io, invece, nell’oscurità, sentivo, con pieno sconforto, me stesso”.
Il 2021 sportivo è ancora lungo, ma il messaggio più bello di quest’anno calcistico ce lo ha dato proprio Prandelli, sine dubio. Un bravo allenatore, ma soprattutto un uomo degno di ammirazione.
Grazie Cesare.