Bayern-Napoli: in trasferta all’Allianz Arena, un viaggio indimenticabile
Aprile 3, 2021Nella nostra serie di racconti di viaggio, ancora protagonista Andrea Lorello, che ci porta in trasferta all’Allianz Arena di Monaco di Baviera, per la sfida di Champions League giocata fra Bayern e Napoli nell’ottobre 2011.
Una storia epica per veri appassionati di avventure all’estero.
“Andrè vogliamo andare in trasferta a Monaco di Baviera?” Chiese il mio amico Salvatore.
All’ epoca avevo 17 anni, l’abbonamento in Curva A ma l’ebbrezza della trasferta non l’avevo ancora provata. La trasferta nello slang calcistico non vuol dire solo seguire la propria squadra del cuore. E’ qualcosa che va oltre il calcio. Il pallone diventa il mezzo. Il fine è l’aereo, il treno o il bus. L’essenza della trasferta è sentirsi parte di un gruppo di amici in movimento. E’ viaggiare tramite il calcio. Ed io, da sempre appassionato di viaggi e pallone, non potevo che accettare l’invito di Salvatore.
Era il mese di ottobre del 2011. A Napoli si respirava un certo entusiasmo, la principale squadra di calcio della città era qualificata ai gironi di Champions League. Non succedeva dalla stagione 1990-1991, all’epoca si chiamava ancora Coppa dei Campioni. Era il Napoli successivo al secondo scudetto, Giuliani lasciava il posto a Giovanni Galli, Carnevale ad Incocciati e Silenzi. Diego rimase ma solo un altro anno. Nel 1991 fu costretto a lasciar Napoli ma non i napoletani. Loro non li avrebbe mai lasciati.
Nel girone del 2011, il Napoli prese due corazzate e mezzo: il Bayern Monaco, il Manchester City ed il Villareal. Non male dopo 20 anni di digiuno. La squadra partenopea, prima dell’invito di Salvatore, aveva infilato due pareggi e una vittoria. I pareggi contro il City in trasferta e con il Bayern Monaco in casa, la vittoria con il Villareal in casa. Insomma quel Napoli dimostrò fin dall’inizio di rifiutare l’etichetta di outsider del girone. Contro ogni pronostico, gli uomini di Mazzarri dopo tre partite erano ancora imbattuti e pronti alla trasferta più dura, quella di Monaco di Baviera. Ad attenderli il Bayern di Lahm, Kroos, Ribéry, Muller e Mario Gomez. Come mister Mazzarri e il suo gruppo, anche io e Salvatore eravamo pronti. Disponevamo di tutto quello di cui avevamo bisogno. Il consenso dei genitori, il biglietto del bus e tanta voglia di risalire l’Italia, oltrepassare il confine austro-tedesco e trovarci dinanzi il maestoso Allianz Arena.
Ma c’era un problema. Di biglietti ne avevamo solo due e solo quelli del bus. Ci mancavano i biglietti del match poiché volatizzati in poche ore. Ma come detto prima, la trasferta va oltre la partita e il risultato. In quel momento contava partire, infilare un panino nello zaino, prendere il bus delle 6.40 alla stazione centrale Garibaldi e sperare che il viaggio potesse durare più tempo possibile ma non oltre il calcio d’inizio. E così fu, non ci pensammo due volte. Eravamo giovani e spensierati. E chissà forse fu proprio la spensieratezza di quegli anni o il ricordo della scena del film “Tifosi”, quella di Beppe Quintale con Nino d’ Angelo e o’ ciuccio in partenza per “Atalanta”, che ci portò a dire: “Ormai o’bigliett’ ro pullman ‘o tenimm’, accuminciamm a partì, po’ se vere..”
Ed infatti ciò che importava era raggiungere Monaco di Baviera, con la speranza di trovare un biglietto o qualche pertugio tra le fitte linee nemiche tedesche, ai cancelli d’entrata dello stadio bavarese. Il bus era al completo. Non poteva essere altrimenti. Il biglietto costava 25 euro e nel prezzo era inclusa anche la colazione al sacco. Un costo molto minore della tratta aerea Capodichino- Flughafen München Franz Josef Strauß. Ma non fu neanche questo il motivo che smosse in esodo buona parte della tifoseria partenopea. Saremmo partiti comunque. Con ogni mezzo, ad ogni costo. Ricordo i cori durante il viaggio. L’atmosfera festosa e rilassata. Quale occasione migliore per dimenticare per un po’ i pensieri brutti, per quanto possano essere futili quelli di un diciassettenne. Ma non c’erano solo ragazzi della mia età. Anzi ero uno dei più giovani. Molti padri con figli anche loro mossi dalla passione della trasferta. La paura di non entrare allo stadio ci era estranea. In realtà non si poteva definire paura. Sarebbe stata più una beffa.
Una cosa è certa: diventò motivo di spasso. Ci bastava stare insieme, cantare il Napoli e godere del viaggio. Un viaggio lungo quasi 1200 km ma è scientificamente provato che il Napoli non causa stanchezza. Neanche se non dormi da 24 ore poiché la notte prima dei viaggi fai sempre fatica a prender sonno. Figuriamoci la combo: viaggio più pallone.
E’ semplicemente pura adrenalina. Ma anche tensione. Ed infatti man mano che ci avvicinavamo al campo, l’eccitazione cresceva. Soprattutto tra noi sprovvisti di biglietto. La distensione generale, quella delle prime ore di viaggio, fece posto alla tensione, sempre più palpabile. Dopo tutto ci giocavamo tanto. Il sogno degli ottavi di finale non era più tale. Un risultato utile con il Bayern poteva significare molto in ottica qualificazione. La squadra aveva già dimostrato di non temere bolge come l’Allianz Arena. Mentalmente era un gruppo solido. I tre tenori d’attacco, Hamsik, Lavezzi e Cavani, erano ben supportati dalla coppia di centrocampo tutta svizzera, Inler-Dzemaili, gli esterni Maggio e Zuniga, e il classico trio di difesa “mazzarriano” formato da Campagnaro, Cannavaro (squalificato a Monaco) e Aronica. Insomma nomi microscopici rispetto ai blasonati tedeschi. Ma la palla è rotonda e le palle di quel Napoli quadrate. Ed infatti gli azzurri anche in quell’occasione diedero filo da torcere. Ma su questo torniamo dopo.
Il diario di bordo segnava finalmente “Brennero”. Eravamo al confine con l’Austria. Da lì ad un paio d’ore saremmo arrivati a destinazione. Ma prima toccammo Innsbruck, poi l’ultima sosta all’autogrill. Giusto per farci riconoscere anche in Austria. Ed infatti nel parcheggio dell’area di sosta, tra gli occhi attoniti ma discreti degli abitanti dell’autogrill, si scatenò una guerriglia a palle di neve. Niente di più scontato per dei napoletani in viaggio verso nord. Al fischio dell’autista deponemmo le armi e riprendemmo la marcia. Una delle scene ancora vive dentro me è il primo avvistamento del campo. L’Allianz Arena, come molti stadi, è visibile dall’autostrada e durante le partite del Bayern Monaco si tinge di rosso (durante i match del Monaco 1860 invece, fino alla stagione 2016-17, si “coloroava” di blu.; dal 2017-18 i cugini sono tornati al Grunwalder Stadion). Al tardo pomeriggio scese anche la nebbia ma ciò non impedì il magnifico colpo d’occhio dal finestrino. Eravamo lì, quell’attimo come tutte le cose belle fu breve ma intenso, subito dopo ci guardammo negli occhi, scappò un timido sorriso e niente più. Sapevamo che ora veniva il difficile.
Arrivammo intorno alle 19, il fischio d’inizio come ogni mercoledì da leoni, era fissato alle 20.45. Il tempo stringeva. Facemmo l’incontro di un bagarino, anch’egli napoletano ma emigrato in Germania. Bando ai convenevoli, si aprì una sorta d’asta. Il biglietto fu aggiudicato al migliore offerente. L’impresa era ovviamente cosa ardua ma lo sapevamo. E intanto le lancette giravano, finché non iniziò la partita. Scese un freddo gelido, il buio del parcheggio era illuminato dalle luci rosse dello stadio. Lo stadio era stato ristrutturato in occasione dei mondiali di calcio del 2006. In effetti appariva come un gioiello di ingegneria. Con i suoi 500 mt di altitudine, è il secondo dopo il Bernabeu. Una enorme palla di fuoco che però non emanava calore. Peccato, poiché quella notte rimanemmo sotto le stelle per ore e la temperatura, pur essendo il 2 Novembre, toccò lo 0. Finché non decidemmo di trovare riparo nel bus. Raggiungere il centro avrebbe richiesto troppo tempo poiché l’Allianz, pure essendo collegato magnificamente alla città di Monaco, si trova alla periferia nord bavarese. Ricordo il silenzio del parcheggio interrotto dai tamburi della curva bavarese.
Seguivamo la partita al telefono ma il segnale era in netto ritardo. Ecco perché fummo avvisati del primo gol di Mario Gomez dal boato improvviso dell’ Allianz. Al 14 esimo il Napoli era sotto di un gol. Neanche il tempo di commentare l’accaduto che Mario Gomez, dopo 8 minuti, fece doppietta. Nel bus calò il gelo, in tutti i sensi. Ma anche in quel momento nessuno pronunciò parole di pentimento. Volevamo stare lì piuttosto che a Napoli sul divano. Certo, la delusione era tanta, la stanchezza si faceva sentire, così come il cattivo odore del bus. Poco prima della fine del primo tempo, preso dallo sconforto, decisi di fare il giro dello stadio. Tentai di corrompere gli steward con la mia tenera età. Pur avendo 17 anni, fisicamente ne dimostravo 14 o 15. Ma ciò non fece alcun effetto ai ragazzoni in pettorina gialla. Anzi mi invitarono cortesemente a desistere. E così feci. Mi allontanai nello sconforto fino a che Mario Gomez fece tripletta. Fu la mazzata finale per il Napoli ma un colpo di fortuna per me. Infatti poco dopo il gol, una coppia di tedeschi lasciò le loro comode poltrone di tribuna, forse perché sicuri del risultato, e abbandonò lo stadio.
L’esultanza del Bayern per l’ennesima rete. Foto via Eurosport
A volte, nelle situazioni più disperate, l’unica strada per ottenere successo è sperare che qualcuno inciampi su di te. E quei due signori distinti inciamparono su un ragazzino infreddolito appeso alla recinzione dello stadio. Mi chiamarono con un gesto da lontano, nel frattempo arrivò il loro taxi. Mi fecero segno di entrare nell’auto per consegnarmi in gran segreto un biglietto. Lo so è tutto assurdo. Ancora oggi, dopo 10 anni, mi domando come sia potuto accadere. Immaginate il mio viso bianco pallido illuminarsi di luce propria, i miei occhi brillare di felicità. Ringraziai vivamente i signori con l’unica parola imparata di tedesco quel giorno, “Danke”, poiché ad ogni gol di Gomez, lo speaker dello stadio ringraziava il pubblico presente. Iniziò la mia corsa verso il settore ospiti. Lì dove altri ragazzi erano ancora fuori, videro un bambino urlante venirgli incontro. Urlava di avere un biglietto. Ma era impossibile ed infatti nessuno ci credette. Fui deriso sia dai tifosi che dagli steward. Infatti i ragazzi della sicurezza non aprirono subito i cancelli.
Ipotizzavano potesse essere un falso. Consegnai così il biglietto tra le fessure del cancello. E il tornello fece luce verde. Come la speranza, l’ultima a morire. Eravamo tutti increduli. Si aprirono le acque, fecero passare il ragazzino. Ero io. Corsi forte su per la rampa dello stadio, saltando due metri per la gioia, esclamando la mia soddisfazione in lingua napoletana. Ma vi risparmio l’epiteto. Ero dentro, salì i quasi 500 mt del settore ospiti, il terzo anello dello stadio. E quando si fece davanti il prato verde, Federico Fernandez, su punizione del Pocho Lavezzi, la buttò dentro riaprendola. Ero al dodicesimo cielo. Lo stato d’animo dei tifosi allo stadio. Mi ambientai subito, presi posto in mezzo alla folla. Ma dopo due minuti dal gol dell’argentino, terminò il primo tempo. Chissà cosa avranno pensato i ragazzi del bus che non mi videro tornare. Inoltre il telefono si scaricò.
Come l’avventura per entrare allo stadio, anche la doppietta di Fernandez fu irripetibile (foto via napolissimo.net)
La partita ricominciò, la curva di casa riprese a suonare il tamburo ma noi rispondevamo ad ogni colpo. In campo successe poco o nulla o forse è solo quello che ricordo io. In effetti ero ammaliato dall’atmosfera. Mi capita spesso quando sono allo stadio. Soprattutto negli stadi europei. Fino al minuto 79 quando Federico Fernandez, schierato titolare a causa della squalifica del capitano Paolo Cannavaro, la rimette dentro. Siamo lì. Mancavano 10 minuti ma il Bayern Monaco è squadra rocciosa. Infatti conservò il minimo vantaggio fino al fischio finale. Abbandonammo le gradinate soddisfatti per com’era andata. Io poi, ero ancora al dodicesimo cielo. Non vedevo l’ora di raccontare la mia esperienza a Salvatore. Tornai nel bus, accennai qualcosa ai ragazzi ma ero ancora scosso. Pertanto promisi di raccontare tutto durante il lungo viaggio di ritorno. Intanto il gruppo si riunì, l’autista fece una sorta di appello, c’eravamo tutti.
Dietrofront, si torna a casa. Mentre il bus lasciò il parcheggio intorno alla mezzanotte, io quel giorno non lasciai alcun ricordo. Sono tutti dentro di me e da ora anche scritti su un foglio bianco. Ma non era finita. Ci aspettavano altri 1200 km ma stavolta eravamo cotti. Infatti nel buio del pullman molti presero sonno. Anche io. Mi risvegliai il giorno dopo all’altezza di Roma. Quella notte non sognai. Forse perché lo feci già la sera prima ma ad occhi aperti. E quando comparvero i primi cartelli indicanti Napoli, capii presto che tutto sarebbe finito. Ma un pizzico di malinconia ci vuole nella vita. Significa aver trascorso attimi di felicità. Quella malinconia tramutata nella nostalgia di una trasferta irripetibile. Di un gruppo di amici in movimento verso un parcheggio buio di Monaco di Baviera.