Il calcio negli avamposti remoti delle rotte di navigazione

Il calcio negli avamposti remoti delle rotte di navigazione

Aprile 9, 2021 0 Di Redazione

Viaggio ai confini del calcio vissuto nelle isole più remote, avamposti delle storiche rotte di navigazione, utilizzate talvolta nel tempo come centri di detenzione e smistamento per i migranti del mare: i casi di Lampedusa, Kiritimati (Isola del Natale), di Rapa Nui (Isola di Pasqua) e Sant’Elena. Scopriremo che il calcio funge da connettore sociale per popolazioni generalmente isolate e favorisce l’incontro con “l’altro”.

Lampedusa, fra calcio e migranti

Lampedusa è un lembo di terra di 20 km² nel Mediterraneo distante 110 km dalla Tunisia, 200 dalla Sicilia e 350 km dalla Libia. Libia che dopo la guerra civile del 2011, è la terra da cui partono gran parte dei viaggi della speranza.
Questa piccola isola spesso è stata al centro della cronaca, a causa dei continui sbarchi che l’hanno portata al collasso, incapace di accogliere un numero enorme di migranti. Secondo alcune stime, in vent’anni sono sbarcate mezzo milione di persone. L’immigrazione è una questione politica seria, non solo dei lampedusani, e difficilmente sostenibile senza un valido aiuto delle istituzioni italiane ed europee, che la rendono anche facilmente manipolabile.

Papa Francesco nel 2013, sul terreno del campo sportivo dell’isola, ha rimproverato la Comunità Internazionale per l’indifferenza dinanzi al problema dell’immigrazione, e nei confronti dei lampedusani. Lo stadio nel 2017 è stato ammodernato, grazie ai contributi di FIGC e Lega di Serie B. “The Bridge” è il nome scelto, riconoscendo Lampedusa come un ponte fra l’Africa e l’Europa.

La GSD Lampedusa e il ricordo della sfida con Ustica

La locale squadra è il GSD Lampedusa, militante attualmente nei campionati provinciali palermitani, sospesi come tutti per covid. Pur appartenendo ad Agrigento, le trasferte in aereo nel capoluogo sono più agevoli rispetto a quelle in traghetto fino ad Agrigento. Ogni trasferta costa 3000 euro, insostenibili per qualsiasi società delle “minors provinciali”. Per un campionato a Lampedusa sono necessari  30.000 euro, gran parte coperti dal Comune, dall’autotassazione e dalle donazioni. La società lamenta negligenze federali e mancanza di agevolazioni economiche che renderebbero più semplice la sopravvivenza del calcio lampedusano.

GSD Lampedusa allo stadio The Bridge. Foto tratta dalla pagina Facebook del GSD Lampedusa

Nel 2018 si è giocato il “derby delle isole”. A sfidarsi l‘Ustica e il GSD Lampedusa con tanto di servizio di 90°minuto.

Le squadre non hanno disputato il match d’andata, poiché l‘Ustica ha rinunciato alla trasferta a Lampedusa. Troppo dispendiosa dal punto di vista economico. Pur essendo un match dal grande fascino, non c’è stata storia. Gli ospiti nonostante un lungo viaggio di 6 ore fra Aereo, Pullman e Nave hanno vinto 7-0.

Kiritimati, Christmas o Isola del Natale: riaprire un circuito chiuso

Il primo avvistamento europeo dell’isola lo si deve all’esploratore britannico Richard Rowe dal Thomas nel 1615. Fu però il capitano William Mynors della Royal Mary a dare un nome all’isola, passandole accanto il giorno di Natale del 1643. Il territorio di Christmas Island appartiene politicamente all’Australia dal 1958, ovvero da quando il Regno Unito tolse la sovranità a Singapore, accordando la richiesta di Canberra a fronte di un risarcimento di 20 mln di dollari australiani.

Durante la seconda guerra mondiale, l’Isola di Natale fu un importante avamposto strategico occupato temporaneamente dai giapponesi a danno di Singapore e dei britannici, per i suoi depositi di fosfato.

L’isola si trova nell’Oceano Indiano a sud dell’Indonesia, a soli 350 km da Giava e Sumatra ma a ben 2600 km a nord est di Perth. L’Australia le ha assegnato un ruolo fondamentale nella gestione e nello smistamento dell’immigrazione clandestina e, dal 2020, dei rientri dall’estero durante l’emergenza covid, in particolare per i cittadini australiani che erano stati a Wuhan.

Lo sport sull’isola e la Inter-Island Cup

Ovviamente, non è tutto oro quel che luccica. Un po’ come accade a Lampedusa, ma con maggiore rischio di lunghe detenzioni preventive, i migranti del sud est asiatico utilizzano l’isola come tappa necessaria per tentare l’ingresso in Australia, un Paese dove le politiche di accoglienza sono estremamente restrittive negli ultimi tempi.

High School Soccer Field di Flying Fish Cove. Foto tratta dalla pagina FB Christmas Island Soccer

Sull’isola, dove gli australiani rappresentano etnicamente una minoranza, la prevalenza dei circa duemila abitanti è cinese, malese e indonesiana. Rugby e cricket sono gli sport principali. Calcisticamente esiste una selezione nazionale che affronta, annualmente (almeno fino al 2017 è stato così) le Isole Cocos e Keeling in una doppia sfida nota come Inter-Island Cup. Quelli di Christmas hanno spesso avuto la meglio, ma molte gare non riportano tabellini ufficiali.

In passato un’amichevole è stata giocata contro l’Australia, perdendo per 17-0, e il campionato locale purtroppo non ha continuità di gioco causa scarsa partecipazione organizzativa.

Il campo principale, in foto, è l’High School Soccer Field della capitale, Flying Fish Cove, mentre, come dall’immagine copertina, l’altro campo da calcio, molto suggestivo sulla carta, è oggi ricoperto da sabbia ed erbacce e si trova lungo la costa in uno stato di abbandono.

 

Rapa Nui, l’Isola di Pasqua e il calcio giocato all’ombra dei Moai

Manu Haoa, al centro, capitano di Rapa Nui, durante la loro personalissima haka, detta “Hoko”, nel match di Copa de Chile contro il Colo Colo  (foto AP Photo/Marco Muga tratta da dalealbo.cl)

Il giorno di Pasqua del 1772, l’esploratore olandese Jacob Roggeveen giunge su un’isola, che oggi conosciamo col nome di Rapa Nui.
Ma lo scenario che il navigatore si trova di fronte, non è affatto quello che ci si aspetterebbe di incontrare su un’isola incontaminata.
Esistono, infatti, più statue, blocchi monolitici detti Moai, che esseri umani.

Una società al collasso nel racconto di Jared Diamond

In un’isola difficile da raggiungere, i suoi abitanti, discendenti di piccole comunità di esploratori polinesiani, non hanno incontrato forestieri per secoli. Come se non bastasse, nell’ambito della costruzione dei Moai, che oltre all’allevamento bovino sembra essere l’unica attività pseudo-ricreativa dell’isola (le coste rocciose e frastagliate e il mare inospitale sono un ostacolo alla pesca), è sorta una guerra fra clan rivali.
Già, i Moai. Non se ne conosce lo scopo, al di là delle idee che gli studiosi si sono fatti sul prestigio associato ai diversi clan costruttori e all’omaggio alle divinità.
Ma le conseguenze sono note.
Racconta Jared Diamond in “Collasso: come le società scelgono di vivere o morire”, che gli abitanti dell’isola di Pasqua, per la costruzione, la lavorazione e il trasporto di questi enormi blocchi di pietra, hanno completamente disboscato il territorio dell’isola, distruggendone l’ecosistema.
La scarsità degli approvvigionamenti ha così spinto la società isolana sull’orlo del collasso, dando vita a lotte tribali in cui, alla fine, non erano infrequenti episodi di cannibalismo.
Impossibile fuggire dall’isola. Gli esseri umani di Rapa Nui erano ormai convinti di essere soli al mondo, e le leggende magiche che venivano tramandate da secoli, avevano ormai omesso di raccontare le origini reali della popolazione. I superstiti, pochi, ritenevano di discendere direttamente dagli dei, che supponevano di continuare a servire costruendo altre statue.
Rapa Nui si stava definitivamente spegnendo, quando giunsero gli europei e, stavolta sì, assicurarono la continuazione della vita sull’isola, fino ai giorni nostri, dove addirittura si gioca a calcio.
L’Isola di Pasqua aveva, deliberatamente o meno, scelto di portare la vita umana all’estinzione, asservendo divinità inesistenti e futili, facendosi guerra, in una società hobbesiana, ma senza un vero Leviatano.

La storica gara fra Colo Colo e Isola di Pasqua in Copa de Chile

Dicevamo, il calcio. Il 5 agosto del 2009, per la prima volta nella storia, una squadra professionista cilena, e che squadra, il Colo Colo, giocò un match ufficiale di Copa de Chile contro la selezione dell’Isola di Pasqua.
La patita giocata all’ombra dei Moai, suggestiva foto tratta da dalealbo.cl
Il match fu ribattezzato non senza un “pizzico” di retorica “el partido del siglo”, e il Colo Colo si impose per 4-0.
Interessante il pre-partita, con l’inno intonato dagli isolani con tanto di danza di guerra, la loro versione dell’haka e una grande festa intorno al campo.

Sant’Elena, oltre Napoleone c’è di più

Quando, dopo Waterloo, i britannici presero in consegna Napoleone Bonaparte, decisero di mandarlo in esilio a Sant’Elena, un territorio d’oltremare nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico. Lì Napoleone finì i suoi giorni, il 5 maggio 1821.

Sant’Elena resterà sempre fissata nell’immaginario collettivo per questo. Del resto, per la sua posizione, è una di quelle isole destinate ad essere, appunto, isolate.

Nel 2016 l’inaugurazione dell’aeroporto ha finalmente sparigliato le carte, dato che fino a quel momento, la Royal Mail Ship Saint Helena era l’unico tramite col mondo esterno.

Già nel 1949, una selezione dell’isola giocò una partita in trasferta nel Regno Unito. Il passivo di 15-3 contro il Lockheed Lemington dice poco però del momento storico: affrontare un tale viaggio, col calcio che fa da contatto con l’altro. Il debutto internazionale di Sant’Elena, sotto l’egida della Saint Helena Football Association, sarà solo nel 2019.

Due amichevoli come rodaggio, una in Galles a Bangor, l’altra sull’isola di Anglesey, entrambe contro rappresentative della suddetta isola. Una vittoria e una sconfitta, quest’ultima larga (2-7). Da lì, sempre nel giugno 2019, la partecipazione agli Inter Games Football Tournament, con 3 sconfitte in altrettante gare (1-6 contro le Shetland, 0-9 contro Guernsey e 1-2 contro gli scozzesi delle Western Isles).

Per ovvi motivi, l’affiliazione a qualunque competizione FIFA o UEFA resta un obiettivo non raggiungibile. Ma l’importanza crescente del calcio nella sua socialità, sia all’interno dell’isola che nel contatto esterno, lascia ben sperare per lo sviluppo dello stesso.

La selezione dell’isola di Sant’Elena, foto tratta dal sito berwickrangers.net

 

Conclusioni

Abbiamo analizzato 4 casi studio, isole remote con scarsi contatti con la madrepatria, in cui uno sport come il calcio funge da tramite col mondo esterno e da mezzo di socialità all’interno dell’isola.

A prescindere dalla competitività delle selezioni locali, resta fuor di dubbio che la lingua del calcio viene conosciuta e compresa nella sua essenza, anche a queste latitudini. Non dobbiamo quindi chiederci tanto dove il calcio possa portare queste persone, ma quale messaggio positivo sia in grado di veicolare.

Foto di copertina: campo di calcio costiero abbandonato a Christmas Island, fonte edo.im blog.