Luka Modric, il rifugiato di guerra diventato Pallone d’oro

Luka Modric, il rifugiato di guerra diventato Pallone d’oro

Aprile 12, 2021 0 Di Andrea Lorello

La storia di Luka Modric: lo scoppio della guerra, il rifugio di fortuna dell’ Hotel Kolovare e l’approdo nell’Europa del calcio che conta.

Nel video soprastante, un estratto dal raro documentario filmato fra il 1989 e il 1990 da Pavle Balenovic e diffuso dallo stesso autore nel luglio 2018, in cui appare Luka Modric, all’età di 5 anni, al pascolo sulle pietraie dei Monti Velèbiti. Sono gli ultimi momenti di un’infanzia serena. All’età di 6 anni lo scoppio della guerra segnerà per sempre la sua vita.

Le origini: l’infanzia turbolenta, il fisico gracilino, la porta sbattuta in faccia dall’ Hajduk Spalato e la fiducia del suo padre calcistico.

Dicembre 1991. Come ogni mattina un pastore di nome Luka è al pascolo con il suo gregge nei pressi del villaggio di Modrici, un paesino situato alle pendici dei Monti Velèbiti, nella regione della Dalmazia. E’ un luogo remoto di poche centinaia di anime dove il tempo scorre lentamente. Qui, le famiglie locali si dedicano prevalentemente alla pastorizia. Come quella del signor Luka. Una famiglia dalla pelle dura. Difatti girava un detto tra i conoscenti del villaggio: “A Modrici possono sopravvivere solo i Modric e il luppolo”.

Nonostante la scorza dura, durante quel pascolo di dicembre, il gelo non rappresentava la principale minaccia. Il 19 Marzo dello stesso anno venne indetto un referendum per la secessione della Croazia dalla Jugoslavia. Il 25 Giugno 1991 la Croazia proclamò la dichiarazione d’indipendenza. Ciò provocò la reazione dell’esercito Jugoslavo, composto dai Cetnici, il movimento serbo di ultranazionalisti fedeli alla memoria di Pietro II, re di Jugoslavia in esilio durante la Seconda guerra mondiale. E proprio uno dei battaglioni serbi, quel fatidico giorno di dicembre, fece l’incontro del pastore con il suo gregge. Lo trucidarono a colpi di Kalashnikov. Era Luka Modric. Nonno paterno di un ragazzino di sei anni, anch’egli di nome Luka, dal caschetto biondo ed il fisico gracilino.

 

Il cartello stradale indicante il villaggio natale della famiglia Modric. Foto tratta da zona cesarini

Da quel triste giorno papà Stipe e mamma Jasminka furono costretti a lasciare il loro villaggio natale di Modrici con il piccolo Luka e le due sorelle. La loro umile dimora era stata rasa al suolo dai serbi. Erano ormai rifugiati di guerra, pertanto avevano l’urgente bisogno giornaliero di un riparo dalle bombe. Lo trovarono inizialmente negli ostelli adibiti per i rifugiati della guerra dei Balcani. Finché non raggiunsero la roccaforte indipendentista di Zara. Città mirabile affacciata sul mare Adriatico.

Vi trovarono rifugio migliaia di croati ma non per la bellezza del luogo. Vi era infatti l’unico ospedale nell’arco di migliaia di km ed un albergo: l’Hotel Kolovare. Un hotel quattro stelle con la sala riunioni, le stanze luminose, i materassi in lattice, persino la piscina. Ovviamente è la descrizione attuale, è stato ristrutturato ed è tutt’oggi abitabile ad uso turistico. A quei tempi era un casermone grigio senza piscina ma con un ampio parcheggio.

Lì dove piovevano bombe, Luka Modric giocava, scambiandosi il pallone con il suo più fedele compagno di giochi: le spesse mura dell’albergo. Era portato per il calcio ma i suoi piedi non erano ancora di velluto. Un lavoratore dell’albergo ricorda un simpatico aneddoto del suo trascorso all’Hotel Kolovare: “Rompeva più finestre lui con un pallone che i serbi con le loro bombe”.

L’albergo Kolovare quando era adibito a rifugio durante la guerra d’indipendenza croata. Foto tratta da express.hr

Nel frattempo papà Stipe trovò lavoro come meccanico dell’esercito, e nel tragitto dall’hotel in officina, accompagnava suo figlio al campo. Gli comprò le scarpette da calcio ma non i parastinchi. Questi glieli fece in legno su misura. Il suo primo allenatore, Davorin Matosevic, parlò così di lui:

Luka fu iscritto dal padre nel 1992 alla nostra scuola calcio. Era un bambino spaventatissimo, un profugo, ma presto ho notato che il tocco di palla era morbido, vellutatissimo e inspiegabilmente preciso, visto che non sapeva cosa fosse il calcio o quasi. Ma era anche piccolo e debole, e sembrava non crescere mai. Non ero pertanto in grado di dire se quel fisico lo avrebbe sorretto nel diventare un grande calciatore.

Una mentalità figlia del pregiudizio, reso palese dalla stazza comune degli sportivi croati di successo. Non era contemplabile un futuro “nano” di 1.70 mt nel calcio croato di spicco. Molti erano scettici tranne uno. Tomislav Basic, il padre calcistico di Luka Modric. Il ruolo professionale di Basic era quello di responsabile delle giovanili dell’NK Zadar. Dopo averlo preso sotto la sua ala protettrice, propose Modric alla principale squadra di Spalato: l’Hajduk Spalato di cui Luka era tifoso. Ma il piccolo, secondo i dirigenti dell’Hajduk, non era cresciuto abbastanza tra le giovanili dello Zadar e difatti lo bocciarono.

Quante storie simili abbiamo letto o sentito ma il calcio è cambiato. Per fortuna. Le scuole di pensiero del controllo palla, della visione di gioco e privilegianti l’intelligenza tattica si sono moltiplicate nel panorama calcistico. Certo, una buona tecnica individuale abbinata a due spalle grosse rende un calciatore completo e super appetibile nel calcio moderno. Come il serbo Milinkovic Savic, ormai da tempo sul taccuino dei grandi club europei. Il fisico gracilino può agli albori apparire un handicap ma la tecnica sopraffina può compensarlo nel tempo. Ci vuole occhio, un pizzico di fortuna ma anche tanta caparbietà.

Dimostrò di averne Tomislav Basic e il suo istinto si rivelò infallibile. Ben presto Luka Modric diventò padrone del centrocampo. Un ruolo costruito nel tempo. Il fattore, insieme allo spazio, più importante nel calcio. Ecco, Modric è diventato il maestro del rapporto spazio-tempo nel calcio. Questo vuol dire conoscere alla perfezione i tempi di gioco. Ma non solo, cambio di passo, tecnica sopraffina, lancio e tiro dalla distanza. Modric ha tutto tranne le spalle grosse. E pensare che dopo il rifiuto della sua squadra del cuore fu in procinto di appendere gli scarpini al chiodo. Non osiamo immaginarlo. Ci limitiamo a dire che sarebbe stato uno sproloquio di bellezza sprecata.

Agli albori di una stella. Foto tratta da Sportbible

La Dinamo Zagabria del padre-padrone del calcio croato e l’esperienza formativa in Bosnia-Erzegovina

Ecco perché noi amanti del pallone dobbiamo ringraziare quella lince di Tomislav Basic, che persistette fino a proporre Modric ai rivali della squadra per cui faceva il tifo da bambino: la Dinamo Zagabria del potente dirigente Zdravko Mamic. Faccendiere di origini bosniache, ex leader dei “Bad Blue Boys” (gruppo ultras della Dinamo Zagabria), condannato a 6 anni di reclusione per appropriazione indebita per essersi intascato ingenti somme di denaro dai trasferimenti milionari dei giocatori della Dinamo, tra cui proprio quello di Modric al Tottenham.

Ma nel nostro racconto Luka è ancora un quindicenne, bussa alla porta della stanza presidenziale del club di Zagabria e viene accolto dal famigerato Mamic dal di dietro della sua scrivania in legno di quercia pregiato. Queste furono le parole del patron della Dinamo quando gli fu presentato il piccolo Luka:

Me lo ricordo bene. Era un profugo, e il padre non aveva neanche i soldi per i parastinchi. Glieli fabbricava intagliando dei pezzi di legno. Nei primi anni gli pagavo l’appartamento, l’automobile e la casa dei genitori”.

Nonostante ciò, nei primi anni di Zagabria, nessuno si accorse delle sue qualità. Dopo una stagione tra le giovanili della Dinamo, fu dato in prestito allo Zrinjski Mostar, in Bosnia-Erzegovina. Ecco, questo fu un passaggio fondamentale nella carriera di Luka Modric. Per quanto dura fu quell’esperienza, servì a Modric per due motivi. Uno, i giganti del campionato bosniaco non lo intimorirono. Dimostrò ai club europei più blasonati che dentro quel corpo esile si nascondeva un vero combattente. Due, i bosniaci consideravano Modric ostile in quanto croato. Ma anche dal punto di vista caratteriale, diede prova di solidità mentale.

Quella che segue è la sua testimonianza di quel periodo:

Giocare in Erzegovina è difficile, nel senso che ovunque vieni visto con sospetto. Le trasferte erano durissime: sputi e insulti in ogni dove e soprattutto minor tutela dagli arbitri. Ogni tanto prendevo una pedata a palla lontana e – se mi lamentavo con l’arbitro – spesso mi sentivo rispondere ‘Taci, feccia d’un croato!”.

Luka Modric durante l’esperienza in Bosnia Erzegovina con la maglia dello Zrinjski Mostar. Foto tratta da Twitter

L’ Europa del calcio che conta, la conquista del pallone d’oro e la finale del Mondiale russo del 2018

Dopo l’esperienza formativa in Bosnia tornò in patria in prestito all’Inter Zapresic. Qui vinse il premio di Speranza del calcio croato 2004. La speranza si è tramutata nel pallone d’oro 2018. Ma questa è un’altra storia. Prima viene il Tottenham che rappresenta l’approdo di Modric nell’Europa del calcio che conta. Poi il sogno di ogni bambino: la chiamata del Real Madrid. Dal parcheggio dell’Hotel Kolovare al Santiago Bernabeu. Così come mutò la tela, espressione della sua arte, cambiarono anche gli interpreti. Dal muro scalfito dalle schegge impazzite degli esplosivi a Xabi Alonso e Kakà. Giusto per fare due nomi.  A Madrid vinse tutto quello che c’era da vincere. Per saperne di più, consultare gli almanacchi.

Lì dove non troverete le due certezze nel cuore del croato: l’amore per la sua patria e il dono della povertà. La sua più grande ricchezza. Quella che lo ha portato sul tetto di Parigi, vincendo il pallone d’oro del 2018. Un premio discusso dal portoghese Cristiano Ronaldo, non presentatosi alla cerimonia di premiazione. Al di là dei meriti sportivi e della presunta ingiustizia contro il portoghese, la sua assenza fu testimonianza di non riconoscenza per l’ex compagno di squadra. Se poi il compagno in questione si chiama Luka Modric, la brutta figura diventa figuraccia.

In realtà quel pallone d’oro fu strameritato. Basti pensare che arrivò dopo l’ennesima Champions League vinta da protagonista, il Best FIFA Men’s Player, il UEFA Men’s Player of the Year e la finale mondiale contro la Francia, coronata con il premio di miglior giocatore della rassegna irifata. Insomma quel pallone d’oro fu riconosciuto da tutti tranne da Cristiano Ronaldo.

Ma bando ai capricci del portoghese, a proposito di nazionale, non è un caso che i più grandi del calcio, quelli dallo spessore tecnico e carismatico superiore, abbiano raggiunto risultati encomiabili con la selezione del proprio Paese. In nazionale non basta la tecnica, serve il carisma per trascinare la propria rappresentativa alla vittoria o quantomeno ad un piazzamento rivelatorio. Come fu d’altronde quello croato nel mondiale russo del 2018. In nazionale Modric ha raggiunto recentemente il record di 135 presenze superando così il veterano Darijo Srna. In quell’occasione i compagni di squadra, Rakitic, Corluka, Dejan Lovren, che tutti vissero una storia simile a quella di Modric, addirittura il portiere Subasic, diviso fra mamma croata e papà serbo,  omaggiarono il loro numero 10 di una torta con scritto sopra 135 .

Ecco, a proposito di riconoscenza, emblematiche sono le immagini di quel momento, dove la nazionale croata è in ritiro ed è riunita nella sala da pranzo dell’albergo. All’arrivo della torta tutti si alzano in piedi celebrando il loro capitano. L’ex ragazzino profugo dell’Hotel Kolovare si rifugia in un pianto che sa di dignità, sacrifici e amore per la sua gente. Ma quel pianto ci dice ancora un’altra certezza di Luka Modric: dieci palloni d’oro non varranno mai 135 presenze in nazionale croata.

Per capirne di più, così descrive Luka il suo passato:

Dovete capire una cosa sulla gente croata. Dopo tutto quello che ci è successo, dopo la guerra, siamo più forti. Quello che abbiamo passato è stato molto duro. Oggi siamo persone difficili da rompere. E siamo determinati nel dimostrare che possiamo raggiungere il successo”.

Ecco, ci auguriamo che Luka Modric possa rappresentare un modello da seguire fuori dal campo. Un ragazzo dal talento innato e dall’animo roccioso. Come le pietraie dei Monti Velèbiti. Lì dove andava a pascolo da bambino e giacciono i ricordi più vivi di famiglia, della sua casa, di suo nonno Luka Modric.

Nel video, la riconoscenza della nazionale croata per le 135 presenze del loro capitano, il giocatore con più presenze in nazionale. Alla fine del video Luka Modric si rifugia in un pianto d’amore per la sua terra e la sua gente martoriata dalla guerra.