Da Santiago Bernabeu a Florentino Perez: perché nasce la Superlega
Aprile 19, 2021Santiago Bernabeu è l’uomo a cui Perez si ispira per la Superlega. Perché il calcio sta tornando alle origini, a quel concetto di élite da cui è nato.
Un legame inscindibile: da Santiago Bernabeu a Florentino Perez, nel segno dello stadio, del madridismo, della conquista europea
Non poteva che venire da Florentino Perez la spinta decisiva alla creazione della Superlega.
Il costruttore spagnolo, leader di ACS, da poco rieletto presidente del Madrid per un ulteriore mandato, ha nell’ambizione e nella grandeur la sua vera ossessione. Del resto, il suo metro di paragone è chiaro.
L’uomo che, ancora in vita, ha dato il nome allo stadio che ha fatto costruire sin dal momento in cui è diventato presidente. L’uomo che ha contribuito alla creazione della Coppa Campioni. Per i club, fu ciò che Jules Rimet e Hery Delaunay sono stati per le nazionali di calcio. In punto di morte, ebbe a dire alla moglie “sono alla fine, non vedrò la settima Coppa Campioni”. Ambizione, denaro, politica, successo, in una visione lungimirante che tenga conto di tutti questi aspetti. Ecco cosa lega Bernabeu e Perez.
Santiago Bernabeu è stato un imprenditore sportivo rivoluzionario e non deve affatto sorprendere che sia stato proprio Don Florentino a guidare la joint venture di capitali dei soci della Casablanca, per la ristrutturazione dello stadio. Parliamo di un investimento complessivo di 574 mln di euro. Destinati però a salire e ad incidere più pesantemente sul bilancio del Real, a causa delle perdite dovute alla pandemia. Di contro, il covid-19 ha permesso una maggiore “libertà di manovra” per accelerare i lavori di ristrutturazione dello stadio.
Entro il 2022, il nuovo stadio Santiago Bernabeu sarà un impianto avveniristico, multifunzionale. La casa perfetta per il club più influente del mondo del calcio, il Real Madrid.
Il Real Madrid ha però approfittato delle gare a porte chiuse per ospitare le partite casalinghe all’Alfredo Di Stefano di Valdebebas. Con lo stesso Di Stefano in fase di ampliamento, il Real Madrid ha potuto contare su un terreno di gioco familiare, decisivo per la conquista della Liga nella passata stagione (come spiegavamo qui).
Una vecchia, nuova idea di calcio: business per ricchi
Immaginate ora un Florentino Perez, che dopo tutti i “pagherò” che ha racimolato con le banche spagnole e i fondi di investimento internazionali, deve fare i conti con ulteriori perdite (pandemia, disaccordi sui premi per le Coppe, biglietti invenduti). Ora il Perez di turno va dalla UEFA a chiedere una “migliore” redistribuzione della fetta verso “l’alto”. Nel frattempo la stessa UEFA è intenta a creare l’ennesima competizione per allargare la sua influenza e far cadere qualche briciola di pane in più sui campionati minori, che pure portano voti.
Il problema di Ceferin è lo stesso che ebbero Platini, Blatter e che ha Infantino oggi. Politica. FIFA e UEFA sono nate come istituzioni garanti del calcio internazionale ed europeo, ma sono appunto organi politici, soggetti a voti, sostegno e in costante leverage fra lobbysti e desideri di maggiore democrazia.
Il calcio è nato in Gran Bretagna per rispondere all’esigenza di svago dei ricchi e incanalare le masse. Da lì nel corso degli ultimi 150 anni è diventato lo sport più popolare del globo, eccezion fatta per gli Stati Uniti e qualche sperduto atollo del Pacifico, oltre a Cuba e Santo Domingo. Stiamo esagerando, però volutamente. Le immagini che giungono da tutta Europa, il grido di dolore dei tifosi, sono tutte questioni condivisibili.
Il punto è che, sia esso Superlega, European Cup, Champions League, o qualunque cosa (non) vogliate, siamo nel corso di una guerra fra ricchi, in cui il calcio è il mezzo, non il fine.
Se avete ancora a cuore un pallone che rotola, portate i vostri figli al campetto dietro casa. Tornate a vedere, quando sarà possibile, la partita della squadra di quartiere, quella che in Inghilterra si chiama “Sunday League”. Non basterà mai il vostro “no al calcio moderno”, che urlavate allo stadio in curva durante le gare della squadra del cuore.
E non sarà sufficiente neppure la minaccia di boicottaggio dei Mondiali in Qatar.
Se il calcio è davvero dei tifosi, del popolo, di chi lo ama, ognuno di noi se ne riappropri portandone con sé i valori, ogni giorno. Perché la JP Morgan, o chi per essa, finanzierà questa o quell’altra “cosa” a suon di miliardi. E non c’è assolutamente nulla che noi possiamo fare per fermare un processo storico elitario che non ci coinvolge. Un processo di marketing transnazionale e delocalizzato, in cui un tifoso che acquista in Cina, ripetutamente, i prodotti del club (maglie, gadget, pay tv), avrà col tempo più valore di quello attaccato ai colori, che abita a 50 metri in linea d’aria dallo stadio e che, quando la famiglia sta bene e non deve lavorare, magari ogni tanto va anche alla partita.
Il calcio, signore e signori, non è mai stato il nostro giocattolo. Ma è il gioco di quelli come Don Florentino, come gli Agnelli, i Santiago Bernabeu, i Berlusconi, i Moratti, i cinesi, il fondo Elliott. Il gioco dei ricchi.