I Busby Babes, Monaco ’58 e il DNA del Manchester United
Aprile 22, 2021La storia dei Busby Babes è una di quelle che più di molte altre lasciano chi le legge con un profondo senso di amarezza unita a grande curiosità.
Questo perché l’essere umano ha da sempre un grande bisogno di completezza, e quando una storia leggendaria come quella dei ragazzi di Busby viene drasticamente interrotta al raggiungimento dei primi risultati, viene normale chiedersi il perché sia dovuta finire in questo modo ingiusto.
Gli avvenimenti a cui assistiamo, tuttavia, non seguono la logica che siamo abituati a leggere nei romanzi o a vedere nei film, dove i protagonisti riescono sempre a uscire da ogni guaio e a compiere le imprese prefissate. Bensì seguono la crudele logica della realtà, dove la morte è per sempre e il finale delle storie non è mai scontato.
L’artefice: Matt Busby
Siamo in Inghilterra, intorno al 1952. Sulla panchina del Manchester United è seduto, da ormai diverse stagioni, Matt Busby.
Busby è arrivato a Manchester nel 1945, dopo aver prestato servizio militare durante la guerra. Ha rifiutato l’offerta del Liverpool, nel quale aveva finito la carriera da giocatore, per onorare una promessa fatta alla dirigenza dello United.
Dopo quattro secondi posti e una vittoria in FA Cup nelle prime 5 stagioni, il mister scozzese guida i Red Devils a vincere il campionato di First Division.
Per la città di Manchester la vittoria del titolo a 40 anni dall’ultima volta rende quella stagione indimenticabile.
Il manager dei Red Devils tuttavia capisce che si può fare di più, l’età media della rosa è molto alta e c’è bisogno di rinnovamento.
In quello stesso periodo Matt Busby, insieme al responsabile delle giovanili Jimmy Murphy, inizia un gran lavoro di riqualificazione della rosa, che vede nei giovani del vivaio il punto cardine della crescita del club.
Edwards e Charlton: la speranza
Già dalla fine del 1952 in giro per l’Inghilterra viaggiano diversi emissari del Manchester United per accaparrarsi i migliori giovani del paese.
Dopo pochi mesi, firmano per il club diversi ragazzi molto promettenti. Su tutti spicca il nome di Duncan Edwards da Dudley: ala sinistra, molto conteso già dall’età di 12 anni quando si faceva notare nelle squadre scolastiche. Su di lui ci sono gli occhi dei top club dell’epoca.
I Red Devils soffiano il talento di Edwards a Wolverhampton e Aston Villa. Il ragazzo di Dudley farà il suo esordio nel 1953 all’età di 16 anni e già dalla stagione seguente sarà un uomo chiave di Matt Busby, mostrando a tutto il paese le sue immense qualità.
Nello stesso anno viene portato a Manchester il quindicenne Bobby Charlton, anche lui verrà aggregato alle giovanili dove si distinguerà come una molto promettente mezzala a tutto campo. Nel corso della carriera, però, arriverà ben oltre.
Edwards e Charlton rappresentano sicuramente le due stelle di quelle giovanili, insieme ad altri ragazzi di belle speranze come il centrocampista Eddie Colman e l’attaccante Dennis Viollet. Quest’ultimo in particolare si rivelerà un vero bomber europeo.
In tutto questo talento però, Duncan Edwards è un giocatore diverso, capace di abbagliare chiunque lo osservi sul campo. E’ su di lui che non solo lo United, ma l’Inghilterra intera ripone le sue speranze.
“Guardavamo i giocatori in allenamento cercando di capire le caratteristiche su cui intervenire per farli migliorare.
Guardammo Duncan e rinunciammo a cercare dei difetti nel suo gioco.”
Sir Matt Busby
Già dalla stagione 1953-54 la squadra sarà per gran parte ringiovanita, arrivando a una media di 23 anni di età, con diversi giocatori sotto i 20 anni nella squadra titolare.
Presto quei ragazzi verranno soprannominati dai giornali: “Busby Babes”.
Il calcio inglese ha bisogno dei Busby Babes
Il calcio britannico non vive di certo il suo periodo di massima reputazione.
Nonostante gli inglesi abbiano inventato il gioco, e da sempre abbiano rivendicato il fatto di avere i migliori giocatori al mondo, non sono ancora riusciti a dire la loro in palcoscenico internazionale.
Ciò è chiaramente dovuto dal fatto che l’Inghilterra fu estromessa dalle prime Coppe del Mondo fino a Brasile 1950, dove vi partecipò senza superare il primo girone. Nel 1954 invece, la nazionale inglese uscì di scena ai quarti di finale contro l’Uruguay.
A un anno di distanza, viene disputata la prima Coppa dei Campioni, anch’essa senza una squadra inglese nel tabellone, che verrà inserita nella stagione seguente.
Nel frattempo, i Busby Babes mostrano da subito di avere feeling con il grande calcio, disputando ottimi campionati e arrivando a vincere il titolo nella stagione 1955/56.
i Red Devils diventano così la prima inglese a disputare la Coppa dei Campioni ed è su di loro che il movimento calcistico oltremanica ripone le proprie speranze.
1956-58 Il sogno europeo e la consacrazione di Edwards e dei Busby babes
L’impatto dei ragazzi di Busby sulla Coppa dei Campioni è a dir poco ottimo: al primo turno con l’Anderlecht, dopo aver vinto 0-2 in Belgio, i Red Devils si impongono con un sonoro 10-0 al Maine Road (stadio di casa temporaneo a causa delle bombe tedesche cadute su Old Trafford) con 4 gol di Viollet e 3 di Tommy Taylor uniti a un Edwards devastante.
Lo United riuscirà ad arrivare sino alle semifinali battendo il Borussia Dortmund e un molto ostico Athletic Bilbao. La loro strada però si scontrerà con quella del Real Madrid di Alfredo Di Stefano, che in semifinale stende i Red Devils volando in finale verso la seconda Coppa consecutiva.
Tuttavia, i ragazzi di Busby sono protagonisti di un’altra grande stagione in First Division dove vincono nuovamente il campionato.
Nel 1957/58 Edwards e compagni sono di nuovo pronti per puntare alla Coppa.
Dopo aver facilmente eliminato gli irlandesi dello Shamrock Rovers e i cechi del Dukla Praha, il Manchester United si presenta ai quarti di finale come una delle favorite per sfidare il dominio di Alfredo Di Stefano e il suo Real Madrid.
Oltre ai soliti Edwards, Viollet e Taylor, spicca per le sue prestazioni il giovane Bobby Charlton, che mette già il suo nome nel tabellino dei marcatori nella Coppa dei Campioni. A ogni giorno che passa sarà sempre più una pedina fondamentale per mister Busby.
Ai quarti di finale, l’avversario è la Stella Rossa, semifinalista come i Red Devils nella stagione precedente.
Dopo la vittoria per 2-1 in un Old Trafford rimesso a nuovo, i Red Devils arrivano a Belgrado, il 5 Febbraio del 1958, con 2 risultati utili su 3 per passare il turno.
Ne uscirà un 3-3 molto divertente, con la doppietta di Bobby Charlton che fa volare la squadra inglese alle semifinali.
È una serata di festa, dopo la partita la squadra si prepara per il ritorno a casa.
Apparentemente, sembra tutto liscio e normalissimo.
Quel maledetto 6 febbraio 1958 e la tragedia dei Busby Babes
Per agevolare il ritorno in patria, lo United opta per un volo charter della British European Airways con scalo a Monaco di Baviera.
Il volo da Belgrado parte con un’ora di ritardo, perché viene perduto il passaporto di Johnny Berry.
Atterrati in Germania, i passeggeri attendono il cambio pilota. Il veterano della RAF nella seconda guerra mondiale, Capitano Kenneth Rayment, da copilota è passato al comando.
Su Monaco sta scendendo una violenta nevicata, rendendo la vita difficile ai piloti e causando condizioni di rischio proprio alla fine della pista. I primi due tentativi di decollo vanno a vuoto. Il volo viene quindi cancellato per il maltempo. I passeggeri vengono fatti scendere ma dopo soli 15 minuti si decide comunque di ripartire e rientrano a bordo.
Il terzo tentativo sarà fatale.
L’aereo esce dalla pista e si scontra ad alta velocità contro una fattoria. Il Capitano Rayment perderà la vita a causa dello scontro della cabina con un albero, dopo 3 settimane di agonia in ospedale.
I giocatori dello United, credendo di essere più al sicuro nella coda dell’aereo, si dirigono nella parte posteriore del velivolo che però esplode.
Delle 23 vittime del disastro di Monaco, 8 sono calciatori dello United, 3 i membri dello staff tecnico. Gli altri: giornalisti, civili e membri dell’equipaggio.
Il portiere Harry Gregg, dopo aver perso conoscenza nell’esplosione è il primo a prestare soccorso alle vittime nel tentativo disperato di tirar fuori i superstiti dal velivolo.
Vengono trascinati via dai rottami in fiamme. Fra gli altri, Bobby Charlton, Duncan Edwards e Matt Busby; gli ultimi due in condizioni critiche. Sette giocatori dello United, tra cui Tommy Taylor e David Pegg, muoiono praticamente sul colpo. Duncan Edwards riesce a resistere per 15 giorni agonizzanti fino a cedere del tutto sul letto d’ospedale. Aveva solo 21 anni.
Un prete leggerà per due volte la preghiera dell’estrema unzione per Matt Busby, ma il mister scozzese sopravvive.
Due dei calciatori superstiti non giocheranno mai più a calcio.
Matt Busby è rimasto alla guida dello United. La semifinale con il Milan ha visto i suoi perdere 4-0 a San Siro, dopo l’iniziale vantaggio maturato per 2-1 nella gara d’andata. In First Division i superstiti e i ragazzini del club termineranno al nono posto.
Cosa accadde dopo: la nuova era di Busby e Best
“Matt non mi ha mai parlato di Monaco, ma mi parlava sempre di Duncan Edwards, David Pegg, Eddie Colman e tutti i giocatori che se ne andarono quella notte”.
Sir Alex Ferguson
Dalla stagione successiva, Matt Busby si affida a Bobby Charlton e Bill Foulkes per costruire intorno a loro una squadra con un unico obiettivo: tornare sul tetto di Europa in onore delle vittime di Monaco.
La dirigenza fa diversi acquisti di qualità e i Red Devils disputano un paio di buoni campionati.
La svolta però avviene nel 1961. Lo storico scout dello United Bob Bishop, che si trovava a Belfast, manda un telegramma a casa Busby: “Credo di averti trovato un genio”.
Il genio è un ragazzo gracilino di 15 anni di nome George Best.
Con il fenomeno nord irlandese insieme a un Charlton sempre più forte, il Manchester United mette le basi per tornare a compiere grandi imprese.
Ci vorrà tempo, circa 8 anni, prima di vedere nuovamente i Red Devils in cima alla First Division.
Best ormai è esploso e la squadra è tornata davvero competitiva: nella stagione 1967/68 viene raggiunto l’apice
La squadra di Busby riesce ad arrivare in finale di Coppa dei Campioni contro il Benfica di Eusebio, dopo aver eliminato il Real Madrid in una semifinale storica.
Nella finale di Wembley, l’uomo della storia non poteva che essere Charlton. Il futuro Sir Bobby segna il primo e l’ultimo gol nel trionfale 4-1 con cui i Red Devils battono i portoghesi dopo i tempi supplementari.
Epilogo
Quella notte, Bobby Charlton e Bill Foulkes non riescono a festeggiare, la mente non può che tornare a quella notte di 10 anni prima e a chi perse la vita nel disastro di Monaco.
Matt Busby, sentendosi finalmente compiuto, decide di terminare la sua carriera da allenatore dopo 23 anni di attività, tutti nel Manchester United.
I Red Devils diventano così la prima squadra inglese a sollevare la Coppa dei Campioni. Dopo la vittoria dell’Inghilterra al mondiale casalingo di due anni prima, il calcio inglese è finalmente sul tetto del mondo di questo sport.
Sotto il cielo di Wembley compie il suo epilogo una delle storie più incredibili dell’era del calcio.
Guardando lo sviluppo che questa vicenda ha avuto, si potrebbe quasi azzardare a parlare di un lieto fine.
Tuttavia, nonostante i successi ottenuti da Charlton dopo l’incidente, con il mondiale, la Coppa Campioni e il Pallone d’Oro in bacheca. Nonostante Matt Busby sia riuscito, dal letto di ospedale da cui li veniva data l’estrema unzione, ad alzare la Coppa in quella notte magica, mi ritrovo qui, sul finale di quest’articolo, a fissare il vuoto con uno strano senso di incompletezza.
La mente torna agli albori di questa storia: a quei ragazzini ancora sbarbati che osavano sfidare il calcio dei grandi facendone traballare le gerarchie, con Busby al comando e una storia del gioco tutta ancora da scrivere.
D’un tratto faccio un ghigno, quando immagino per un attimo George Best e Duncan Edwards in campo insieme: Best sulla sinistra, ed Edwards dove gli pare, che tanto sapeva giocare ovunque…
…e mentre queste immagini mi scorrono nella testa, mi viene un po’ di mal di pancia.
Immagine di copertina: The Irish Times