Metodologia di lavoro, confronto tra settore giovanile e prima squadra
Aprile 22, 2021Metodologia di lavoro, fin dal settore giovanile, applicata al calcio. Argomento che da sempre ha scatenato forti dibattiti. Uno di questi è senza dubbio la differenza di approccio tra le prime squadre ed i settori giovanili. Beniamino Abbate, nostro assiduo lettore, ma soprattutto uno dei più giovani allenatori in possesso del patentino UEFA B in Italia, ce ne parla.
Metodologia s. f. [comp. di metodo e –logia]. – 1. a. In senso generico, lo studio del metodo su cui dev’essere fondata una determinata scienza o disciplina; con senso più concreto, il complesso dei fondamenti teorici o filosofici sui quali un metodo è costruito.
Treccani.
Esiste veramente una grande differenza di obiettivi tra settore giovanile e prima squadra? Se sì, quale potrebbe essere? Qualcuno potrebbe dire semplicemente che nel calcio giovanile vanno formati i giocatori mentre con le prime squadre bisogna guardare al risultato. Ma c’è qualcosa che non torna.
Giochisti vs Risultatisti e la visione del calcio in Italia
Più guardo le partite di altri campionati e più mi rendo conto che, costume soprattutto italiano, inventiamo dibattiti calcistici sul nulla. Il più gettonato: “giochisti vs risultatisti”. Ci domandiamo, inoltre, per quale motivo veniamo presi a “pallonate” in Europa.
La motivazione sta proprio nella nostra visione del gioco del calcio rispetto agli altri Paesi. Cerco di spiegarmi meglio partendo da un argomento molto discusso. Qualche anno fa se un giocatore avesse sbagliato un retropassaggio, favorendo il gol per la squadra avversaria, sarebbe stato criticato per l’errore. Al giorno d’oggi se un giocatore commette lo stesso errore, appena descritto, viene criticata la “costruzione dal basso“. Cosa mi sono perso?
Parto dal presupposto che, per quanto mi riguarda, non sono né per la costruzione dal basso né per il lancio lungo. Semplicemente perché non è possibile schierarsi ed ora vi svelo il motivo.
Si critica spesso la costruzione dal basso in sé ma si notano poco gli errori individuali e collettivi dei giocatori.
Il problema è applicare la teoria senza sapere soprattutto perché, quando, come e dove applicarla.
Inoltre, al di là delle caratteristiche dei giocatori a disposizione, se determinate situazioni non si allenano da piccoli, da grandi sarà tutto più complicato.
Occhio però a non cadere nella tentazione di obbligare queste scelte ai vostri giovani, altrimenti il giocatore pensante (o consapevole), che tanto osanniamo a parole ma poco a fatti, va a farsi benedire.
Se obblighiamo il giovane portiere (o chi egli sia) a giocare vicino al compagno “costruendo dal basso” senza dargli la possibilità di scegliere in completa autonomia, vanifichiamo il tutto. Il soggetto in questione deve scegliere se giocarla vicino o lanciare (ovviamente non a caso). La scelta non sarà mai sbagliata ma semplicemente una scelta dipesa da avversari, compagni, e così via. E soprattutto dalla risposta cognitiva del giocatore in base alle sue “esperienze di gioco”. Avete presente il detto “sbagliando, si impara”? Ci siamo capiti.
La memoria cognitiva “allenata”
A proposito, rimembrate le poesie che imparavate a scuola?
Bastava usare la memoria, metterci un po’ di sentimento e il gioco era fatto.
Detto ciò, capirete che i giovani non vanno allenati meccanicamente ma secondo determinati princìpi di gioco e, soprattutto, non secondo degli schemi (come a volte può avvenire con gli adulti).
Personalmente, allenerei anche le prime squadre secondo princìpi di gioco ma questo, oltre ad essere una scelta, è anche un altro discorso.
Tornando a noi, un’altra lamentela comune è quella riguardante certe lacune di alcuni giocatori anche a determinati livelli. Dove risiede la causa? Possibile che si stia rovinando il calcio dei bambini, dei ragazzini? Quel calcio che piace a noi tutti perché ci porta in qualche modo indietro nel tempo e ci fa rivivere piacevoli ricordi. In particolare mi riferisco al settore giovanile. Comincio col dire che dovrebbero esserci più controlli. È inammissibile che dei bambini debbano giocare a 7 in un campo di calcio a 5 o che debbano giocare a 9 in un campo di calciotto. I bambini, a differenza degli adulti, hanno bisogno di più “tempo e spazio” (due paroline magiche come “pollo e patate”) solamente per controllare il pallone.
L’esempio del settore giovanile di Barcelona e Ajax
Alcuni formatori pretendono di fare iniziare “l’azione dal basso” al loro portiere che non sa cosa fare per due motivi:
– ha paura di passare il pallone al compagno perché quest’ultimo ha già sbagliato 10 controlli;
– il mister gli impone di passare il pallone al compagno vicino.
Ora sul primo motivo qualcuno dirà: “eh ma c’è la regola che non si attacca!”
Ok, perfetto. A parte il fatto che sappiamo bene che si perde palla al secondo passaggio ma non sarebbe normale che si giocasse in un campo adatto alle esigenze del bambino? Senza mettere regole a caso e magari senza andare a sbattere addosso ad avversari e compagni?! Una cosa è sbagliare, perdere palla e imparare dall’errore. Un’altra è andare a sbattere addosso agli altri a causa delle dimensioni del campo.
Secondo motivo. Qual era? Ah sì, il mister che impone al suo portiere di giocarla vicino perché la sua squadra gioca a massimo due tocchi come il Barcellona. Su questa cosa, avrei tante cose da dire ma mi limito a dire che a “La Masia” del Barcellona insegnano al bambino a fare delle scelte. Nessuno impone nulla. Come spiegato in precedenza, anche il lancio è una scelta. I bambini sono liberi di scegliere in base alla loro esperienza di gioco.
Ho preso il Barcellona come esempio perché ormai lo fanno tutti e devo dire, ahimè, la maggior parte delle volte in modo totalmente errato. Non nascondo il fatto che ami filosofie come quelle del Barça e dell’Ajax. La cosa che mi irrita è che alcuni incolpano sempre questi modelli per il fatto che oggi non si dribbla più o magari non nascono più i difensori di una volta. Non sono assolutamente d’accordo. Un conto è emulare queste filosofie di gioco, un altro è studiarle. Inoltre, sapete all’Ajax quanti duelli e situazioni fanno svolgere ai propri bambini per insegnare a marcare e, soprattutto, a dribblare?!
Vi porto un altro esempio. Molti si lamentano che non nascono più i difensori che “marcano in anticipo”. Ma qualcuno si è chiesto se questo tipo di marcatura si insegna in allenamento? E inoltre, se si concede al ragazzino la possibilità di scegliere fra difendere la profondità o marcare in anticipo?
Non è un caso il fatto che giocatori come Van Dijk e De Ligt facciano parte della scuola olandese. Una scuola (non solo Ajax) che in fase di non possesso ha come principio il “marco-marco” rispetto al “marco-copro”.
Dribbling e gesto tecnico “funzionale”
Passiamo al dribbling, un gesto tecnico che non si può insegnare. Possibile però concedere al ragazzino di decidere se dribblare (usando la propria fantasia) o passare palla al compagno?
Ecco, senza volere (o forse sì) siamo arrivati alla trasmissione del pallone. Altro argomento in cui notiamo le differenze con i giovani degli altri Paesi. “Gli altri fanno girare la palla più velocemente dei nostri”, direbbe qualcuno.
A questo punto la domanda sorge spontanea:
“Come allenereste i vostri giocatori per migliorare la trasmissione del pallone?”
Facendo riferimento a quello che ho visto e vedo sui campi, noto ancora questa ricerca incessante dei “gesti tecnici perfetti” ma per niente funzionali al gioco.
Partendo dal presupposto che non esiste un gesto tecnico perfetto, ricordate i passaggi tesi che faceva Ronaldinho?
Nonostante avesse un modo tutto suo di trasmettere il pallone in determinati situazioni, tale gesto tecnico risultava sempre funzionale.
A mio modo di vedere, ogni giocatore, per definirsi tale, dovrà imparare i gesti tecnici del gioco del calcio (ecco perché parliamo di funzionalità rispetto al gioco) ma, allo stesso tempo, ogni giocatore avrà un suo “stile” che lo distinguerà dagli altri. L’espressione “allenamento differenziale”, vi dice nulla? I giovani giocatori non vanno “costruiti” ma vanno aiutati a conoscere se stessi. Libertà, coraggio e fantasia: tutto ciò che serve a un giovane giocatore per diventare un adulto capace di interpretare il gioco. A proposito di gioco, nelle prime squadre si discute spesso di “percentuali di possesso”. A tal proposito, leggiamo le parole di Mister Bielsa:
“C’è chi dà molta importanza al possesso e chi lo disprezza, e questo va bene, si può apprezzare o meno perché l’importante non è la percentuale di possesso ma l’importante sono la quantità di attacchi. Se gli attacchi sono accompagnati dal possesso, che è la migliore maniera per aumentare la quantità di attacchi, ben venga ed è ciò che piace al pubblico.”
Cosa posso aggiungere? Più chiaro di così!
Conclusioni: esiste una differenza di metodologie d’allenamento fra settore giovanile e prima squadra?
La verità è che probabilmente questa grande differenza sugli obiettivi tra settore giovanile e prima squadra esiste solo in Italia.
Nell’ultimo Barcellona-Valladolid, la squadra di casa ha mandato in campo 9 giocatori nati tra il 1997 ed il 2003. In Italia ci vantiamo se abbiamo un 2004 nella Juniores.
Inoltre basta guardare una partita come quella tra Manchester City e Leeds per capire come due maestri di calcio come Guardiola e Bielsa abbiano dato esempio sia in campo che fuori. In base a ciò che ho scritto fino ad ora, come definireste il secondo goal del Leeds che, in inferiorità numerica, inizia l’azione dal portiere per poi finalizzare? Costruzione o lancio? Io direi semplicemente, gioco.
Il gioco, oltre a essere il vero maestro, è anche la strada che ci porta a vincere acquisendo consapevolezza dei propri mezzi e facendoci divertire.
Come diceva il grande Johan Cruijff: “la qualità senza risultato è inutile. Il risultato senza qualità è noioso”.
In fin dei conti, sappiamo bene che un allenatore debba servirsi della squadra per migliorare ogni singolo giocatore ma siamo proprio sicuri che, questo concetto, valga solo per i giovani?
Testo di Beniamino Abbate, riadattato per esigenze editoriali.
Immagine di copertina: La più famosa Masia del Barça, con Messi. Piqué, Fabregas, Xavi. Foto youcoach