Avellino-Palermo e quel weekend di maggio del 1992

Avellino-Palermo e quel weekend di maggio del 1992

Giugno 6, 2021 0 Di Luca Sisto

Avellino-Palermo, doppio confronto valido per i playoff di serie C, non è stata una gara normale.

Ventinove anni fa le squadre erano in B, quando avvenne la strage di Capaci, mentre i Rosanero erano in viaggio verso Avellino per tentare di salvarsi nel campionato 1991-92. Quel 23 maggio il Paese fece ancora i conti con la mafia, mentre Palermo registrò il suo anno più nero. Le due squadre poco dopo sarebbero precipitate entrambe in C.

Proprio lo scorso 23 maggio, alle 17:57 la partita d’andata a Palermo è stata simbolicamente interrotta. Nel doppio confronto a passare è stato l’Avellino, che continua la sua cavalcata playoff nel tentativo di raggiungere la serie B. Per il Palermo, un altro capitolo difficile da digerire nella storia recente del club.

Nel frattempo, la scarcerazione di Giovanni Brusca giunge come l’ennesima mazzata alle famiglie delle vittime di mafia. Torniamo però, col nostro racconto, a quei giorni del 1992.

Avellino-Palermo con la morte nel cuore

“La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto, bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave; e che si può vincere non pretendendo l’eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni”.

Giovanni Falcone

Il 23 maggio 1992, il Palermo di Gianni Di Marzio è in viaggio in bus alla volta della Campania. Era un sabato. La domenica si sarebbe giocata Avellino-Palermo, quart’ultima del girone di ritorno, valevole per il campionato di serie B 1991-92.

L’Avellino di Ciccio Graziani è ultimo in classifica, virtualmente retrocesso. I Rosanero sono alla disperata ricerca di punti. In casa sono pressoché imbattibili, mentre in trasferta vanno psicologicamente in difficoltà e raccolgono poco o nulla. Quella domenica, le cose non sarebbero andate diversamente.

Il Palermo è ancora in viaggio quando, alle 17:57, una tonnellata di tritolo sull’autostrada, a Capaci, pone per sempre fine alla vita del magistrato Giovanni Falcone.

Con lui, la moglie Francesca Morvillo (magistrato) e tre agenti della scorta: Antonio Montinari, Rocco di Cillo e Vito Schisano. Quest’ultimo aveva solo 27 anni, a casa un bimbo di quattro mesi e la moglie Rosalia, 24 anni, non lo avrebbero più rivisto.

Lo staff medico viene a conoscenza della notizia, che rivela alla squadra solo una volta giunti in albergo.

Il Palermo perde 2-1. Ancora una volta, il portiere Pino Taglialatela, si troverà a raccogliere dalla propria porta dei palloni che sanno di sconfitta in trasferta. Ma quel giorno l’atmosfera è completamente diversa, funesta. Il calcio non ha importanza, per nulla. Anche se quella sconfitta sarà purtroppo decisiva.

1992: l’annus horribilis di Palermo

L’Avellino retrocede, nonostante quell’ultima vittoria, senza più colpo ferire, perdendo le ultime tre gare. Una serie di risultati avversi, e controversi, mette invece il Palermo nelle condizioni di non dipendere più dal proprio destino. I Rosanero battono la Reggiana alla terz’ultima, ma ancora una volta pagano dazio in trafserta, perdendo 3-0 a Cosenza. L’ultima giornata vede i Rosanero sconfiggere la Lucchese. Tutto inutile. Il Palermo retrocede per la classifica avulsa insieme al Messina, sconfitto a Modena in un altro scontro diretto. Si salva il Venezia, mentre allo spareggio vanno Casertana e Taranto: la spunteranno i pugliesi, 2-1 ai supplementari, sul neutro di Ascoli.

Il Palermo saluta nuovamente la B, ma l’annus horribilis della città non sarebbe finito lì.

Il 19 luglio la mafia colpisce ancora, con la strage di Via d’Amelio. Di domenica.

Perdono la vita Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta, tra cui una donna. Emanuela Loi, la prima a far parte di una scorta, la prima a cadere in servizio. Gli altri quattro agenti sono Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina e Walter Eddie Cosina.

Con Falcone e Borsellino muore anche lo Stato. Ma non vince la mafia.

Dopo le stragi degli anni Ottanta, se ne vanno gli uomini che avevano deciso di combattere il terribile male della criminalità organizzata con tutta la forza delle istituzioni, almeno quelle non deviate. Probabilmente, i due magistrati pagarono lo scotto di una politica troppo a lungo connivente, quando non in ostaggio del potere mafioso. I cittadini italiani cominciarono però a prendere finalmente coscienza del destino a cui il Paese, in piena Tangentopoli e disperatamente in lotta contro le mafie, stava andando incontro.

Una coscienza che a distanza di quasi trent’anni non si è ancora tradotta in una vera riscossa dello Stato. Le conseguenze della pandemia hanno inoltre regalato campo libero alle mafie, che hanno approfittato delle tante piccole e medie imprese in situazioni critiche.

Nel frattempo, l’uomo che quel 23 maggio 1992 ha azionato il radiocomando che fece saltare in aria Falcone, la moglie e gli agenti della scorta. L’uomo che ha ucciso con le sue mani e sciolto nell’acido un bambino, Giuseppe Di Matteo, figlio di un pentito di mafia. Quel Giovanni Brusca, da latitante a pentito, oggi è libero, dopo 25 anni. Collaboratore di giustizia, che lo Stato ha saputo proteggere, a differenza del piccolo Giuseppe.

Un uomo con all’attivo più di cento omicidi. Imperdonabile, per chiunque, ma prezioso, a quanto pare, per le dinamiche delle indagini anti-mafia. Anche se il segreto della trattativa Stato-Mafia sembra essersene andato con Totò Riina e Bernardo Provenzano. Una trattativa sulla quale Brusca, non sa o non ha voluto fornire elementi probatori significativi.

Per quanto faccia male, faccia rabbrividire, Brusca ha “beneficiato” di una strategia d’indagine portata avanti con forza proprio da Falcone e Borsellino. Ed è per questo che noi, oggi, dobbiamo rispettare il corso della giustizia.

Nella memoria di Giovanni, Paolo e di tutti gli altri e tutte le altre.

 

Immagine di copertina: siciliablog.it