La pornografia del dolore mediatizzata e l’etica perduta

La pornografia del dolore mediatizzata e l’etica perduta

Giugno 13, 2021 0 Di Luca Sisto

La giornata di ieri e tutto ciò che è successo intorno a Danimarca-Finlandia e al malore di Christian Eriksen, ha scosso tutti. Ma dobbiamo, come esseri umani, imparare a discernere ciò che è eticamente corretto da ciò che invece non lo è. Il fascino morboso della tragedia e la pornografia del dolore, posta in essere dai media e dai social a tutti i livelli, salvando la pace di pochi, lascia non pochi, inquietanti interrogativi.

Per questo, sono incazzato. Incazzato e sollevato allo stesso tempo. E vi spiego perché.

Impariamo a separare ciò che è eticamente corretto…

Sollevato perché dopo un biennio terribile per il mondo, di cui lo sport è metafora perfetta da secoli, ieri poteva andare tutto storto. E invece, grazie al cielo, Christian Eriksen è ancora fra noi. Può rispondere all’affetto dei suoi cari e dei suoi amici. E lo spettacolo, quel tragicomico circo che unisce la vita e la morte, più di quanto non crediamo, può andare avanti. La stessa Danimarca-Finlandia, dopo un’ovvia sospensione temporanea, è ripresa con il consenso di entrambe le squadre.

L’allenatore danese Hujlmand ha ammesso che, dovendo comunque giocare la partita e proseguire la competizione, una volta accertato lo stato di salute di Eriksen, l’unica cosa da fare sarebbe stata quella di giocarla in serata. I suoi calciatori, in ogni caso, non avrebbero preso sonno aggiungendo ulteriore stress a una giornata già terribile. Lo stesso centrocampista dell’Inter, dall’ospedale, è stato messo in contatto con i suoi compagni, invitandoli a continuare la gara. La Finlandia, alla sua prima partita in una fase finale degli Europei, ha vinto 1-0. Gol di Pohjanpalo. In pochi però ricorderanno il suo colpo di testa. Quell’esultanza abbozzata e poi frenata.

Sono sollevato, perché ho visto gente come Simon Kjaer e Kasper Schmeichel operare per il bene comune e per quello del loro compagno. Il difensore del Milan ha dimostrato di essere un capitano, un leader, di altissimo livello, pur non essendo certo un calciatore tecnicamente fenomenale, per usare un eufemismo. Tre gesti di eccezionale crisis management, hanno fatto sì che le cose andassero per il meglio.

Ha subito compreso la gravità della situazione, fornendo una prima assistenza a Eriksen e sollecitando i soccorsi. Insieme al figlio del grande Peter, ha raccolto i compagni in cerchio, attorno al luogo in cui stavano operando i sanitari. Ha preservato la privacy del compagno, evitando gli scatti morbosi dei fotografi e proteggendo la sensibilità dello stesso pubblico, a casa e allo stadio. Ha confortato la moglie di Eriksen, che si stava lanciando sul terreno di gioco in preda ad una comprensibile disperazione, a mala pena trattenuta dagli ufficiali di campo.

L’intervento tempestivo dei sanitari ha fatto sì che Eriksen superasse la crisi cardiaca. Ed è questa l’unica notizia da riportare, degna di nota ai posteri.

…Da ciò che non dovrebbe esserlo

Guardando le immagini di casa, il coinvolgimento non può che essere forte. Il calcio non è uno spettacolo nuovo alla drammaticità di qiesto tipo di eventi. Un atleta professionista, del resto, è più soggetto nel corso della vita a sollecitazioni pericolose per le funzionalità cardiache. Si calcola che ogni 100.000 atleti ci siano 2 casi di sudden death (fonte RAI).

In generale, lo sport tende a spettacolarizzare quel circo già di per sé tragicomico di cui parlavamo prima. Non solo gli sport di squadra, a proposito dei quali i danesi e il pubblico sugli spalti, hanno dato a tutti una lezione di vita e di etica. Ma anche e soprattutto quelli individuali, da contatto o da corsa, non sono privi di eventi drammatici. Quel dolore, per quanto mediaticamente partecipato, è stato molto personale, è un qualcosa che appartiene a loro e alla famiglia della persona che era a terra, su quel manto erboso.

Prevedibilmente, nell’era dei clic, della cronaca spicciola, social e giornali online si sono scatenati, toccando il fondo senza possibilità di risalire. Nel nome del clic, assecondando quella pornografia del dolore che non è esclusiva del mondo social. Ma che ha radici nella realtà. Aggiornamenti live sensazionalistici, clickbaiting insulsi come “chi è la moglie di Christian Eriksen” (corriere.it). Nessuno ha atteso, nessuno si è limitato a un doveroso e rispettoso silenzio. Come al solito, ci si è venduti la dignità per speculare sulla tragedia del prossimo. Una tragedia che, a differenza di tante altre volte, non si è per fortuna consumata fino in fondo.

Come quando il traffico rallenta perché tutti vogliono fermarsi ad osservare le conseguenze di un incidente, la tragica, anti-etica pornografia del dolore ha ancora una volta asservito il sollazzo dei più. Ci si ricorderà di Christian Eriksen, un grandissimo calciatore fresco scudettato con l’Inter, come di Lionello Manfredonia, come di Grassadonia. Un altro calciatore che stava rischiando di andarsene tragicamente, davanti a tutti. Uno che per poco non è finito nella stessa frase con Marc-Vivien Foé, Antonio Puerta, Miklos Feher, Renato Curi, Morosini e tanti altri giovani ragazzi che in campo, o a ridosso di esso, hanno lasciato letteralmente il cuore.

Curiosamente, in redazione, ieri sera segnalavo proprio questo. Perché google è ormai uno strumento di analisi molto profondo. E abbiamo ricevuto un flusso anomalo di visite al pezzo sul figlio di Marc-Vivien Foé, Marc-Scott. Un ragazzo che, dalla morte del padre avvenuta in campo esattamente 18 anni fa, ha subito un terrificante processo di spettacolarizzazione del dolore. Ciò ha acuito una sindrome da stress post-traumatico, che sfuggendo al controllo della madre, dei parenti stretti e dello psicologo, l’ha portato a commettere atti molto gravi, finendo in carcere per aggressione e rapina insieme ad un amico.

Quel pezzo è stato scritto per denunciare questo fenomeno di pornografia del dolore. Tanto più che, chi vi scrive, Foé l’ha visto esordire col Camerun, nazionale di cui sono accanito tifoso dai primi anni ’90. E quella maledetta sera la ricordo piuttosto bene.

Il nostro invito è, quindi, alla fine di questo “pippone” scritto di getto e che ci saremmo risparmiati volentieri, quello di segnalare chi marcia su questo tipo di situazioni solo per profitto e insulsa visibilità. Il nostro invito è a prendere atto di ciò che sarebbe lecito e corretto fare in queste circostanze. Perché il rispetto del prossimo, del dolore dell’altro, non resti solo una forma astratta, ma un antidoto alla concezione utilitaristica del dramma.

 

Immagine di copertina: pubblico danese durante la partita, foto Getty Images via SerieAnews.com