La favola della Grecia di Otto Rehhagel Campione d’Europa 2004
Giugno 17, 2021In film come Ritorno al Futuro, viaggiare indietro nel tempo è semplice quanto salire su una DeLorean e impostare il suo timer nel passato. Ma nella realtà le cose sono molto più complicate di così, e spiegano perché ad oggi nessuno sia mai riuscito a tornare indietro nel tempo. Ci proviamo, però, con la mente, a ricondurvi negli anni passati. Riavvolgendo il nastro del tempo trascorso. Fino al giugno del 2004. Tappa in Portogallo. Nella bella e accomodante terra lusitana. Teatro della dodicesima edizione degli Europei di calcio.
Europei 2004: un firmamento di Campioni
Una manifestazione alla quale presero parte sedici nazionali. Tra le favorite della vigilia, la Francia di Zinedine Zidane, la Spagna di Raul e del suo ‘partner in crime’ Morientes, la solida Italia allenata da Giovanni Trapattoni. Oltre ai padroni di casa del Portogallo. Una squadra in forte ascesa, con l’astro nascente Cristiano Ronaldo che affiancò campioni già affermati del calibro di Rui Costa, Deco e Figo. E tante outsider. La Germania, l’Inghilterra. E la Repubblica Ceca di Nedved, Baros e Koller. Insomma, livello alto. Tante stelle. Tanti campioni.
Con poche squadre giunte in Portogallo senza particolari ambizioni. La Lettonia, la Bulgaria, la Svizzera. Tutte in quarta fascia al sorteggio di Nyon. Insieme alla Grecia allenata dal tedesco Otto Rehhagel. Con la selezione ellenica formata da discreti mestieranti. Senza uomini da prime pagine. Da copertina. Rehhagel però riuscì a sovvertire ogni pronostico della vigilia, e fu in grado di scrivere una della pagine di storia più belle del calcio mondiale.
La cavalcata della Grecia di Otto Rehhagel
Grecia squadra materasso del torneo continentale? Nì. Ma sicuramente la meno dotata tra le quattro inserite nel gruppo A. Spagna, Portogallo, Russia, Grecia. Con gli ellenici destinati a ricoprire il ruolo di comparsa, di vittima sacrificale al cospetto, soprattutto, delle due nazionali iberiche. Ma gli eventi non seguirono lo spartito. Sin da subito. Sin dall’esordio terribile. Con la compagine ellenica che ebbe un battesimo di fuoco contro i padroni di casa del Portogallo all’Estadio do Dragao. Sulla carta non ci sarebbe dovuta essere storia. Davide contro Golia. E invece il campo pronunciò una sentenza diversa. Portogallo 1 Grecia 2. Karagounis e Basinas i mattatori. Eroi per una sera. I greci ottennero l’obiettivo dichiarato della vigilia, ovvero vincere una partita, la prima per loro nella storia degli Europei. Fatto. Ma l’inaspettata e magnificente cavalcata della Grecia ad Euro 2004 era appena iniziata.
Rehhagel e i suoi ragazzi continuarono a sorprendere. Col profilo basso. Anche nella seconda e terza partita del girone. Contro la Spagna arrivò un pareggio incredibile, in rimonta, con Charisteas che rispose al vantaggio iniziale di Morientes. Grecia imbattuta dopo 180′. ‘Verginità’ che perse contro la Russia. Ma mai sconfitta fu più dolce, angelica e flautata per gli ellenici. Che registrarono l’insuccesso, ma grazie al gol di Vryzas dell’1-2 riuscirono ad ottenere il lasciapassare per i quarti di finale come seconda, grazie ai gol segnati, due in più degli spagnoli. Fu proprio questo il gol della svolta. L’evento che indusse tutti a pensare che qualcosa di magico e paranormale stesse spingendo il gruppo greco verso alte vette. Mai esplorate.
Il sogno continua
La Grecia è tra le migliori otto d’Europa. Nessuno avrebbe puntato una singola dracma sul risultato ottenuto a sorpresa dalla selezione guidata dal tenace manager teutonico, che ai quarti si trovò di fronte una montagna dalla cremagliera ripidissima. Quasi impossibile da scalare. La Francia campione in carica. Eppure, i greci non caddero. Si batterono da eroi. E furono in grado di compiere un autentico capolavoro, annullando tutte le fonti di gioco avversarie. Per novanta e più minuti. Colpendo in contropiede, mortalmente, ancora con l’uomo della Provvidenza, Angelos Charisteas. Con un colpo di testa, che in un flash divenne opera d’arte: 1-0, semifinale.
“Qui gioca solo chi merita. Non siamo un partito politico e non c’è nessuna corrente di pensiero. Chi fa poco si siede in panca, e lascia spazio agli altri”, parlò così Otto Rehhagel alla viglia della semifinale, che la sua Grecia disputò contro la Repubblica Ceca.
Una partita dura. Maschia. Ruvida. Quella contro i cechi. Per uomini veri. Fu la partita più tirata e combattuta dell’intera competizione. Tanto agonismo. Tanti calci. Colpi duri a ripetizione. A tratti sembrò una disputa di calcio medievale. Tra giovani fiorentini. Pochi sussulti. Fino al 105′ quando l’alfiere Dellas nel cuore dei supplementari svettò di testa, sgretolò l’equilibrio e condusse i suoi alle porte del Paradiso. Segnò il ‘silver gol’ che valse l’accesso alla finale. In extremis. Senza dover passare dalle ‘forche caudine’ del secondo overtime.
L’ultimo atto
La finale. Il torneo continentale fece un giro immenso. Per poi ‘ritornare’ alle origini. Con il Portogallo Paese ospitante e la sorprendente Grecia a giocarsi il titolo. Partita inaugurale, ed atto finale. Tutto come un flashback cinematografico. Con due filosofie a confronto. Il calcio ‘caprichoso’ dei lusitani, da una parte. E dall’altra quello sporco, ruvido, pragmatico degli ellenici. Ma comunque due squadre decise ad aggredire con ferocia ed aggressività il titolo.
Ne uscì fuori una partita spigolosa. Rugosa, scabra, con la Grecia che ancora una volta riuscì a colmare il gap tecnico con gli avversari mettendo sul piatto del match tanta aggressività, voglia di combattere, per mutare definitivamente a proprio favore la narrativa del torneo. La gara non visse disorientamenti ed instabilità. Palla ai portoghesi. Per 56′. Poi la Grecia decise di scoccare l’ultima freccia dal proprio arco. Quella col veleno debilitante. L’arciere fu ancora Charisteas. L’autore del gol che mandò in estasi un popolo intero. Perché il Portogallo, fiacco e logoro, fu incapace di replicare. E la squadra di Rehhagel, spinta da poteri magici, creò un’opera credibile senza incoerenze e inutili ricami.
Gli eroi della Grecia di Otto Rehhagel
Una squadra di trincea, è stata più volte ribattezzata. Con un’ossatura ben definita. L’esperto Nikopolidis. Uno dei leader di quella spedizione. Il portiere dalla curiosa chioma bianca. Dellas, Seitaridis e Fyssas i punti forti di una difesa che sistemò il silenziatore ai migliori attacchi d’Europa. I primi due finirono addirittura nella formazione ideale di quel torneo continentale. Mentre a centrocampo i riferimenti furono Karagounis, Katsouranis e Zagorakis. Uomini d’esperienza. E di battaglia. Infine, al centro dell’attacco, con Vryzas – un passato da attaccante con Perugia, Fiorentina e Torino – governò Charisteas. Con i suoi gol. Tutti dal peso specifico mastodontico. E i suoi movimenti. I suoi tagli. Di sicuro in campo fu uno dei più motivati, poiché spinto da grossa voglia di rivalsa, per aver perso il titolo di campione di Germania col Werder Brema. Perché ceduto pochi mesi prima all’Ajax.
Una squadra fatta su misura per l’allenatore Rehhagel, che da vecchio volpone della panchina, si trasformò in mago, professando l’arte della magia nella terra dei maghi del pallone. La Grecia di Otto Rehhagel campione d’Europa. Un fenomeno raro. Come le nuvole di madreperla. Gli alberi colorati. O le pietre mobili nella Racetrack Playa. Fenomeni che prendono vita sul nostro Pianeta e ci lasciano senza parole. Proprio come l’operato di ‘Re Otto’ e i suoi terribili ragazzi, un paio di decine di anni or sono, agli Europei del 2004.
Immagine di copertina tratta da Scorum.