Italia-Austria: le origini di una rivalità che trascende il calcio

Italia-Austria: le origini di una rivalità che trascende il calcio

Giugno 26, 2021 0 Di Luca Sisto

Sarà Italia-Austria la prossima partita degli azzurri agli Europei, valida per gli ottavi di finale. Una sfida fra due Paesi che non si sono mai amati, pur compenetrandosi per innovazione culturale e confini.

Anche se il momento calcistico delle due nazionali è completamente diverso, sottovalutare gli uomini allenati dal tedesco Franco Foda non è una buona idea.

David Alaba, fresco di contratto firmato col Real Madrid, dove prenderà il posto di Sergio Ramos, è l’uomo simbolo degli austriaci. Nonostante l’ex bavarese, sono poche le note liete per una squadra che, un po’ a sorpresa, ha superato l’Ucraina del CT Shevchenko. A fare la differenza è il collettivo.

Italia-Austria nella storia

La concezione westfaliana degli Stati Nazione, non è mai andata troppo giù agli austriaci, quando si tratta dei confini con l’Italia. Quando il nostro Paese non era unito, il Lombardo-Veneto è stato per centinaia di anni sotto il dominio delle superpotenze imperiali e monarchiche europee. Dopo gli spagnoli, vennero appunto gli austriaci, e ne ‘I Promessi Sposi’ il riferimento al desiderio di liberarsi dal giogo straniero è piuttosto chiaro, nella prosa di Alessandro Manzoni.

Successivamente, l’ingresso nella Grande Guerra all’interno di schieramenti contrapposti, avrebbe lasciato sul campo centinaia di migliaia di morti e un senso di rivalsa tragico. Sia dal lato degli sconfitti che da quello, soprattutto, dei vincitori. O presunti tali. Ovvero, fra questi anche gli italiani. Con la retorica della “vittoria mutilata”, la politica troverà terreno fertile per dare il via ad una nuova, fortissima, impronta nazionalista, che attraverso il fascismo avrebbe condotto l’Italia fin dentro il secondo conflitto mondiale. In quel tempo, del vecchio impero asburgico non era rimasta che cenere. L’Anschluss aveva consumato ciò che restava dell’Austria. Ma la memoria del Wunderteam e delle sfide all’Italia era ancora fresca.

Italia-Austria: la semifinale del 1934

Mussolini, come tutti i grandi populisti, si era reso conto dell’importanza dello sport come viatico di coesione sociale e di simbolo della grandezza dello Stato fascista.

Così, con l’organizzazione dei Mondiali del 1934, l’Italia si apprestava a mostrare all’Europa Continentale (in assenza delle grandi del fútbol sudamericano come Uruguay e Argentina, mentre il Brasile si presentò con una selezione fortemente rimaneggiata per il solito scontro fra federazione Paulista e Carioca), attraverso il calcio, il suo rinnovato status di Grande Potenza.

L’Austria era al gran completo, in piena forma Wunderteam. La massima espressione del calcio danubiano del tempo. C’erano Josef Bican e “Cartavelina” Sindelar a dettare legge in avanti. Ma la squadra allenata da Hugo Meisl faceva letteralmente paura a tutti. Tranne che all’Italia di Pozzo. Le due squadre, probabilmente le migliori del torneo, si affrontarono in semifinale. Una vera e propria resa dei conti, visto che la sfida si era più volte riproposta negli anni attraverso test match amichevoli e in Coppa Internazionale. Una sorta di torneo itinerante per nazionali dell’Europa centrale, antesignano degli Europei di calcio.

A spezzare l’equilibrio, il contestato gol dell’azzurro, oriundo argentino, Enrique Guaita. L’attaccante esterno giallorosso si gettò su un pallone non trattenuto da Platzer, dopo un contrasto con Meazza, spedendo la palla in rete. In fondo al sacco finirono, oltre alla palla, lo stesso Guaita, Meazza, Angelo Schiavio che recuperò la sfera, e il portiere austriaco. L’arbitro svedese Eklind indicò il centrocampo. Gol valido.

L’Italia avrebbe poi vinto la finalissima contro la Cecoslovacchia, altra grande Mitteleuropea, grazie ad una rete decisiva di Schiavio ai supplementari, proprio su assist di Guaita. Il buon Enrique, poco tempo dopo, fuggì da Roma insieme ai compagni Stagnaro e Scopelli, fiutando venti di guerra. E nel 1937 si prese il Sudamericano con l’Argentina.

L’Austria venne annessa alla Germania nazista nel 1938, ma in molti, fra cui “Cartavelina” Sindelar, rifiutarono la convocazione per i Mondiali francesi, che videro la riconferma degli uomini di Pozzo. Sindelar, morì di lì a poco, insieme alla compagna, in circostanze mai del tutto chiarite. Sebbene la ricerca storica propenda per un tragico accidente.

Annibale Frossi e l’Olimpica di Berlino 1936

Vittorio Pozzo ebbe il suo bel daffare per mettere su la nazionale olimpica. Eppure, sarebbe riuscito nell’intento di premiare, con la prima presenza in azzurro, due calciatori della Juventus che sarebbero tornati parecchio utili in futuro. All’esordio contro gli Stati Uniti, lunedì 3 agosto 1936, al Post-Stadion di Berlino, gli italiani erano tutti al battesimo tricolore. Fra loro appunto, nella retroguardia, Foni e Rava. In avanti, ad arare il campo sull’out destro, Annibale Frossi dell’Ambrosiana. Se Rava rimediò l’espulsione al minuto 53, fu proprio l’occhialuto studente originario di Flambro, cinque minuti più tardi, a realizzare il gol partita.

Non una bell’Italia, eppure quella vittoria diede morale ad un gruppo che, nel villaggio olimpico, faceva la conoscenza di un signore un po’ annoiato, che a Berlino sentiva gli occhi puntati addosso: Mr. Jesse Owens. L’americano osservava con interesse gli allenamenti degli azzurri. Annibale era capace di correre i 100 metri in 11 secondi e rotti, un talento. Occhiali appariscenti su un volto scavato, chioma spoglia con pochi capelli ramati, Frossi aveva scoperto il calcio a Udine, dove si era recato come studente lasciando la sua Flambro.

Nato nel 1911, quando quella porzione di Friuli batteva bandiera austro-ungarica, Annibale aveva fatto presto i conti con le storture della vita. Il padre Giuseppe, appassionato di storia, da qui il nome Annibale, era un medico molto conosciuto in zona. Stringe il cuore a parlarne oggi, ma il Dottor Frossi, nel 1918, si era gettato a capofitto, in aiuto della cittadinanza, per contenere l’emergenza pandemica dell’influenza spagnola. A costo della vita.

La madre Rosina Concina si ritrovò così a crescere i figli senza Giuseppe, ma di certo rispettandone tutti i dettami, fra cui una rigorosa educazione cattolica e l’idea che Annibale dovesse ricevere un’istruzione di livello universitario. A Udine Frossi scoprì un mondo che non avrebbe dovuto pertenergli: il football. Ad accorgersi di lui, il Padova, quando la maggiore età era ancora lontana. Ad opporsi, facendolo riportare indietro addirittura dai carabinieri, la signora Rosina. L’ingresso nel calcio che conta era solo rimandato: Frossi strappò la promessa di poter continuare a giocare a calcio, in cambio dell’impegno a conseguire il diploma prima, e la laurea poi, traguardo che avrebbe raggiunto in età matura.

A Berlino, le prime Olimpiadi dell’era moderna, perfettamente documentate per il piacere degli occhi e della propaganda nazista da Leni Riefenstahl, sul versante calcistico il regolamento non permetteva l’utilizzo di atleti professionisti. Lo studente modello Frossi, subito punto fermo della selezione di Pozzo, segnò altre tre reti contro i futuri “soci” di guerra italiani del Giappone, in un 8-0 impietoso per la nazionale del Sol Levante.

Nel turno successivo, attendeva la sorprendente Norvegia, che aveva eliminato i padroni di casa della Germania. Finì ai supplementari, 2-1 per l’Italia. Il gol decisivo? Di Frossi, ovviamente, al 96′.

Il sabato di Ferragosto, all’Olympia Stadion di Berlino, la finalissima Italia-Austria.

Frossi a segno contro l’Austria nella finale per l’oro (foto tratta da Udinese.it)

Ancora una volta, come due anni prima ai Mondiali, il Commissario Unico Vittorio Pozzo contro il CT Hugo Meisl. Score diverso, ma stesso risultato. Frossi la decise di nuovo ai supplementari, realizzando dopo soli due minuti di extra-time il gol che avrebbe deciso la contesa per l’oro. Per non farsi mancare nulla, con un vistoso panno di cotone sul capo, aveva anche portato in vantaggio i suoi, prima che Karl Kainberger (fratello di Eduard, che giocava in porta, e che nella foto più su osserva disperato la ribattuta di Frossi) pareggiasse a dieci dalla fine dei tempi regolamentari.

Agli austriaci non deve essere piaciuta troppo questa seconda sconfitta contro gli azzurri. Al Prater di Vienna, domenica 21 marzo 1937, in Coppa Internazionale, la partita fra Austria e Italia non trovò neppure degna conclusione. Fra i reduci dell’Olimpica c’era Rava per l’Italia, mentre Frossi, dopo i 7 gol in 4 partite alle Olimpiadi, sarebbe riuscito a collezionare una sola altra presenza, ovviamente condita da marcatura, un mese più tardi contro l’Ungheria.

La partita del Prater fu sospesa al 29′ del secondo tempo, sul punteggio di 2-0 per l’Austria, per eccesso di violenza fra le due compagini. Camillo Jerusalem, che aveva realizzato il gol del vantaggio, fu poi espulso prima del definitivo 2-0 di Stroh su rigore. Gli austriaci, prossimi all’Anschluss, e quindi paradossalmente al diventare alleati di guerra dell’Italia, si ritirarono dalla competizione. Jerusalem, il cui cognome tradiva origini poco gradite al nuovo regime, lasciò l’Austria Vienna per la Francia, sponda Sochaux. Ivi riuscì a scampare alla morte durante il conflitto bellico, nonostante la detenzione nei campi di prigionia. Tornò nel dopoguerra per una breve parentesi all’Austria Vienna, club col quale aveva conquistato la Mitropa Cup nel 1936, prima di concludere la carriera tra Francia e Svizzera.

Frossi vinse due Scudetti con l’Ambrosiana, prima di diventare allenatore, seppur senza troppo successo. Si racconta che, a Napoli, il suo interregno in panca durò solo quattro partite per uno screzio con il Comandante Achille Lauro. Dopo una sconfitta, al telefono, il potente Lauro fece risuonare tutta la sua collera, ma Frossi non la prese bene, ribattendo “Mi scusi, lei fa l’armatore o l’allenatore?”. Di tutta risposta, il Comandante:“Da oggi lei non fa più neppure l’allenatore”. ‘Retrocesso” ad osservatore per far posto alla vecchia gloria Amedeo Amadei, Frossi consigliò al presidente due giovani talenti: Rivera e Armando Picchi. Troppo tardi, Achille Lauro non si fidava più di lui e fece orecchie da mercante. Peccato, Annibale ci aveva visto lungo, coi suoi occhiali. Gli stessi che, in campo, spesso i suoi avversari gli facevano volare via, per poi calpestarli, sfruttando qualche attimo di miopia.

Dalle Notti Magiche a Italia-Austria di France ’98

Facciamo un “piccolo” balzo in avanti. Il Pablito mundial era già piuttosto caldo sotto il sole d’Argentina, e fra le sue vittime, nel 1978, ci fu proprio l’Austria. Era quest’ultima la nazionale di Pezzey (compianto difensore fra i top in Europa), Prohaska, Krankl e Schachner, che l’Italia batté nel gruppo A del girone semifinale, prima di soccombere sotto le saettate olandesi di Brandts e Haan.

Gli austriaci li ritroviamo all’Olimpico di Roma, un sabato, 9 giugno. Mentre sugli spalti i tifosi avevano già imparato a memoria “Un’estate italiana”, versione tricolore, cantata da Edoardo Bennato e Gianna Nannini della soundtrack ufficiale dei Mondiali, scritta da Tom Whitlock e prodotta da Giorgio Moroder col titolo originale “To be number one”.

L’esultanza con gli occhi spiritati di Totò Schillaci (foto rieditata tratta da fanpage.it)

Fu l’esordio nella rassegna iridata casalinga per gli azzurri e la formazione, nella testa e nella distinta del CT Vicini, era molto diversa da quella che avrebbe concluso, non senza una vena malinconica, al terzo posto. In attacco partivano negli undici Andrea Carnevale, fresco di Scudetto col Napoli, e il doriano Gianluca Vialli. Al minuto 75 Vicini mandò in campo Totò Schillaci per un deludente Carnevale. Non trascorse neppure un minuto, che di testa Totò spezzava le note di valzer austriache con un colpo di testa, superando l’estremo difensore Lindenberger per il gol che regalava i due punti all’Italia. Iniziavano così, per caso o per destino, le Notti Magiche azzurre, che videro protagonisti Totò e Roby Baggio, mentre l’attuale CT Mancini non trovò mai spazio neppure in panchina.

L’ultimo Italia-Austria nelle manifestazioni che contano, segnò per l’ennesima volta una vittoria degli Azzurri. Erano i Mondiali del 1998. Nel giorno del grave infortunio occorso ad Alessandro Nesta, l’Italia superò gli austriaci di Herzog e Polster (già presenti in quel precedente di Italia ’90) per 2-1. Reti di Vieri e Baggio, prima che lo stesso Herzog accorciasse il risultato dal dischetto.

L’ultima sfida, un pareggio per 2-2 in amichevole nel 2008. Questa sera, però, ritorna una gara da dentro o fuori. Riusciranno gli azzurri a rispettare pronostico e storia e a raggiungere i quarti di finale? Lo scopriremo solo tifando.

 

Immagine di copertina: originale di getty images, via wikipedia, foto di pubblico dominio.