
Maradona a Mosca: la notte dell’ultimo ballo in Piazza Rossa
Dicembre 1, 2021Il 7 novembre 1990, il Napoli esce di scena, sconfitto ai rigori negli ottavi di finale della Coppa Campioni contro lo Spartak, fra le polemiche per la presenza di Maradona a Mosca, in forse fino all’ultimo minuto. Questa è la storia di quei giorni di “drama” e di quella serata fra un ballo in Piazza Rossa e un altro, più triste, al Luzhniki.
Prologo: “Maradona a Mosca non verrà”
Il 5 novembre 1990, la strada che porta verso via Scipione Capece 12, zona Posillipo, è un continuo via vai sin dal mattino. Dalla pausa di metà ottobre, Maradona ha cominciato un lungo tira e molla con la società, prendendosi qualche giorno in più per restare in Argentina con la famiglia. I problemi alla schiena, con la lombalgia che ne inficia il rendimento, sono cronici. La caviglia gonfia dei Mondiali di Italia ’90, ha lasciato il posto ad infiammazioni muscolari e articolari dovute alla particolare postura adottata dal Diez per reggere i ritmi di gioco e non distruggere definitivamente le giunture.
Si vocifera, inoltre, con la stampa sempre più accanita nella campagna d’odio post-semifinale del San Paolo, che Maradona sia in combutta con la Camorra. Quest’ultima, in cambio di protezione e droga, si sostituisce alla Società per ogni genere di benefit. La foto con i rampolli del clan Giuliano in quel di Forcella fa “bella” mostra di sé sui giornali.
Luciano Moggi prima, Ciro Ferrara, Rambo De Napoli e Massimo Crippa poi, hanno raggiunto casa di Maradona a Posillipo per convincerlo a partire per Mosca con la squadra, per il ritorno di Coppa Campioni contro lo Spartak.
“Maradona non verrà”, è stato il commento del nuovo manager Franchi – l’ex dirigente del Boca che ha preso il posto di Guillote Coppola – e del fidato preparatore Signorini. Quest’ultimo fa eco: “ha un problema all’adduttore, non partirà per Mosca”.
Con la partita in programma il 7 novembre nel gelo di Mosca, il Napoli parte per il pomeriggio del 5 da Capodichino. Orario d’atterraggio previsto, le 22.00 ora sovietica. Ferlaino e Moggi stavolta sono d’accordo: la deadline per Diego è quella delle 17:00.
Nulla da fare, Maradona non si muove da casa. Eppure l’idea era quella di festeggiare il primo anniversario di nozze con Claudia, proprio il 7 novembre, in Piazza Rossa. A Mosca sono giorni frenetici. Il Muro di Berlino è caduto da un anno ormai, c’è aria di smobilitazione oltre la cortina. La stessa sede della gara, paventavano i giornali in ottobre, era a rischio. Si era parlato di Brema, campo neutro, che al Napoli non ricordava buone sensazioni dopo l’1-5 in Coppa Uefa della stagione precedente. Lo stesso Diego dall’Argentina aveva fatto sapere, illo tempore, che ci teneva a giocare a Mosca e a festeggiare in città con la moglie.
Cosa lo frenava pertanto? Davvero era a causa di un infortunio? O forse si trattava di ridiscutere il contratto, valido per altri 30 mesi, considerato dal Pibe troppo lungo ormai per essere onorato?
Il Napoli spento del dopo Italia ’90
Ventinove aprile 1990. Negli spogliatoi del San Paolo, dopo Napoli-Lazio è cominciata la festa. Il gol di Baroni, di testa al 7′, aveva messo definitivamente in discesa la strada verso il secondo Scudetto. Nell’ebbrezza del titolo, sofferto, nel rush finale contro il Milan, Maradona sembra ricucire lo strappo con Ferlaino: “adesso voglio la Coppa Campioni, Presidente”. “E allora dobbiamo fare un Napoli ancora più forte”, risponde l’Ingegnere.
Sotto il cielo dell’estate italiana più famosa della storia recente dei Mondiali, però, qualcosa non va secondo i piani. L’Italia e gli italiani si legano al dito la semifinale di Fuorigrotta, persa dagli Azzurri ai rigori contro la Selección di Diego. Dal momento in cui Maradona chiama a raccolta il “suo” pubblico, nonostante il revisionismo anti-storico e anti-napoletano di alcuni protagonisti di quella serata, il calcio tricolore si stancherà di lui, individuandolo come il nemico giurato. L’immunità di cui godeva Maradona fuori dal campo viene meno. All’interno del rettangolo verde era d’altronde sempre stato picchiato, ma con rispetto e riverenza, non come accadeva a Barcellona dove gli avversari si trasformavano in macellai davanti ad uno stinco di maiale.
Maradona aveva fatto ancor più grande una Serie A che era già a tutti gli effetti in uno dei periodi di massimo splendore, quello successivo a Spagna ’82. Se la nazionale non aveva dato immediato seguito a quella vittoria, il massimo campionato raccoglieva i migliori calciatori stranieri. Italia ’90 era però l’occasione per il riscatto Azzurro a otto anni dal terzo titolo iridato, e Maradona aveva rovinato quella magia, scippando la finale proprio nel suo tempio.
Dopo l’esilio brasiliano dell’estate 1989, col ritorno a campionato in corso, in occasione del pirotecnico Napoli-Fiorentina 3-2 (quello della clamorosa doppietta di Baggio), Maradona aveva deciso di non ascoltare più le sirene estere (marsigliesi in quel caso), onorando il contratto e tentando, quindi, dopo lo Scudetto del ’90, la scalata alla Coppa Campioni della stagione successiva. Il sogno finale sembrava allettante: un Napoli che suggella il suo ciclo vincente nella notte del San Nicola, con Maradona che alza al cielo la Coppa dalle Grandi Orecchie. Era questo il piano. Del resto, gli Azzurri nell’89 avevano vinto un’edizione della Coppa Uefa che aveva tutte le sembianze di una moderna Champions League. Erano pronti per tentare qualcosa che fino a pochi anni prima sembrava inavvicinabile. Erano maturi, forse fin troppo. Tanto da non accorgersi di essere in realtà logori.
La stagione si apre con una roboante vittoria, 5-1 in Supercoppa Italiana contro la Juve di Gigi Maifredi. Una gara in cui si mette in luce Andrea Silenzi, erede designato di Andrea Carnevale come pivote offensivo, ma che poca fortuna avrà in maglia azzurra. Nel marcato estivo Venturin, metronomo del Toro fresco di promozione in A, aveva sostituito Luca Fusi, offerto proprio ai Granata, nel centrocampo azzurro. Albertino Bigon prevede un ruolo maggiore per Zola, impostando il Napoli con l’idea del doppio trequartista alle spalle di Careca nell’11 base. Incocciati è l’altro rincalzo acquistato in attacco, complice una stagione che, sulla carta, si preannuncia lunga e snervante, specie per i reduci del Mondiale. In porta Giovanni Galli dal Milan è passato alla corte di Diego, sostituendo il partente Giuliano Giuliani.
L’inizio di campionato, da calendario, sembra piuttosto agevole. La prima è al Via del Mare di Lecce. Uno scialbo 0-0. Di seguito, due neopromosse: Cagliari in casa e Parma al Tardini. Il Napoli, che aveva costruito il secondo Scudetto in casa con 16 vittorie e un pareggio in 17 gare (unica squadra ad uscire imbattuta dal San Paolo, la Sampdoria di Vialli e Mancini, timido ma riconoscibile segnale di un prossimo passaggio di consegne), perde contro il Cagliari 1-2. Successivamente, il “Sindaco” Osio gela gli azzurri regalando i due punti al Parma.
Un punto in tre gare, sulla carta non proibitive, e le sirene che cominciano a suonare. Il Napoli è con la testa alla Coppa, si dirà. Maradona, nel frattempo, realizza contro gli ungheresi dell’Ujpest una doppietta che ipoteca un comodo passaggio del turno. Saranno gli unici gol della sua carriera in Coppa Campioni. Il primo, meraviglioso, con stop di petto e semirovesciata sul palo più lontano. Il secondo, approfittando da rapace di un errato controllo del portiere, a cui sfugge la palla dalle mani.
A metà ottobre la sosta è motivo per Diego per restare qualche giorno in più a Buenos Aires. Il problema, come detto qualche rigo prima, non è solo di natura fisica, ma anche contrattuale. Maradona però vuole esserci per le due partitissime contro Milan e Spartak nello stadio a cui, post mortem, 30 anni dopo avrebbe dato il nome.
Con i rossoneri arriva l’ennesimo pareggio, 1-1. Segna proprio El Diez dal dischetto a otto dalla fine. Pareggia Gullit di testa su sponda di van Basten in azione da corner. Maradona appare appesantito ma motivato a caricarsi ancora una volta la squadra sulle spalle, tanto più che al 28′ Careca è uscito e il verdetto medico lo avrebbe tenuto lontano dai campi per la doppia sfida di Coppa Campioni con i sovietici.
La gara d’andata si gioca in uno stadio gremito come da grandi occasioni. Maradona, per usare un termine moderno, crea 3 big chances con i suoi passaggi smarcanti e il Napoli coglie altrettanti legni (di Francini, Baroni e Incocciati). Lo Spartak del portiere Cherchesov, di Karpin, Shalimov (l’avremmo visto per diverso tempo in Italia, Napoli compresa) e Mostovoj a centrocampo, viene fuori alla distanza e, da par suo, accorcia nella classifica “pali” beccandone due (con Mostovj e Perepadenko), prima del triplice fischio. Pareggio ad occhiali per un Napoli che, Juve in Supercoppa, Pisa in A e Ujpest a parte, ha generato pochi sorrisi.
La sorpresa: Maradona a Mosca col jet privato
Il Napoli atterra a Mosca nella tarda serata del 5 di novembre. Sono passate le 22:30 quando alla dogana gli azzurri vengono accolti da un tenente dell’Armata Rossa, Dmitrii. Il militare manda a memoria qualche parola in italiano, con un sorriso beffardo solo abbozzato, che Albertino Bigon non ricambia: “Benvenuti, vinceremo 2-0!”, esclama. Di Diego non vi è traccia. Non ancora almeno. Ai calciatori in via Capece si sono nel frattempo sostituiti i tifosi, assiepati all’esterno della cancellata che dà su casa del Pibe.
‘Maradona a Mosca, ormai è una farsa’, titola La Repubblica nel pezzo di Corrado Sannucci la mattina del 7 novembre. Già, perché Diego alla fine in Russia ci va. Ripercorrendo a ritroso la calda, solo emotivamente, giornata del 6 novembre, scopriamo che Ferlaino aveva dato appuntamento al Diez, un ultimatum in verità, a Canossa. Diego aveva declinato, non volendo cedere al braccio di ferro con la società, ma continuando a farne una questione personale. Viene contattata l’Avioriprese che si dice disponibile, con termine ultimo le ore 17:00, ad organizzare un jet privato per il Capitano e la sua ciurma di stretti collaboratori, più ovviamente Claudia, desiderosa di festeggiare l’anniversario col marito.
Il figlio di Franco Ambrosio (quest’ultimo industriale del campo alimentare, fondatore di Italgrani e noto come “Il Re del grano”, con all’attivo diverse trattative imprenditoriali insieme all’Ingegner Ferlaino, fra cui quella per la cessione dello stesso club azzurro), si propone per ospitare i Maradona sul suo volo privato, che decolla alle 13:30. Ma Franchi e Signorini rispondono picche, si sono già organizzati per partire alle 17.00. Diego vola in Russia quasi completamente a sue spese, per l’esattezza 18 milioni del vecchio conio.
La telenovela sudamericana raggiunge il quartier generale della delegazione napoletana, all’Hotel Savoy di Mosca. Bigon e Moggi sono concordi nel sostenere che Maradona non avrebbe giocato. A sorpresa, dopo un vertice fiume col patron, acconsentiranno a che si accomodi almeno in panchina. L’ultima parola è proprio di Ferlaino, che non vuole affondare senza tirar giù anche i capricci del suo figlioccio, solo poco tempo prima prediletto.
Quando Maradona giunge in Piazza Rossa, Mosca è blindata. Sono i giorni dell’anniversario della Rivoluzione d’Ottobre secondo il calendario giuliano. La folla, lì per tutt’altro, si accorge che qualcuno di piuttosto famoso chiede il lasciapassare per attraversare la Piazza e godersi il momento. Si tratta di Diego e Claudia. Immancabile la pelliccia, per il Diez. Vezzo d’abbigliamento, suo marchio di fabbrica.
D’altronde era stata una pelliccia il primo vero regalo fatto alla madre, con i primi guadagni all’Argentinos, quando ancora non aveva raggiunto la maggiore età. Perché se l’appartamento per uscire da Villa Fiorito era stato donato dal club, la pelliccia sarebbe divenuta il simbolo del riscatto sociale della sua famiglia. Eppure, al tempo, non era con quell’intento che Diego l’aveva acquistata per la “Tota”. Si ricordava delle fredde notti in quella “capanna” che chiamava casa con i fratelli e le sorelle. Si ricordava che Doña Tota e Don Chitoro si alzavano ogni mattina prima che albeggiasse, incuranti del gelo come del caldo insopportabile. Con quella pelliccia la madre sarebbe stata al caldo, sempre.
E forse, senza l’intercessione di Moggi e Bigon, la pelliccia l’avrebbe mantenuta anche nelle tribune del Luzhniki. Diego, però, andrà in panchina. In Piazza Rossa si consuma l’ultimo ballo di Maradona al gran gala del Napoli versione europea. Tutto quanto verrà dopo sarà un lento e ineluttabile declino psicofisico, fino all’epilogo della squalifica e della fuga da Napoli.
Una sconfitta annunciata nel gelo del Luzhniki
“Tempo da Lupi” esclama Bruno Longhi da studio, in compagnia del Mago Herrera. Lo stadio Luzhniki ospita oltre 90mila spettatori. Il terreno di gioco, ai limiti della praticabilità, 22 calciatori più riserve varie ed eventuali, fra cui Diego Maradona. Vero, si sarebbe visto anche di peggio, chiedere informazioni a Ronaldo Fenomeno versione Coppa Uefa 1998. Ma quella sera, eccezion fatta per un bell’intervento coi piedi di Galli, è il Napoli a creare di più. Ancora Incocciati prende il palo nella seconda frazione con un bel sinistro, bissando il legno dell’andata. Al minuto 64 Bigon richiama in panchina un evanescente Zola, per inserire Maradona. “Avevo mantenuto la parola di non schierarlo. L’ho inserito quando lo ritenevo opportuno. Sarà la società a prendere provvedimenti in merito”, dirà l’allenatore del secondo Scudetto intervistato nel dopo-partita.
Maradona non incide, del resto gli ultimi 50 minuti, supplementari inclusi, si giocano sotto una bufera che rende difficile persino inquadrare il compagno più vicino. La gara si trascina stancamente ai rigori. Un solo errore, decisivo, di Marco Baroni. Colui che aveva segnato un gol fondamentale contro la Lazio per la festa Scudetto. Colui che aveva aperto le marcature con un bel sinistro contro l’Ujpest nel turno precedente. Spedisce fuori, neppure di poco, il difensore azzurro.
Disperati i napoletani. De Napoli incredulo: “i rigori non mi portano proprio bene, perdo sempre”. Maradona realizza il suo, ma non basta. Prestazione dimenticabile la sua. Mostovoj segna l’ultimo rigore dello Spartak, Galli intuisce ma non ci arriva.
Passano i sovietici allenati da Romantsev, che incontreranno e batteranno a sorpresa anche il Real Madrid ai quarti di finale. Prima di arrendersi al Marsiglia, che aveva a sua volta eliminato i campioni uscenti del Milan, con giocatori e dirigenti rossoneri scomparsi nel buio della notte del Velodrome.
Al San Nicola di Bari, per la finalissima, ci arriverà anche la Stella Rossa di Belgrado, uscita miracolosamente vittoriosa dalla semifinale contro il Bayern Monaco. Saranno ancora rigori, col trionfo a sorpresa della squadra jugoslava sul Marsiglia dell’ex Stojkovic. Ma questa, come si suol dire, è davvero un’altra storia.
Epilogo: la fine di un ciclo per il Napoli e per Napoli
Il Napoli si è liberato di Maradona? O l’argentino ha fatto tutto da solo? Impossibile dirlo. L’ultimo gol di Diego arriva dal dischetto, contro la Sampdoria, vittoriosa a Marassi per 4-1 e lanciatissima verso l’unico Scudetto della sua storia. La settimana precedente, contro il Bari, Maradona va all’antidoping. I risultati verranno resi noti solo dopo la trasferta di Genova. Positivo ai metaboliti della cocaina e squalificato per quindici mesi.
Diego fugge da Napoli in tarda notte. Poche settimane dopo, in un blitz degno dei B-movies italiani anni settanta, viene arrestato a Buenos Aires per possesso di droga.
Il Napoli esce anche dalla Coppa Italia, in semifinale contro la Samp, a cui non riuscirà però la doppietta (la coppa andrà alla Roma). Curiosamente, senza Diego in campionato gli azzurri non perdono più, arrivando a un soffio dalla qualificazione UEFA, solo un punto dietro le neopromosse terribili Torino e Parma.
Bigon verrà cacciato da Ferlaino, col Napoli che nella stagione successiva avrebbe ripreso, con Claudio Ranieri, il filo del discorso del finale di campionato in contumacia Diego. Con le chiavi della squadra definitivamente in mano a Zola, arriverà un quarto posto nella stagione 1991-92, prima che le vicende finanziarie del club costringano Ferlaino a ridimensionare definitivamente il progetto. L’ultima qualificazione UEFA prima della retrocessione arriverà nel 1994 con Marcello Lippi alla guida. Dopo l’ennesima retrocessione col duo Ferlaino-Corbelli, sarà la presidenza Naldi a trascinare nel baratro della C, via fallimento, il Napoli. De Laurentiis ha riportato il Napoli dove merita di stare, ma Ferlaino per tanti, grazie a Maradona e nonostante tutto il resto, è ancora uno dei presidenti più amati in città.
All’Ingegnere non riuscirà, insieme al Re del grano Franco Ambrosio, la costruzione di un nuovo stadio di proprietà a Napoli. Avevano anche creato l’azienda per l’acquisto dei terreni. E, nel frattempo, i due avevano acquisito quote societarie del Cagliari, rivendendone la metà a Cellino e acquistando un calciatore che sarebbe poi passato anche per Napoli: Daniel Fonseca.
La crisi finanziaria di Ambrosio e lo scandalo tangenti che l’avrebbe visto coinvolto insieme a mezza imprenditoria italiana, segnerà la fine della sua scalata verso i piani alti dello Stato. Il 15 aprile 2009 Ambrosio conclude tragicamente i suoi giorni terreni, massacrato in casa, insieme alla moglie, da una banda di improvvisati rapinatori legati ad un faccendiere romeno, che operava come giardiniere nella sua villa sulla Gaiola. Il giorno successivo al duplice efferato omicidio, i tre avrebbero confessato.
Mostovoj e Karpin avrebbero reso grande il Celta Vigo in Spagna e dominato il centrocampo della neonata Russia per gli anni a venire. Il crollo dell’Unione Sovietica consentì a molti più calciatori di esprimersi all’estero. Lo stesso Shalimov, con alterne fortune, avrebbe raggiunto l’Italia, passando per Foggia, Inter e Napoli.
Di Diego abbiamo già detto tutto. Tornerà, dopo aver vinto il contenzioso contrattuale col Napoli con l’intercessione della FIFA, nella stagione 1992-93 a Siviglia, ma non sarà mai più lo stesso. Il definitivo crollo a USA ’94, dove era stato voluto e poi liquidato dai padroni/predoni della FIFA stessa, Blatter, Havelange e Grondona, quest’ultimo per di più deus ex machina della politica calcistica argentina.
Diego se ne è andato 30 anni dopo quella partita a Mosca. Oggi, lo stadio San Paolo porta il suo nome. Mentre il Napoli, che ha incontrato di nuovo lo Spartak Mosca in Europa League, continua a subire la maledizione del Luzhniki e, anzi, ha perso entrambe le partite del girone 2020-21 contro i russi. Questi ultimi, in modo beffardo, avevano ricordato già dal sorteggio, sui social, quella partita del 7 novembre, con la foto di Maradona e il risultato sullo sfondo, sul maxischermo, a caratteri cirillici.

Foto twitter Spartak Mosca
Tutto questo in concomitanza con l’inaugurazione delle statue di Maradona all’interno e all’esterno dello stadio ex San Paolo. Diego da lassù avrà ripensato al suo amore per il comunismo e l’anti-imperialismo. Ma anche a quella mano provvidenziale con la quale evitò il gol dell’URSS nella gara dei gironi di Italia ’90 vinta dall’Argentina 2-0 proprio a Napoli. Del resto, è speranza di tutti i napoletani che, al Maradona, possa esserci sempre una mano in più dall’alto. La mano de D10S.