Carlsen contro Nepo e il grande ritorno degli Scacchi
Dicembre 16, 2021Massimo Bencivenga ci racconta Carlsen contro Nepo, partita valevole per il mondiale di Scacchi, che ha segnato un grande ritorno d’immagine per questo sport nobile e dalla lunghissima storia.
Alla fine, Magnus Carlsen potrà non piacere, potrà risultare troppo freddo, anche spocchioso, perfino
presuntuoso. Per me è una sorta di Floyd Mayweather Jr. degli scacchi, nel senso che vince senza rubare l’occhio. Ma certamente sarà ricordato tra i grandissimi di questo sport (sì, per me è uno sport) perché non è così agevole né per tutti essere campioni di scacchi per otto anni ed essere il maschio alfa di questi anni.
Perché se è vero che non vinceva una partita valevole per il titolo mondiale dal 2014 (aveva infatti vinto blitz, partite spareggio con meno tempo per mossa, sia contro Karjakin nel 2016 che contro il nostro Fabiano Caruana nel 2018), nondimeno in questi anni ha fatto incetta di tornei vinti. La sua faccia, tra l’annoiato e il borioso, a volte sembra dire: «Ma devo fare proprio un mondiale per dimostrare che sono il più forte?»
Non per nulla è numero uno nelle classifiche ELO, rapid e blitz.
Nella finale per il Titolo Mondiale FIDE, questa volta, il norvegese, classe 1990, s’è trovato dinanzi, un
po’ contro ogni pronostico, Caruana sembrava infatti più accreditato, il russo Ian Nepomniachtchi, anche lui classe 1990, uscito vincitore dal torneo dei candidati (al titolo).
Qualcuno, tra i russi e non solo, aveva accarezzato l’idea di riuscire, con Ian, a riportare in Russia il titolo per almeno tre buoni motivi.
Prima di andare a vedere i motivi, diciamo che in Russia, e nell’ex Unione Sovietica, prendono
maledettamente sul serio gli scacchi. Dal 1927, e sino alla scissione in due federazioni (poi ricomposta) degli anni novanta, l’albo d’oro dei campioni era una lista di sovietici, con l’unica eccezione dell’olandese Max Euwe, il quale approfittò della vita dissennata e delle idiosincrasie di Alexander Alekhine per portargli via il titolo. Sgarro che pagò a caro prezzo, poco dopo, visto che Alekhine si mise a stecchetto con una dieta a base di latte e si riprese facilmente il titolo.
Gli scacchi a quelle latitudini sono una specie di religione; gli stessi fratelli Klitschko si rilassano
sfidandosi a scacchi e, giusto per rendere l’idea di come siano sentiti e praticati, racconto questo aneddoto riportato nel bel libro ‘Gli scacchi, la vita di Garri Kasparov’. Bene, l’Orco di Baku ha raccontato che una volta, mentre giocava (era già Campione del Mondo) delle simultanee con dei reduci della Seconda Guerra Mondiale (che lì chiamano Guerra Patriottica) si accorse che contro un ex militare avrebbe anche potuto vincere, ma questo gli avrebbe tolto molte energie nervose per vincere anche con gli altri, per cui decise di pattare quella partita.
Gli altri militari un po’ se la presero, credendo che Garri avesse accordato un trattamento speciale a un ex generale, ma quando questi disse che avrebbe messo quella patta accanto, a mo’ di medaglia, a quella riportata negli anni trenta contro Alekhine le cose cambiarono. Kasparov non riporta il nome del generale, ma vi chiedo: «A voi sembra normale che un non professionista faccia pari con due dei migliori dieci scacchisti del novecento?» Ecco, in Russia potevano accadere, forse accadono ancora, cose del genere.
E se Kasparov abbozzò di buon grado, probabilmente Alekhine, che odiava perdere e diventava furioso (prendete un qualsiasi difetto umano, dall’essere ubriaconi all’essere violenti, arroganti e razzisti, se mescolate un po’ otterrete qualcosa di simile ad Alekhine) se non vinceva, si trattenne per via del grado dell’avversario. E anche perché probabilmente fu abbastanza lucido da pensare alle conseguenze.
Tuttavia Alekhine, che sconfisse il geniale e straordinario bon vivant cubano José Raul Capablanca (del cubano il già campione del mondo Lasker, uno che ha scritto il manuale di come si gioca a scacchi, disse che era, sic et sempliciter, il più geniale giocatore di scacchi che avesse mai incontrato), ha fatto da esempio a tutti gli altri sovietici.
Alekhine vinse contro Capablanca, che era un talento naturale straordinario, per la sua incredibile capacità di restare concentrato a lungo, più a lungo di qualsiasi altro.
Fu il primo a vivere gli scacchi in maniera totalizzante. Pensate che anche il suo gatto si chiamava Scacco, e in tal modo costrinse gli altri ad alzare l‘asticella, li forzò a studiare, come faceva lui, scacchi per almeno otto ore al giorno. Capablanca invece era un donnaiolo e sapeva godersi la vita; tuttavia, Alekhine non volle mai concedere la rivincita al cubano, ai tempi funzionava così.
Un primo motivo di ottimismo verso Nepomniachtchi era rappresentato dal fatto che il russo era già stato Campione del Mondo Under 12 nel 2002, battendo in finale indovinate chi? Sì, battendo in finale Magnus Carlsen.
Il secondo motivo era rappresentato dalla considerazione che, prima dell’inizio di questo mondiale del 2021 in quel di Dubai, Nepo era l’unico scacchista tra i big ad avere uno score in attivo negli scontri diretti con il norvegese.
Inoltre Ian, che è giocatore d’attacco, mentre Carlsen, pur non avendo punti deboli è più giocatore di posizione, s’era pure messo a dieta e aveva lavorato molto sulla tenuta mentale, essendo un po’
incostante, per poter affrontare al meglio lo stress psicofisico di questo Campionato del Mondo.
A Rudolf Spielmann è attribuito, ma la cosa è alquanto discussa, l’aforisma che recita.
“Gioca l’apertura come un libro, il mediogioco come un prestigiatore e il finale come una macchina.”
Partiamo quindi.
Il 24 Novembre è iniziato il Campionato del Mondo di scacchi.
Andiamo a descrivere un po’ l’arena competitiva. Il match mondiale era al meglio delle 14 partite con
vittoria al primo che avesse totalizzato 7,5 punti; 120 minuti a testa per le prime 40 mosse, altri 60 minuti per arrivare alla mossa numero 60 e un ultimo incremento di 15 minuti (e 30 secondi di abbuono per ogni mossa) per finire la partita.
Il sorteggio aveva assegnato il bianco nella prima partita a Nepo. Carlsen fece spallucce, ma il suo
linguaggio del corpo faceva capire che, in ogni caso, avrebbe voluto iniziare lui.
Nella prima partita (e nelle seguenti tre volte che Ian ha avuto il bianco) il russo è partito con una
apertura spagnola, agevolmente contrastata da Magnus che ha risposto (nella prima partita e quasi
sempre) con la difesa Morphy.
Perché l’apertura spagnola? Perché Ian e il suo staff (sì, si possono avere dei consiglieri) magari avevano
reputato che Magnus potesse andare in difficoltà con la partita spagnola.
E da dove verrebbe questa considerazione?
Ricordate che c’erano almeno tre motivi per ritenere che Ian potesse impensierire Magnus? E se tornate
indietro potrete facilmente rendervi conto che ne ho detto solo due.
Il terzo, importante motivo, è che Ian era stato consigliere di Magnus quando questi divenne campione nel 2013 battendo Anand.
Sì, avete letto bene: Ian era allenatore, diciamo così, di Magnus quando questi vinse il titolo.
Insomma, i due conoscono bene pregi e difetti l’uno dell’altro.
Patta la prima.
Patta anche la seconda, con Magnus che aveva aperto con la partita catalana, e Ian che forse, forse, avrebbe potuto osare di più.
Patta anche la terza, la quarta e la quinta. Non è così inusuale pattare a scacchi quando si arriva a certi livelli. Pensate che Kasparov e Karpov hanno giocato ben 144 partite per il titolo mondiale, con ben 104 patte. 104 patte! 21 vittore per Kasparov e 19 per Karpov.
La sesta partita è stata, anzi, diciamo meglio: la sesta partita è… Storia.
Una maratona di oltre otto ore, con 136 mosse giocate, record assoluto.
Magnus aprì con una pseudo catalana, entrambi furono sul punto di vincerla nelle prime 40 mosse, ma il tempo, soprattutto per Magnus, gli fece commettere non pochi errori. Magnus offrì anche la sua Regina, pur di ottenere, in svantaggio materiale e di tempo, ciò che voleva: una buona e consolidata posizione dalla quale cominciare a mettere pressione.
Nepo cercò, con trappole e azioni diversive, di rompere la coordinazione degli attacchi dei pezzi pezzi di Magnus, ma se c’è stata una partita nella quale Magnus ha giocato un finale come un automa, allora è proprio questa. Alla fine, disperato, Nepo provò a difendersi con scacchi perpetui, ma quando fu chiaro che Magnus, messo il suo Re al sicuro, avrebbe promosso un pedone passato a Regina non gli restò altro da fare che abbandonare.
Dopo un dispendio psichico del genere, la settima partita scivolò abbastanza via abbastanza agevolmente verso la quinta patta.
Magnus aprì con la difesa russa (già proposta anche nel quarto incontro) e anche in questo caso tutto sembrava avviato verso una nuova patta, anche per l’analisi al computer, che calcola mosse e materiale, era patta, ma Nepo nel finale commise un errore e Magnus ne approfittò per una nuova vittoria.
Va detta una cosa: contrariamente a quel che si può pensare, i giocatori di posizione, come Carlsen, ma
anche come gli ex campioni del passato Tigran Petrosian (forse il campione più difensivo di sempre) e Anatoly Karpov riescono molto spesso a essere più efficaci nei finali rispetto ad attaccanti fantasiosi come Tal o Kasparov.
Verrebbe da dire che, alla fine, i difensori attaccano meglio.
Nella nona partita, Nepo provò a sparigliare le carte entrando in una apertura inglese, una posizione che
offre non poche complicazioni, sicuramente con il fine di provare a far mettere il piede di Magnus in
qualche fallo, ma anche in questa partita Magnus giocò un gran finale e costrinse Nepo ad abbandonare.
Va detto che, se pure le aperture sono state abbastanza standard, tutte le partite di questo Campionato Mondiale a un certo punto, in genere intorno alla decima mossa, son diventate originali, ossia mai presenti prima nei vari database.
Nuova patta nella decima.
Nell’undicesima partita, quando ancora si era nel medio gioco, Nepo catturò con la mossa sbagliata e da lì in poi Magnus non fece altro che consolidare posizione e aumentare pressione, consolidare posizione e aumentare pressione sino all’abbandono di Nepo e alla conquista della quarta vittoria che lo ha issato a 7,5 e alla riconferma del titolo.
Ho seguito le partite con il commento di Judit Polgar (e Anish Giri), che magari dirà poco, ma è stata numero otto del mondo e ha fornito anche lei una grande prova di concentrazione parlando, ipotizzando e scartando combinazioni, a beneficio degli spettatori, per ore.
Del resto non ci si poteva aspettare altro dalla figlia di László Polgar, lo psicologo fondatore
dell’omonimo metodo, una metodologia di studio che consentirebbe a ogni bambino, individuatene le
naturali inclinazioni, di primeggiare.
Un metodo fortemente avversato da David Epstein nel suo libro Generalisti. Perché una conoscenza
allargata, flessibile e trasversale è la chiave per il futuro (a proposito, fatevi un regalo per il 2022:
leggetevi un solo libro, ma leggetevi questo), ma che in alcuni ambiti, e gli scacchi, nei quali il vantaggio iniziale pesa più che in altri sport e discipline, sembra dare buoni risultati.
Adesso prevengo la solita domanda: «Gli scacchisti sono più intelligenti e hanno una memoria migliore
degli altri?»
Vengono visti come cervelloni per antonomasia, ma diversi esperimenti psicologici hanno evidenziato
che possiedono una grande memoria sui pattern degli scacchi. E basta.
Nel senso che hanno una memoria come gli altri, ma eccezionalmente sviluppata, stante la pratica, per
riconoscere al volo situazioni e posizioni scacchistiche già studiate.
Certo non sono stupidi, ma nemmeno sono più intelligenti della media.
Alan Turing, che certo non era uno stupido, nelle lunghe serate a Blentchey Park a cercare di decrittare il codice Enigma veniva regolarmente battuto a scacchi… due volte a partita. C’era un crittoanalista che, dopo aver messo in difficoltà uno dei papà dei calcolatori moderni, prendeva, girava la scacchiera e rivinceva dalla posizione di svantaggio.
Carlsen ha segnato questi anni, ma c’è un giovane in forte e meteoritica ascesa. Un campione del futuro
potrebbe essere l’iraniano naturalizzato francese Alireza Firuzjah, che mostra grandi capacità ed è spettacolare anche quando perde. Per adesso ricorda un po’ il giovane Valentino Rossi, che cadeva spesso per troppa foga.
Se diventa più assennato potrà diventare anch’egli un campione in grado di marcare un’epoca.
Chiudo con una chiosa per noi italiani. L’ingegner Michail Moiseevič Botvinnik, campione del mondo praticamente per 16 anni di fila fra il 1948 e il 1963 (salvo due brevi parentesi), maestro tanto di Karpov quanto di Kasparov, nonché degli altri grandi della scuola sovietica, interrogato sui più grandi scacchi non trovò di meglio da dire che: «I quattro più grandi giocatori di sempre, quelli ai quali si sono ispirati tutti gli altri giocatori della loro epoca, sono stati per me: Gioacchino Greco, Philidor, Morphy e Steinitz.»
Gioacchino Greco, calabrese.
Testo di: Massimo Bencivenga
Immagine di copertina: chess.com