Lorenzo Insigne: nemo propheta in patria, specialmente a Napoli

Lorenzo Insigne: nemo propheta in patria, specialmente a Napoli

Dicembre 21, 2021 0 Di Valerio Vitale

Lorenzo Insigne ed il Napoli. Lorenzo Insigne ed i napoletani. Un pendolo che oscilla incessantemente tra l’esaltazione alla sua massima potenza, e il disprezzo totale. Con sporadici attimi di stabilità, così labili da spegnersi ben presto, come una candela consumata rapidamente dalla sua cera. Come un cubetto di ghiaccio sul davanzale in un torrido mezzogiorno di agosto. Un giorno Insigne volto di Napoli, quasi un santino, come San Gennaro, senza risultare blasfemi. Da esporre come vessillo, con orgoglio, figlio amato di Napoli. Come Diego no, quello mai, anche se in quei momenti di gioia irrefrenabile qualcuno lo ha detto, senza indugi: merita la dieci. L’altro invece volto dell’altra Napoli. Quella setacciata con disprezzo, quella appellata come cafona. La stessa di cui liberarsi subito per ripulire la propria immagine.

Montagne russe di emozioni, encefalogramma mai piatto, bensì ondeggiante, con picchi altissimi e poi il baratro. Gol e assist, colpi di genio, prestazioni incolori, colpi di testa, smorfie mal digerite. Prima un bacio allo stemma e la folla che lo acclama come una rockstar di fine anni ’80 in un Wembley strapieno. Più tardi, invece, trattato come un attoruncolo da baraccone, che sprofonda nei fischi della platea. Attaccato, finanche deriso. Un giorno sorridente capitano, nel senso buono. L’altro musone capitano, nel senso più dispregiativo, come Schettino che abbandona la sua nave in deriva. Da eroe dell’Europeo con la dieci azzurra col tricolore. Quello di pochi mesi fa. Lo stesso dell’Insigne del tiroaggiro, ebbene si. Con il termine coniato apposta per lui, riconosciuto dalla Valle d’Aosta alla punta più a sud della Sicilia.

Insigne re del ballo. Vincente, campione, ammirato. Ma la mezzanotte proprio come Cenerentola, a Napoli, arriva più di una volta per Lorenzo. Ora Insigne non è più re, è vestito di stracci, lo hanno fatto scendere dal piedistallo che gli stessi gli avevano costruito su misura. Fino a far proferire a qualche tifoso: “Senza quello scarparo possiamo vincere col Milan”. Scarparo, a Napoli dicasi di un giocatore con scarse capacità tecniche. “Fa piede e piede”, urla qualcun altro, più o meno il significato è analogo. La verità che le qualità tecniche di Insigne risultano difficili da essere messe in discussione, ma a volte come in amore, quando si è feriti si finisce per pronunciare parole che neppure si pensano.

Di Insigne forse è più facile discutere del suo carattere applicato al calcio, non sempre, probabilmente, all’altezza del ruolo assegnatogli in questi anni nel Napoli. Lui stesso lo ha detto: “Non mi hanno capito”. Incompreso. Ma la comunicazione si basa su tre fattori: l’emittente, il destinatario ed il messaggio. Forse i destinatari, leggasi tifosi azzurri, non sempre lo hanno capito, ma talvolta lo stesso Insigne ci ha messo del suo per non farsi capire, con atteggiamenti a tratti irritanti. Con lui in panchina si sono susseguiti Mazzarri, Benitez, Sarri, Ancelotti, Gattuso, sino ad arrivare a Spalletti. Sei allenatori diversi, accomunati da una costante: i capricci di Insigne a più di una sostituzione, la mancanza di personalità del capitano in momenti topici.

Emblematico il giorno dell’ammutinamento, indimenticabile sportivamente parlando all’ombra del Vesuvio. Un vero capitano avrebbe dovuto agire diversamente, non avallare un comportamento negligente, causando una spaccatura enorme all’interno della squadra, con strascichi e cause legali che ancora oggi si protraggono. Poi il famoso Napoli-Verona. Insigne avrebbe dovuto essere il Masaniello nella conquista dell’Europa che conta. Il capitano avrebbe dovuto e potuto caricarsi sulle spalle la sua squadra. Ma al Maradona Insigne invece apparve piuttosto impaurito, svuotato, quasi disinteressato al raggiungimento di un obiettivo così importante per la società, la tifoseria ed il club stesso. Imperdonabile.

Poi appunto l’Europeo, Insigne gioca titolare, con la dieci, vince e convince. Napoli-Verona è presto dimenticata. Funziona così quando l’amore è grande, ci si perdona, ci si rinnamora, si dimentica quello che non ha funzionato, si riparte. Un odi et amo catulliano, infinito, o forse che sta per finire. Post europeo con Spalletti, Insigne sembra finalmente aver raggiunto quella maturità umana per gestire al meglio i gradi di capitano. Nel frattempo però, sul sole splendente, incombe un nuvolone grigio, enorme, come spada di Damocle. Il contratto in scadenza. Il rinnovo è lontanissimo, qualcuno si interroga se questo possa minare l’impegno di Lorenzo.

Ma il 24, appunto, sembra essere diventato davvero il capitano perfetto. Spalletti lo esalta in conferenza stampa, più di una volta. Gli fa sentire il suo affetto, la sua stima, la sua fiducia incondizionata, anche quando sbaglia più di un rigore. Insigne in campo, ad onor del vero, non è che splenda. Solo 4 gol in questa prima parte di stagione in serie A, tutti su rigore, 0 su azione. Con il triste record di aver segnato meno di tutti, tirando in porta praticamente più di tutti.

Ma alla gente importa poco, perché Insigne non è più musone, come recitava Gattuso. Esulta sui social le gesta dei compagni, li prende per mano a fine partita, eccolo, ora è di nuovo Masaniello. Sembra procedere tutto per il meglio, nonostante il rinnovo risulti lontanissimo. Una vera e propria oasi nel deserto. Poi, dicono, un indurimento del polpaccio. Per qualcuno, i più maligni, una messa in scena per non giocare considerato il mancato accordo sul rinnovo.

Il suo procuratore del resto, invece di fare da pompiere, getta benzina sul fuoco, allontanando sempre di più Insigne dal Napoli. L’indurimento al polpaccio perdura, quanto forse una lesione muscolare. In mezzo la prova abulica con l’Empoli. Notizia dell’ultim’ora sembra che Insigne sia risultato positivo al covid, il che lo costringerà a chiudere anzitempo il suo 2021. A Milano, nella vittoriosa trasferta contro i rossoneri, il capitano in campo non c’era. Sui social però ha fatto sentire il suo apporto alla squadra. L’odi et amo prosegue, ma forse è ai titoli di coda. Insigne non sarà Maldini, Zanetti o Totti. Le bandiere ormai non esistono più, lo ha capito anche l’ultimo dei romantici.

Forse è più giusto così. Che le strade si dividano, con rispetto e riconoscenza di quello che c’è stato e nulla di più. Che vada a giocare altrove, per vincere qualcosa, o magari in MLS al Toronto, per strappare un contratto ancora più vantaggioso. Liberissimo di farlo, nessuno giudichi, dobbiamo abituarci al fatto che le cose vadano così, soprattutto fino a quando saranno i procuratori a comandare il mercato.

A Lorenzo Insigne, calciatore, uomo, ma soprattutto capitano, un unico appunto. Fino al giorno in cui vestirà la maglia azzurra numero 24 con la N sul petto che dia tutto per la causa. Altrimenti sarebbe un grandissimo assist per la minoranza. I cosiddetti detrattori, che allora avrebbero le giuste ragioni a puntare il dito verso il capitano. In un mondo di Schettino, caro Lorenzo, salvati. Al comando della flotta azzurra ci sei ancora tu. Conducila al porto sicuro (piazzamento in Champions) e poi quel che sarà sarà. Del resto, nemo propheta in patria.

 

Immagine di copertina tratta da Eurosport