Ruud Krol: il Profeta e la classe operaia azzurra nella stagione 1980-81

Ruud Krol: il Profeta e la classe operaia azzurra nella stagione 1980-81

Dicembre 27, 2021 0 Di Alfonso Esposito

Stagione 1980-81: Ruud Krol approda a Napoli come primo straniero alla riapertura del mercato. Nelle parole e nei ricordi dello scrittore Alfonso Esposito, andiamo a rivisitare un periodo meraviglioso della storia del Napoli e della serie A.

Ero un ragazzino, per giunta anche molto deluso. Nell’ultima stagione avevo dovuto mandar giù tanti di quei bocconi amari che avrei dovuto far razzia in una pasticceria intera per consolarmi. Già la maglia, per me, era un affronto, azzurra, sì, ma con quelle strisciate bianche sulle maniche che sembravano lingue di calce messe lì per rimediare ad un ammanco di stoffa. Perché il mio Napoli si era rivelato povero per davvero, chiudendo il torneo ’79-’80 con un anonimo decimo piazzamento, dietro perfino Bologna, Cagliari e Perugia, e addirittura a sei lunghezze dall’Ascoli.

La partenza di ‘Mister due miliardi’, al secolo Beppe Savoldi, non era stata adeguatamente compensata, erano tornati sotto il Vesuvio Oscar Damiani e Walter Speggiorin, ma nessuno dei due aveva le stimmate della punta vera. La conferma spietata venne dai numeri, appena 20 gol fatti in 30 partite, una media di poco più di mezza rete a gara. Damiani miglior ‘bomber’ (diciamo così…) con la miseria di quattro centri. Un inizio stagionale da noia mortale con tre 0-0 di fila, quello sarebbe stato il punteggio più ricorrente, addirittura dieci volte. A tre match dalla fine anche un mito vivente come Luis Vinicio si sarebbe arreso, lasciando il posto ad Angelo Benedicto Sormani.

Insomma, ce n’era d’avanzo per avercela col mondo intero. Per carità, nulla contro onesti mestieranti come Badiani, Caporale, Lucido e Tesser, ma non vedevo l’ora che si voltasse pagina.
In effetti fu così, ma ancora non capivo se in meglio o no. La casacca, nel frattempo, era tornata come quella di una volta, o quasi, tutta splendidamente azzurra ma con due righini bianchi in più sul colletto. Per la difesa ‘Giaguaro’ Castellini restava a guardia dei pali, con Bruscolotti e Ferrario mastini deputati a ringhiare sulle caviglie degli attaccanti avversari. Mentre sulla fascia mancina sgroppava Luciano Marangon, terzino del Lanerossi Vicenza del miracolo targato Gibì Fabbri.

In mediana ai “soliti” Guidetti (vecchio compagno d’armi di Marangon a Vicenza) e Vinazzani – buoni soprattutto per far legna – si affiancava l’ex catanzarese Enrico Nicolini che, un po’ troppo pretenziosamente, i tifosi del suo club d’origine, la Samp, avevano accostato al teutonico e mitico Günter Netzer, ma solo per la zazzera bionda, poiché si trattava di un altro cursore che faceva del movimento il suo punto di forza. In attacco si registrava il rientro dall’Avellino di Claudio Pellegrini e si confidava nella maturazione di Gaetano Musella, un ‘golden boy’ in salsa partenopea, prodotto del vivaio giovanile ed enigmatico incrocio tra un centrocampista offensivo ed un attaccante.

Ma il vero colpo, a sorpresa, nell’annata che segnava la riapertura delle frontiere agli stranieri dopo quasi tre lustri, il ds Totonno Juliano lo aveva messo a segno con l’ingaggio di un pezzo di storia del calcio rivoluzionario anni ’70, tingendo di oranje il Golfo partenopeo grazie all’arrivo di Ruud (o Rudy, a prendersi qualche confidenza) Krol, prima arrembante terzino sinistro e poi regale centrale difensivo dell’Olanda vicecampione del mondo, sia in Germania nel ’74 che, poi, in Argentina quattro anni dopo.

Fin qui tutto bene, solo che il neoacquisto della società di Piazza dei Martiri, dopo aver vinto tutto nella sua lunga militanza con l’Ajax Amsterdam, aveva scelto la reclamizzata e spettacolare – ma meno impegnativa – lega nordamericana per chiudere la sua fulgida carriera con i canadesi del Vancouver Whitecaps, avendo sulle spalle già trentuno primavere. Sembrava, orami, placidamente avviato sul viale del tramonto. Juliano, però, aveva deciso di scommettere forte su di lui, immaginandolo come perno intorno al quale far ruotare il gioco del nuovo Napoli affidato alle cure dell’emergente Rino Marchesi, l’allenatore gentiluomo col sigaro, nativo di San Giuliano Milanese e reduce da due tranquille salvezze con l’Avellino.

Ruud Krol

Ruud Krol (foto Gazzetta.it)

Ruud Krol: un genio tatticamente indefinibile

Il Napoli di inizio anni ’80 non fa che adeguarsi alla sorte della massima divisione italiana – stravolta dallo scandalo del ‘calcioscommesse’ e dal conseguente terremoto che aveva declassato in B società blasonate come Lazio e Milan – però quella azzurra non è una rivoluzione imposta dalle contingenze storiche, ma cercata, voluta. In effetti, circa sei anni dopo il Napoli di Vinicio, a mezza strada fra zona e samba – e che aveva fatto sognare un popolo intero ed era arrivato ad un passo dal tricolore – la compagine del ciuccio riabbraccia il credo calcistico olandese ma, a differenza del passato, stavolta annovera tra le sue file un ‘tulipano’ autentico come Krol.

Definirlo tatticamente non era e non è ancor oggi compito facile: un’autentica bestemmia parlare di ‘libero’ (soprattutto nell’accezione italica del termine) per un olandese, perché Rudy, espressione esemplare del totaalvoetbal plasmato nei Paesi Bassi, nelle retrovie non staziona stabilmente alle spalle dei compagni, perché al contempo marca ed imposta, lasciando la custodia della difesa a Moreno Ferrario e, memore delle scorribande che lo avevano reso celebre sul proscenio internazionale, sganciandosi in avanti, per alimentare la fase offensiva. Peraltro, come il Burgnich del Napoli viniciano (che, però, in formazione aveva sulle spalle il ‘4’), Krol non indossa nemmeno la tradizionale casacca n. 6, ma quella col ‘5’ ed anche questo la dice lunga sulla sua interpretazione, del tutto originale, eccentrica e personale, del ruolo di perno della retroguardia.

Diciamo che è un regista difensivo, con ampia licenza di orchestrare, fedele al verbo diffuso a suo tempo dal ‘santone’ Rinus Michels, per il quale ciò che contava più di tutto era verticalizzare, nello spazio breve e, soprattutto, in quello lungo, rasoterra o con aperture anche di 70 metri, col pallone teleguidato che andava a posarsi docilmente sul piede o sulla testa del compagno beneficato da tanta classe.
Vederlo giocare è uno spettacolo indescrivibile, una vera grazia, per chi, come il sottoscritto, l’Olanda l’aveva amata ed ammirata in quei due mondiali che erano anche i primi della mia vita.

Krol Incarna non solo l’eleganza, ma anche la perfezione calcistica. Tanto che, una volta, lo stupefatto cronista di ‘Tutto il calcio minuto per minuto’ si sente in dovere di interrompere il collega che sta parlando per segnalare che perfino lui, Rudy il magnifico, ha sbagliato un passaggio. I soprannomi si sprecano: dallo scontato “olandese volante”, tributo obbligato alle sue devastanti scorribande offensive, fino a “sua maestà”, in ossequio allo stile di gioco estremamente raffinato, per non dimenticare l’eloquentissimo “il divino” – che la dice tutta sull’adorazione del popolo partenopeo per questo statuario ed armonioso atleta dai capelli color miele di castagno e la maglia anticonvenzionalmente fuori dai calzoncini – e, ancora, “il vigile”, dal momento che dirige la manovra con impareggiabile maestria, spesso col braccio proteso in avanti. Come ad indicare ai compagni la strada della vittoria.

I napoletani lo venerano. Vedono in lui il condottiero di una riscossa troppo a lungo sognata. Si reputano a tal punto fortunati di averlo in squadra tanto che, nella primavera del 1981, in occasione dei due referendum abrogativi della legge sull’interruzione della gravidanza, coniano uno slogan che ammonisce tutti i cittadini tifosi del Napoli ad immaginare nel segreto dell’urna cosa sarebbe accaduto se la madre di Krol avesse abortito.

Un inizio stagione complicato

Quel Napoli, votato a riprodurre nel suo piccolo i semina verbi del ‘calcio totale’, quel Napoli dei lancieri azzurri guidati all’attacco dal più lanciere di tutti, ebbene quel Napoli non ingrana subito le marce alte. Krol salta il debutto in casa col Catanzaro (1-1). Fa la sua prima apparizione nell’infruttuosa trasferta di Ascoli (3-2 per i marchigiani). Quindi esordisce davanti al suo nuovo pubblico alla terza di campionato contro la Pistoiese, regolata per 1-0 a soli due giri di lancette dal fischio finale proprio grazie ad un suo radioso lancio a spiovere dalla trequarti centrale, per l’incornata vincente di Claudio Pellegrini in piena area toscana.

Il turno successivo, a San Siro, disfatta contro l’Inter, con l’ultimo dei tre gol a zero per i nerazzurri scaturito da una conclusione di Marini sporcata proprio da Krol per la deviazione decisiva alle spalle di Castellini. In dieci turni gli uomini di Marchesi racimolano altrettanti punti, una media da squadra di centroclassifica, senza ambizioni e con qualche scivolone clamoroso – oltre a quello contro gli interisti, anche l’altro in casa contro il Torino con un perentorio 1-3 – che non lascia presagire un itinerario ad alta quota.

La musica cambia: i meriti di Rino Marchesi e Ruud Krol

Da quel momento, però, cambia la musica, il Napoli intona una sinfonia in crescendo rossiniano che entusiasma tifosi e addetti alla critica. In accoppiata con la Juve del Trap, chiude il girone d’andata al terzo posto, appena due punti dietro la Roma capolista e ad uno solo di distanza dall’Inter, per una graduatoria concentratissima ai piani alti. Una squadra corsara, che realizza preziosi successi lontano dal San Paolo, come a Firenze, Brescia e Torino, sponda granata: guarda caso, in tutte e tre le trasferte vittoriose va a bersaglio Gaetano Musella, vera arma tattica in più degli azzurri.

Marchesi ha l’indubbio merito di convertire la sua incerta collocazione tattica (alla quale sopra si accennava) in un plusvalore, dal momento che lo adopera come centravanti di manovra, una sorta di ‘piccolo Cruijff’ tascabile al quale, più che di sfondare le reti avversarie – nel rispetto del canone classico impersonato dai bomber del tempo come Altobelli, Graziani, Giordano, Pruzzo e, soprattutto, Pablito Rossi – vien chiesto di aprire varchi per gli esterni che si accentrano e concludono.

Ed infatti il bottino personale della punta cresciuta nel vivaio partenopeo è di sole cinque marcature. Mentre, per converso, quello di Claudio Pellegrini tocca la quota record di undici. Tra l’altro, proprio nella felice visita a domicilio al Brescia, Krol mette a segno la sua unica rete italiana, approfittando di un ‘effetto flipper’ nell’area delle rondinelle ed anticipando l’uscita di Malgioglio con un tocco d’esterno destro.

Il segreto tattico di quel Napoli consiste nell’intasare gli spazi di manovra quando operano gli avversari e nel ripartire con rapidi rovesciamenti di fronte, sfruttando in particolare, come detto, la verticalizzazione sia nel breve che nel lungo. In quest’ultimo caso con il vantaggio di avere a disposizione i lanci millimetrici ed al bacio di un fuoriclasse come Krol. Che, però, non limita il suo apporto solo a questo, contribuendo invece soprattutto alla crescita mentale di un gruppo che, pur non eccellendo sotto il profilo tecnico, dal punto di vista tattico ed agonistico non ha nulla da invidiare a nessuno.

Resta nella tradizione orale del popolo azzurro l’aneddoto secondo il quale sarebbe stato proprio lui ad inventarsi la corsa in su è giù per i gradoni del San Paolo, allo scopo di intensificare il potenziamento muscolare. Quanto al campo, poi, quel Napoli sembra sfruttare il vantaggio di due uomini in più. Non solo il calorosissimo tifo (trasferte incluse) dei supporters partenopei, ma anche lo stesso Krol, che, emulando il connazionale Arie Haan nel mondiale germanico del ’74, galleggia tra difesa e mediana (anche avanzata), quasi raddoppiando il beneficio tecnico che la squadra trae dalla sua presenza in campo.

Il finale amaro di una stagione meravigliosa

Tutti sanno come si è concluso il campionato 1980-1981: vittoria della solita Juve, con Roma seconda e Napoli terzo a sei punti dalla vetta. Eppure, mai come stavolta la classifica finale, di per sé, è bugiarda, perché a cinque turni dall’epilogo in vetta veleggiava un terzetto a pari punti (35), ossia Juve, Roma e, soprattutto, Napoli. Alla ventiseiesima, nel testacoda col Perugia ultima della classe, accade quel che nemmeno il più pessimista Giacomo Leopardi avrebbe sospettato, cioè una sconfitta interna a causa di una sciagurata autorete di Ferrario, per di più al 1’ di gioco, che, tuttavia, basta ed avanza per frustrare ogni sforzo di rimonta, peraltro vanificato da un legno su conclusione di Pellegrini e da una giornata in versione ‘muraglia umana’ del portiere umbro Malizia (ironia del cognome…).

Vero è che le speranze sembrano riaccendersi al terzultimo turno, quando Juve e Roma impattano a reti bianche all’Olimpico di Torino e il Napoli (stavolta in barba al cognome), con un rapinoso gol del ‘carneade’ Francesco Palo, strappa un insperato successo al 90’ in quel di Como. I punti di distacco dalla vetta sono due, con la Roma a frapporsi al secondo posto, ed alla ventinovesima la Juve scende in campo proprio al San Paolo. Sebbene i giallorossi romanisti ospitino l’ormai retrocessa Pistoiese, in riva al Golfo tutti si sforzano di sperare nella mano potente di San Gennaro.

Ma nemmeno questa può compiere il miracolo, perché un nuovo autogol, in questo caso di Guidetti su tiro ravvicinato in area del bianconero Vinicio Verza (e poi dicono che questo vegetale non è indigesto…) dissolve i residui sogni di gloria degli irriducibili fans partenopei.

Eppure, quel Napoli resiste nella mente e nel cuore di questi ultimi, forse non spettacolare come quello di Vinicio o dell’epopea maradoniana, ma sicuramente ammirevole per capacità di esprimere un gioco collettivo ed armonioso. Col profeta Ruud a guidare una classe operaia che sfiora il paradiso calcistico: non è un caso che Ferrario e Marangon, ma anche Musella e Pellegrini entrino a gravitare nell’orbita della Nazionale di Bearzot.

Vero è che per nessuno di loro il futuro si tingerà davvero di un secondo azzurro. Ferrario bruciato come vice-Collovati dalla concorrenza spietata degli emergenti Vierchowod e Bergomi. Musella troppo atipico come centravanti per sperare di scalzare nelle gerarchie cannonieri scafati come Rossi, Graziani ed Altobelli o per rubare il posto a Franco Selvaggi, convertitosi da trequartista in attaccante centrale e più esperto e prolifico del napoletano. Infine lo stesso Pellegrini, ben presto non più in grado di ripetersi a certi livelli.

Eppure, quella che ai più potrebbe apparire solo una suggestiva utopia, per noi napoletani resta il ricordo indelebile di un gruppo che, col profeta Krol in testa, dimostrò che la rivoluzione zonista e totale del gioco collettivo, seppur per poco, è fiorita anche tra l’erba verde di Fuorigrotta.
Ed è mia personalissima opinione che, se per effetto di un paradosso temporale, lo avesse potuto
affiancare a Maradona e Careca, anche il Napoli, oltre al Milan di Sacchi, avrebbe avuto il suo ‘ciclo olandese’.

Testo di: Alfonso Esposito. A questo link trovate il suo libro “Il Mito che Insegna”, edito da Urbone Publishing, per la quale ha pubblicato anche “Alla Riscoperta dell’Est”.

Immagine di copertina: Napoli 1980-81 pagina wikipedia, di pubblico dominio.