La vittoria del Senegal in Coppa d’Africa vista da Napoli

La vittoria del Senegal in Coppa d’Africa vista da Napoli

Febbraio 6, 2022 0 Di Luca Sisto

Con la vittoria del Senegal in Coppa d’Africa, raccontiamo cosa significhi tutto questo per la comunità senegalese migrante, attraverso le impressioni personali del sottoscritto in giro per Napoli.

“E se hai la pelle nera
Amico guardati la schiena
Io son stato marocchino
Me l’han detto da bambino
Viva viva ‘o Senegal”

Pino Daniele, “‘O scarrafone”

Napoli come l’Africa. Quante volte abbiamo sentito ripetere questa frase? Come se l’Africa fosse una città, un Paese, un quartiere. E non un continente con milioni di sfaccettature. Un microcosmo che, del resto, ritrovo anche nella vecchia Parthenope. Mentre era in corso la Coppa d’Africa, ho camminato lungo le strade della mia città, alla ricerca dei perché di tutto questo.

Napoli e l’Africa: un legame profondo

Ho camminato per capire cosa leghi davvero Napoli all’Africa, intesa come stato d’animo, essenza. L’ha scritto persino Kalidou Koulibaly, su The Players Tribune. Riferendosi al calore della gente. Ma nella realtà non è solo questo. Sul corpo di tutto ciò che viene considerato ‘minoranza’ (napoletani, “africani”, rom e, in un certo senso, sul corpo di tutte le donne) si combatte in fondo una partita non troppo dissimile. Quella della subordinazione di una supposta diversità, intesa appunto come minoritaria, dal punto di vista politico, culturale, etnico e, di conseguenza, finanziario.

Ce ne siamo accorti prima e durante tutta questa Coppa d’Africa. L’epilogo, la vittoria del Senegal, la prima nella sua storia, contro i pluridecorati egiziani, è forse la notizia più bella. Dalle critiche neocolonialiste dei club europei, fino ai tentativi di vero e proprio ostruzionismo, non è stata esattamente un’edizione nata sotto i migliori auspici. Ne abbiamo parlato a sazietà, sia per lo spettacolo in campo non sempre eccellente, sia soprattutto per le tragedie fuori.

Una Coppa che il Camerun di Zambo Anguissa ha tentato di vincere con tutte le sue forze. E che avrebbe dovuto dato ulteriore adito alla strumentalizzazione da parte della quarantennale presidenza Biya, alla faccia dei morti e delle minoranze anglofone in rivolta. Il terzo posto, curiosamente ai rigori, contro il Burkina Faso, nazionale contro la quale il Camerun aveva esordito e a cui il capocannoniere Aboubakar ha segnato ben 4 dei suoi 8 gol, ha riepilogato quello dell’edizione del ’72 in casa, vinta a suo tempo dal Congo. Anche in quel caso, la prima vittoria per una nazionale (che non si sarebbe più ripetuta) e che avrebbe preceduto quella del ’74 del grande Zaire.

Da napoletano cresciuto col mito dei Leoni Indomabili, tifoso loro, dell’Africa e dei Sud del mondo, avrei voluto questa vittoria. Ma si sa, come ho scritto altrove, il destino ha deciso altro. Un destino che il Paese e la nazionale continuano a scrivere con le proprie mani, dopo decenni di colonialismo e spartizioni fra le grandi superpotenze europee, le stesse che oggi continuano a saccheggiare giocatori in Africa, per i propri club e per le proprie nazionali. E allora tanto meglio ce l’abbiano fatta altri Leoni, quelli della Teranga.

Bruno Metsu fu uno dei primi, col suo Senegal, a tentare di stravolgere questo meccanismo di sfruttamento delle risorse da parte degli Europei, convincendo i senegalesi più forti in Francia a sposare la causa del proprio Paese. Quello che ha fatto Koulibaly ad esempio, che in Francia è nato e che Deschamps avrebbe voluto convocare, se non fosse che il napoletano aveva già esordito col Senegal.

Perché siamo felici della vittoria del Senegal in Coppa d’Africa

Ora è giusto dare merito a questi ragazzi e spiegare il perché della nostra felicità. Non solo perché Koulibaly giochi nel Napoli. Non è l’unico, vedi Zambo Anguissa del Camerun e Osimhen, che oggi è tornato al gol contro il Venezia (dopo l’espulsione della gara d’andata alla prima giornata, e tra i fischi “poco gentili” del Penzo), e che questa Coppa purtroppo per la Nigeria ha dovuto saltarla. E così anche Ghoulam e Ounas, algerini.

L’Egitto ha rischiato di vincere la sua ottava Coppa d’Africa, allo stadio Olembe ancora ai rigori, dopo l’ennesimo 0-0, il terzo, dopo Costa d’Avorio e Camerun, battute grazie alle parate di Gabaski. Il portiere dello Zamalek, che aveva cominciato questa Coppa come backup di El-Shenawy, ha parato il rigore di Mané al 7′ del primo tempo. La partita si è trascinata stancamente fino ai rigori, ma stavolta Mané ha realizzato quello decisivo. Una parata per parte di Mendy e Gabaski, e un rigore calciato sul palo dagli egiziani. Agli egiziani, stavolta, la tattica ostruzionistica e difensivista del portoghese Queiroz si è rivoltata contro, proprio ai rigori.

Koulibaly ha così potuto alzare al cielo la prima coppa d’Africa del Senegal. E potrà dedicarla a tutti i senegalesi, non solo a Dakar, ma in tutte le “Dakar” del mondo. Questa coppa è anche per i senegalesi, un gruppo nutritissimo, che vivono alle spalle del porto di Napoli. Un luogo ameno, dove per strada giovani donne e uomini cercano di ripararsi dal freddo e dal caldo, senza mai un tetto sulla testa, se non quando possono chiedere aiuto alla chiesa; non solo per la mensa dei poveri del Santuario della Madonna del Carmine a Piazza Mercato, dove si mischiano con altri poveri e senzatetto del centro città.

Questa coppa è di Samba, benzinaio notturno poco fuori l’ingresso dell’autostrada, che quando una volta sono uscito da lavoro, ha riconosciuto l’auto (mi fermo spesso a fare benzina in quel punto) e mi ha detto “anche tu lavori di domenica sera?” E abbiamo seguitato a parlare di Senegal e di Koulibaly – “lo conosciamo, viene spesso qui intorno a dare una mano alla sua gente” – già, la sua gente. Come i napoletani, del resto.

Non fraintendiamoci: gli immigrati senegalesi (e in generale africani, a nord e a sud del Sahara) in condizioni disperate, ai semafori e per le strade, sono pochi rispetto a quelli che hanno casa, famiglia, un lavoro più o meno stabile, a Napoli e nel resto d’Europa. Non cadiamo nel tranello. Sono pochi, ma sono comunque tanti. Una sera, mentre mi recavo a lavoro, fra il gruppo dei ragazzi che si “occupa”, dietro vile sfruttamento della malavita, di lavare i vetri delle auto ai semafori, uno di loro era fermo in preghiera. Mi ha raccontato che veniva anche lui dal Senegal, che era musulmano, e che non toglieva mai la giacca che gli aveva regalato Koulibaly.

Koulibaly e Ghoulam a Napoli: il premio ARCI

A proposito: a Napoli il suo migliore amico è notoriamente Ghoulam. I due sono stati  premiati a dicembre 2021 dalla ARCI Mediterraneo per il loro impegno in favore delle comunità migranti. Molto di ciò che fanno passa sotto silenzio. A noi arrivano i fischi che spesso Koulibaly, Osimhen e compagni sono costretti a ricevere negli stadi, i “buu” razzisti, in quanto neri e in quanto indossano la maglia del Napoli, considerata “un’aggravante”. Che ogni tanto questi pseudotifosi sperano che i ragazzi in campo perdano la testa. In Italia, del resto, manca quasi completamente una cultura dell’anti-razzismo. Ci sono i razzisti, e quelli che non riconoscendo il problema ne sono tacitamente complici.

Napoli come l'Africa

Koulibaly e Ghoulam premiati da ARCI Mediterraneo (foto tratta dalla pagina FB ARCI Mediterraneo)

E poi si scopre che, fra le più alte cariche del calcio, c’è il presidente FIFA Infantino, svizzero del canton Vallese, il quale pensa di proporre i Mondiali ogni due anni “per scongiurare l’esodo dei migranti del mare”. Trovatemi un no-sense peggiore di questo, quasi rimpiango Blatter, che almeno era una pessima persona ma non faceva nulla per nasconderlo. No, signore e signori. Il calcio può salvare qualcuno dalla strada, ma non tutti. Non può fermare guerre civili e conflitti etnici, anche se qualche volta ci piace pensare che l’abbia fatto, almeno temporaneamente, vedi Drogba in Costa d’Avorio.

Durante la premiazione di stasera, Infantino, uno che strizza l’occhio continuamente a presidenti federali e Capi di Stato di ogni Paese, specialmente i più piccoli che portano voti, ha permesso a Paul Biya di consegnare la coppa personalmente a Koulibaly. Kalidou ha percorso gli scalini fino alla tribuna autorità, è stato al gioco, invitando i compagni a stare calmi, e poi è tornato sull’erba, finalmente, per alzare la coppa. Solo qualche giorno fa, fuori allo stadio Olembe, erano morte otto persone. E la sera precedente, in 17 avevano perso la vita in una discoteca di Yaoundé andata a fuoco. Ci vuole una bella faccia tosta, per essere Paul Biya e fare finta di nulla.

Infine, mi piace pensare che questa Coppa sia anche un po’ dei napoletani che Koulibaly l’hanno adottato come figlio di questa città. Quando Kalidou era ritornato sconfitto dalla Coppa del 2019, non voleva più giocare nel Napoli. La trattativa col Manchester United non andò però a buon fine. Kalidou rientrò contro la Juventus e causò, nello stesso stadio che per poco non gli regalava il gol Scudetto, l’autorete decisiva della partita. Qualche mese più tardi, infortunato, invitò il proprio allenatore Cissé a Napoli per assistere alla partita di Champions col Barcellona.

Di lì a poco il mondo si sarebbe fermato e sarebbe stato devastato dal coronavirus. Incontrai Mister Cissé in quei giorni, ricordandogli dei grandi Leoni della Teranga che con tanto orgoglio aveva rappresentato. Tanto sfortunato in Coppa d’Africa nel 2002, quando perse ai rigori col Camerun, quanto formidabile ai Mondiali, dove batté nella gara inaugurale la Francia, la madrepatria, giungendo fino a i quarti di finale. Il suo sguardo era fiero, una persona estremamente affabile. Sono felice che anche lui, stasera, come Mané e Kalidou, abbia ottenuto la sua personale rivincita. Un allenatore africano per una nazionale africana. Paradossalmente, l’eccezione che conferma la regola degli allenatori stranieri scelti dalle Federazioni, soprattutto dell’Africa Occidentale.

Il Napoli aveva tremato per questa Coppa d’Africa. Come tanti altri club, in particolare il Liverpool di Salah e Mané. Eppure, i punti gli azzurri li hanno persi prima, per colpa di covid, infortuni e brutte prestazioni. Con KK, Zambo Anguissa e Ounas in Coppa d’Africa, sono arrivati un pareggio a Torino contro la Juventus e quattro vittorie di fila. Adesso che è il momento di confermare il posto fra le prime quattro e, perché no, puntare sempre più in alto, Koulibaly potrà rientrare a Napoli con un sorriso a tutto volto, da campione d’Africa. E chissà che, per uno dei tanti che aveva cominciato questa coppa in convalescenza per codiv, non sia questo il vero “booster”.

 

Immagine di copertina: Getty Images via Sky Sport.