Date ad Antonio quel che è di Antonio (possibilmente a ritmo di samba)
Febbraio 7, 2022Antonio de Oliveira Filho, noto a tutti come Careca, è il protagonista di questo nuovo racconto di Alfonso Esposito.
Difficile dire qualcosa di nuovo su di lui. Ingaggiato dal São Paulo nell’estate del 1987, quasi contro il volere di Lui – che premeva per avere al suo fianco il fratello Hugo, messo pure sotto contratto dal Napoli, ma immediatamente spedito a farsi le ossa ad Ascoli – centravanti titolare della nazionale brasiliana nell’ultimo mondiale messicano. Quello della consacrazione definitiva del re di Napoli a re del mondo. Bomber di livello assoluto, tanto che proprio in Messico si laurea vicecapocannoniere dietro il beatle inglese Gary Lineker e alla pari con l’avvoltoio spagnolo Emilio Butragueño: son tutte cose più che note.
Careca non era un mistero ma un campione già affermato
Come si sa bene che a Ferlaino non andava giù che il suo Napoli, fresco campione d’Italia per la prima volta, non avesse piazzato un tiratore scelto sul podio dei cannonieri stagionali. Nonostante l’attacco azzurro non soffrisse il mal di gol e, con 41 reti segnate, risultasse nell’ultimo torneo il secondo della massima divisione, ad una sola incollatura dalla detestata Juve. Il presidente vuole primeggiare in tutto e per questo decide di mixare tarantella, tango e samba, facendo approdare sotto il Vesuvio Antonio Filho de Oliveira, in arte Careca, che riproduce il nome di un rinomato clown suo connazionale, Carequinha. Anche se le difese di tutta Italia le avrebbe fatte piangere.
Nemmeno è un mistero che a Napoli si va ad aggiungere a gente che il mestiere di segnare lo conosce bene, se non benissimo. Lui a parte, c’è Bruno Giordano, ‘core de Trastevere’, erede designato di Chinaglia alla Lazio e vestito d’azzurro nell’estate dell’85. C’è pure Andrea Carnevale, classica torre d’attacco che, per indovinatissima intuizione di Ottavio Bianchi, ha conosciuto la sua personale metamorfosi in ala capace di sgroppate impetuose e micidiali e che, proprio grazie a questa evoluzione, si sarebbe guadagnato in seguito anche la Nazionale.
E tutti rammentano facilmente che nel nuovo Napoli chiamato a difendere il fatidico scudetto, Careca, perfino se plurireferenziato, deve rispettare, comunque, le gerarchie ed accontentarsi della maglia n. 7, lasciando la n. 9 a Giordano. Insieme i tre compongono un terzetto offensivo fenomenale, la “Ma.Gi.Ca.” (anche se l’ultima sillaba ricomprende lo stesso Carnevale…), che manda letteralmente in visibilio i tifosi partenopei e nella disperazione più nera i calciofili di parte avversa.
Quelle che, invece, vorrei tornare a condividere con gli altri fratelli di fede azzurra sono alcune istantanee magari meno riproposte negli anni, eppure per me emblematiche dell’immenso talento del calciatore che celebriamo. Diciamocelo, giocare al fianco di Lui era, insieme, una benedizione ed una condanna. La prima per chi rientrava nella norma, ma che con Lui poteva compiere il salto di qualità. La seconda per quelli come Careca, o lo stesso Giordano, destinati al ruolo di comprimari, seppur di lusso, al fianco del re del mondo. Antonio, durante la sua permanenza napoletana, ha fatto ammirare al pubblico capolavori di rara bellezza, se non unici, riflessi di una classe superiore, per non dire eccelsa.
L’intramontabile estetica dei gol di Careca e le reti decisive per la UEFA ’89
Iniziando da una rete affogata nell’amarezza di una trasferta infausta, un brutale k.o. a San Siro contro il Milan, un 4-1 quanto mai indigesto il 3 gennaio 1988, subito dopo la sosta natalizia. Careca realizza la rete dell’illusorio vantaggio azzurro già al 10’, con tutta la classe di cui è dotato. Su illuminante assist di Lui a scavalcare la linea difensiva rossonera, protesa in avanti per far scattare invano la trappola dell’offside, Antonio è capace di addomesticare la palla di petto con la stessa dolcezza con la quale San Francesco ammansì il lupo di Gubbio, come se la sfera rimanesse ipnotizzata da quel gesto e, per inerzia, gli scivolasse docilmente sul destro, col quale, prima che il pallone tocchi terra, disegna una palombella che beffa la precipitosa uscita di Giovanni Galli.
Nemmeno raccontata così rende alla perfezione la bellezza del gesto tecnico, bisogna visionare le immagini e rendersi conto della velocità di esecuzione per apprezzare l’altissima qualità dell’azione.
La classe tutta carioca della punta azzurra rifulge nella doppia finale di Coppa Uefa nel maggio 1989 contro lo Stoccarda, infilato sia all’andata tra le mura amiche – su assist di Lui e per il 2-1 finale, con un tocco nell’area piccola preceduto da un controllo ripetuto con la suola della scarpetta, in modo da mandare fuori tempo la difesa teutonica – sia al ritorno (3-3), non solo innescando la fuga travolgente di Alemão per il vantaggio iniziale, ma anche in occasione del terzo gol partenopeo, occasionato da un rilancio a campanile di Ferrara, spizzicato di testa a centrocampo proprio da Antonio che, così, apre un’autostrada per un’incursione assassina del Genio che, prossimo all’area, prima con un rapido movimento delle gambe fa scomparire la palla dalla vista di tutti, poi la fa riapparire sul sinistro per ricambiare la cortesia dell’assist a Careca.
Proprio quando sembra che il centravanti paulista stia perdendo l’attimo giusto, è allora che il suo destro si frappone tra la sfera ed il terreno, per quello che ancora oggi viene ricordato come uno dei più deliziosi ‘scavetti’ mai visti, di una delicatezza ineguagliabile. Il suo viso incredulo dopo la rete ed il nome del Genio da lui urlato davanti a tutto il ‘Neckarstadion’ rappresentano il più eloquente dei tributi al Dio del calcio.
Peraltro, quella finale era stata preceduta dall’ostica doppia semifinale col Bayern Monaco e il ritorno, ancora in terra tedesca, è passato alla storia per quello che, senza tema di smentite, è il riscaldamento prepartita più famoso di sempre. Per mettere pressione sugli azzurri, gli altoparlanti dell’Olympiastadion diffondono a palla ‘Life is life’ degli Opus. Capita l’antifona, Lui ribatte da par suo e, per tranquillizzare i compagni, inscena una prolungata ed irridente serie di palleggi acrobatici a ritmo di rock.
Non è un caso che al suo fianco, muovendosi a ritmo di musica, sia immortalato, sornione e in perfetta sintonia, proprio Careca, che in quella gara si scatena con una doppietta, manco a farlo apposta su duplice assist del suo capitano. Come a dire: i pifferi delle Alpi bavaresi andarono spavaldamente per suonare e furono beffardamente suonati…
L’altra “presa di Torino”
Antonio appone la sua firma in calce in occasione di un’altra impresa epica, una nuova ‘presa di Torino’, dopo il 3-1 tanto celebrato del novembre 1986. Questa volta il punteggio finale è ancor più roboante, 5-3, tanto che il cronista Rai Beppe Barletti parla di “una Piedigrotta” a Torino. Eppure, nella nostalgica vulgata del tifo partenopeo, questa vittoria arrembante e corsara è spesso passata in secondo piano. Il mese è sempre quello di novembre, l’anno è il 1988, anche stavolta la giornata è uggiosa, ma per gli azzurri splende il sole sul ‘Comunale’ del capoluogo piemontese.
Bianconeri umiliati a domicilio, sotto gli occhi dell’avvocato Agnelli che, al fianco del segretario di Stato americano Henry Kissinger, applaude sportivamente gli avversari (Il video completo con tutti i protagonisti e le interviste irripetibili del compianto Galeazzi, lo potete gustare qui).
Careca ci mette del suo, eccome, timbrando per ben tre volte il cartellino e meritandosi i complimenti perfino di Stefano Tacconi, che a fine gara, seppur a malincuore, lo definisce “un marziano”, soprattutto per la prima segnatura, che merita di essere narrata nel dettaglio. Involatosi sulla destra ed entrato in area, Antonio supera con un superbo pallonetto proprio Tacconi ma, prima che il pallone si adagi in fondo al sacco, lo stopper Brio lo ricaccia verso il fondo dove, però, staziona il centravanti azzurro che, fulmineo, rientra in campo, insonnolisce la sfera col petto (quasi un suo personalissimo marchio di fabbrica) e, aggirando una nuova uscita del portiere zebrato, insacca di sinistro in rete.
Prima del terzo sigillo personale – un angelico tocco al volo di sinistro su cross dalla destra di De Napoli, scavalcando di nuovo l’estremo bianconero – il fuoriclasse brasiliano aveva segnato ancora con una potente fiondata di destro, che attesta eloquentemente come la punta brasilera non privilegiasse solo le giocate di fino. Per questo il pubblico famelico intonava a squarciagola “Uè Carè, Carè, Carè, tira la bomba, tira la bomba…”.
Due perle di Careca nella stagione del secondo Scudetto, ma non solo
Anche nella stagione del secondo scudetto Careca, seppur frenato da problemi fisici, sa contribuire alla grande con perle di raro splendore, come nel 3-1 interno alla Roma quando trova la via del gol dalla linea di fondo lasciando di stucco il portiere giallorosso Cervone o, ancora, nella trionfale trasferta di Bologna, quella del 4-2 che, di fatto, laurea campione d’Italia il Napoli ai danni del Milan e che è resa benigna proprio dal “marziano”, che tiene fede al meritato appellativo con la rete iniziale, propiziata da un lancio dalla destra di Corradini. Stop di petto (e come ti sbagli?) spalle alla porta, rapidissima torsione sul posto e pallone scagliato di destro nell’incrocio a velocità supersonica.
Un concentrato di talento cristallino da mostrare e mandare a memoria in tutte le scuole calcio. Un gol che spiana la strada del successo finale davanti al pubblico del ‘Dall’Ara’, che di napoletani quella domenica ne conta tantissimi, che al quarto gol di Alemão si trasformano in una specie di valanga azzurra rotolante verso il bordo della curva, per ammirare da vicino i protagonisti di una nuova impresa epica.
Il nome di Careca è associato anche ad una memoria dolorosa, una ferita per me ancora aperta, anche se di tempo, ormai, n’è trascorso tanto da quella mia presenza lì, quel giorno. Alludo alla domenica infausta del 1 maggio 1988, quella del tristemente noto sorpasso da parte del Milan di Sacchi, quella di una partita dove i nostri a malapena si reggevano in piedi mentre i rossoneri schizzavano come schegge.
Quella della difesa meneghina guidata abilmente da ‘Franz’ Baresi a mo’ di elastico, tanto era capace di accorciare (soprattutto) ed allungare gli spazi tra retrovie e mediana. Quella di un De Napoli costantemente in affanno davanti alle scorribande di un Maldini che imperversava spietato. Quella del duo Gullit-Van Basten uscito trionfante mentre i supporters milanisti sventolavano pazzi di gioia i loro vessilli in uno spicchio dell’anello inferiore della curva A e cantavano irridenti verso Lui “Guarda, alza gli occhi al cielo, le vedi le bandiere? Sono rossonere…”.
Quella maledetta partita finisce 3-2 per loro, ci pensa Careca di testa su cross di Romano ad addolcire (ma giusto un po’) l’amaro calice e a salvare almeno in parte l’onore. Quello che sarebbe stato macchiato dalle voci di dentro che si scatenano dopo la disfatta casalinga, col proclama letto pubblicamente da Garella – quello dei ‘professionisti seri’… –, l’epurazione dei ‘rivoltosi’, le voci infamanti di una resa interessata e quant’altro. Pagina nera, davvero. Nemmeno questo, però, basta per oscurare lo splendore di quel Napoli, che sa risorgere due anni dopo, col secondo tricolore della sua storia.
Un attaccante unico nel suo genere
Antonio seguita ad effondere sui campi d’Italia e d’Europa i riflessi di un talento superiore, accarezzando la sfera con la dimestichezza tutta paulista di chi ha imparato a dare del tu al pallone nelle partitelle disputate su campi polverosi improvvisati nei quartieri o sulla sabbia delle spiagge, allenando gambe, testa e cuore a giocare in qualsiasi situazione e condizione. Divertendosi. Perché Careca, professionista esemplare anche fuori dal campo, soprattutto si diverte e diverte.
Anche per quel modo tutto suo d’interpretare il ruolo di centravanti che, a dire il vero, è fin troppo limitato ed angusto per descrivere le sue caratteristiche tecniche. Attaccante moderno, svaria su tutto il fronte offensivo, spesso si dilegua sull’esterno per poi convergere a rete, non a caso una delle sue specialità è il tiro in diagonale in piena corsa, sia di destro che di sinistro. Per lui le marcature ferree ed il fuorigioco non sono affatto un problema, ha il suo punto di forza nella rapidità delle movenze, feline come quelle di un ghepardo. I suoi scatti improvvisi e fulminei, sia in progressione che da fermo, diventano proverbiali. Il malcapitato marcatore spesso resta sul posto o, preso alla sprovvista da tanta velocità, stramazza per terra.
Altro che il clown al quale s’ispira il suo soprannome. Careca è un autentico funambolo, perennemente a destreggiarsi in bilico tra gli ostacoli, eppure capace di saltarli tutti con la naturalezza estrema che gli deriva da un talento indiscusso. Non a caso il Genio lo elegge tra i suoi partner preferiti in assoluto, vederli giocare insieme è una gioia per gli occhi e per il cuore, non solo azzurro.
S’intendono per istinto, com’è (sopran)naturale che sia tra fuoriclasse. E spesso festeggiano le reti messe a segno accennando movenze di samba, con una mano sul petto e l’altra a tenere per mano una dama immaginaria, le gambe agilmente ritmiche nel seguire una melodia che solo loro sanno concepire, concertare ed eseguire. Gli stadi non sono più solo banali campi di calcio, ma teatri dove va in scena un’opera sinfonica, capace d’incantare chiunque vi assista.
Per questo è doveroso riconoscere ad Antonio l’innegabile merito di aver contribuito da campione qual era a rappresentare il Napoli più bello e vincente di sempre. Per questo si è guadagnato, nel cuore dei tifosi partenopei, un posto d’onore eterno nella galleria degli azzurri sommamente emblematici. Al fianco di Krol, Hamsik, Cavani, Mertens, dello stesso Higuain, prima che scappasse come un ladro nella notte, reo di un improvviso e tradimentoso voltafaccia.
All’ottavo posto nella classifica dei marcatori partenopei di tutti i tempi, con 96 centri, Careca ha lasciato in eredità al popolo napoletano non solo una messe invidiabile di gol, ma giocate d’altissima scuola e, soprattutto, un’immagine vincente e pulita. Esemplarmente testimoniata da quella sua espressione nella notte magica (è proprio il caso di dirlo, in omaggio al marchio di fabbrica di quel terzetto vincente di cui era stato protagonista…) di Stoccarda, quando, quasi incredulo, prima si porta le mani alla testa e affonda il viso sul prato, poi alza lo sguardo verso Colui che, ancora una volta, aveva inventato dal nulla l’azione di un gol e gli corre incontro festante. Mentre Antonio urla davanti a tutti il nome di chi lo ha glorificato elevandolo sulla vetta UEFA dell’Europa.
Testo di: Alfonso Esposito. Di Careca ha scritto in “Napoli: segnare il tempo”, edito da Urbone Publishing. A questo link trovate il suo libro “Il Mito che Insegna”, edito sempre da Urbone Publishing, per la quale ha pubblicato anche “Alla Riscoperta dell’Est”.
Immagine di copertina tratta da wikipedia, di pubblico dominio.