Remo Sacco e Umberto Lenzini: intrecci calcistici fra Alessandria e Lazio
Febbraio 10, 2022L’alessandrino Beppe Giuliano Monighini ci racconta la parabola di Remo Sacco, presidente dell’Alessandria fra gli anni del boom ’60 e ’70 e il suo rapporto con la Lazio scudettata di Umberto Lenzini.
Claudio Di Pucchio vanta una sola presenza in serie A: ma che presenza! Un gol su rigore (fatto tirare a un esordiente, già sintomo di talento) a Torino contro la Juventus, e non una partita qualsiasi.
Dopo la penultima del campionato ‘66-67, in testa: Inter 48, Juventus 47. In coda tre squadre pari al quartultimo posto: L.R. Vicenza, Lazio, Spal 27. Chi è ancora in lotta, anziché la domenica, gioca l’ultimo turno il giovedì successivo: 1° giugno 1967. In mezzo c’è infatti la finale della Coppa dei Campioni: la Grande Inter va a Lisbona e la perde con il Celtic di Jock Stein, poi deve difendere lo scudetto col Mantova già salvo. All’inizio del secondo tempo Giuliano Sarti, portiere più che affidabile, fa una clamorosa papera e prende il classico gol dell’ex (lo segna infatti Beniamino Di Giacomo).
Al Comunale di Torino la Juventus capisce che può vincere un inatteso scudetto e presto raddoppia il gol di Bercellino I, arrivato praticamente in contemporanea con quello del Mantova. Segna il 2-0 Zigoni, contro una Lazio rimasta in dieci per l’infortunio di Rino Marchesi (allora non c’erano le sostituzioni). Quando all’87esimo danno un rigore ai biancazzurri, fuori appunto il rigorista Marchesi, a tirarlo mandano l’esordiente con la maglia numero 7. Di Pucchio segna il rigore, cambia il punteggio ma non il risultato: quel giorno la Juventus vince lo scudetto, la Lazio retrocede, finisce la Grande Inter e anche la serie A per Claudio Di Pucchio, uno dei tantissimi che, in quel periodo, percorre (nei due sensi) la strada tra Alessandria e Lazio.
La trafficata rotta Alessandria-Roma (sponda Lazio)
Va a Roma Mario Tomy, punta di buone speranze mai sbocciato, pagato tanto (in soldi e giocatori) dai biancazzurri, ora osteopata; ci vanno il difensore Gaetano Legnaro e Bruno Chinellato. Fa avanti e indietro Pasquale Di Giovanni. Il portiere Avelino Moriggi fa in tempo a vincere il campionato ‘73-74, senza scendere mai in campo (gioca solo 5 partite della Coppa Italia). Eppure: “Qualche compagno di squadra ancora oggi dice: «Non c’è dubbio, fra i due portieri il migliore era la riserva, Moriggi. E non ha mai giocato nemmeno una partita». A rovinarlo e a farlo finire sempre dietro Pulici, dicono, è il carattere.” (Guy Chiappaventi, Pistole e palloni, Ultra Sport).
Moriggi, lombardo di Cinisello Balsamo, anima candida, ragazzo serio e semplice, è spesso vittima degli scherzi da spogliatoio, in una squadra dove il clima non è proprio leggero. Lo stesso Pulici ammetterà: «Moriggi in un certo senso è stato il segreto del mio successo. Fortissimo, in allenamento dava tutto se stesso. Sudava, sgobbava. Aveva un ginocchio lasco e qualche volta gli si lussava. Lui con due mosse lo rimetteva a posto e ricominciava a giocare meglio di prima…»
Vestono invece il Grigio tra gli altri Sergio De Luca, uno dei pochi laureati (in ingegneria); il centravanti Sassaroli, che fa venti gol in due stagioni, un altro che segnò all’esordio in A, Ezio Paparelli e Vincenzo Proietti Farinelli, “Cencio”, poi talent scout di qualità, lui tra gli altri portò alla Lazio Dejan Stankovic.
Più avanti arriva il pittore Arrigo Dolso, calze a cacarella come il suo idolo Corso, come lui solo mancino (e che mancino!). Talento almeno pari al fastidio per la fatica fisica, quando gli danno il fútbol lo accarezza. Lui di suo non va a prenderselo, aspetta che passi dalle sue parti, cioè la zona di campo all’ombra della tribuna: soprattutto nelle domeniche di sole (per fortuna ad Alessandria non così frequenti) gioca novanta minuti lì.
Negli anni in cui costantemente l’Alessandria fa campionati di vertice in C, in particolare si mettono in mostra i due interni di centrocampo: appunto Di Pucchio, e “Pepetto” Lorenzetti, l’angelo biondo. Sulla raminata di fronte ai parterre del Moccagatta hanno appeso uno striscione: “Rivera + Benetti = Lorenzetti”. Ha talento puro, è una grande speranza delle giovanili biancazzurre, peccato per il fisico minuscolo, infatti gioca appena una manciate di partite in A dove esordisce ventottenne col Foggia proprio all’Olimpico contro la Lazio, nella giornata in cui le due squadre piangono la prematura morte di Maestrelli. Il suo destino calcistico sfiora pure l’incrocio con quello di un altro angelo biondo laziale, Luciano Re Cecconi. Mentre la vita negli ultimi anni lo porterà, dopo esperienze non sempre felici, ospite all’Isola d’Elba proprio di Dolso.
Remo Sacco: un uomo di cui si è raccontato poco
La ragione di tutti questi scambi tra le due squadre? Un uomo di cui si è raccontato molto poco, eppure negli anni sessanta è tra i più ricchi d’Italia.
Nella sua storia imprenditoriale si intrecciano gli anni del boom e la tipica abilità negli affari dei mandrogni. Lui infatti è di Spinetta Marengo, sobborgo di Alessandria.
Ricostruisce bene il suo impero, sulla fanzine dei Grigi (‘L’orso in casa’) il giornalista, ed ex-dirigente, Marcello Marcellini.
Remo Sacco, ingegnere di titolo svizzero, parte da un brevetto per le trivellazioni (l’attività del padre Umberto) per diventare costruttore, petroliere, armatore. Compra la villa di Luchino Visconti sulla via Salaria, al civico 366. Compra i Ciga Hotels e l’Immobiliare Roma. Molti affari sono nella capitale, nella sua città sfoga la passione per il calcio (è tra l’altro legato ai Masseroni, la famiglia di Carlo, il presidente che aveva venduto l’Inter ad Angelo Moratti): dagli inizi degli anni sessanta l’Alessandria è sua, anche se il primo incarico di vertice è del 1967. Intanto fa affari con i grandi costruttori romani, con Arcangelo Belli, con Mario Genghini. Con i Marchini: Alvaro presidente in quegli anni della Roma cerca di coinvolgerlo ma “le differenze politiche non lo stimolano”.
Gli preferisce l’altra squadra della capitale, stringe i rapporti con Umberto Lenzini, ulteriore personaggio da romanzo, nato negli Stati Uniti (Umberto l’americano), da calciatore delle giovanili negli anni trenta un gol segnato proprio alla Lazio, anche campione giovanile dei 100 metri (con un ragguardevole 11 netto, pare). Naturalmente lui pure “palazzinaro”, da metà decennio presidente della Lazio.
Segnalano a Lenzini due ragazzi che giocano nell’Internapoli, nel campionato ‘68-’69 – allenato da ‘O Lione Luis Vinicio con Gianni Di Marzio vice – in lotta per una promozione in B che sarebbe stata straordinaria.
Uno è Peppino Wilson, napoletano figlio di un soldato inglese, nato infatti nella contea di Durham ma presto tornato in Italia, mentre l’altro faceva in treno il viaggio inverso a otto anni, e insieme alla sorellina raggiungeva la famiglia emigrata in Galles. L’altro si chiama Giorgio Chinaglia, ribattezzato “Long John”, secondo Brera “stilisticamente è sgraziatello per via d’una spalla, la destra, che sembra appesa all’orecchio”.
Sta facendo il militare alla Cecchignola proprio insieme a Di Pucchio, e all’allora portiere del Napoli, Dino Zoff: “facevamo tutti i viaggi insieme, dal capoluogo campano a Roma e viceversa. Nacque così un’amicizia vera, che andò consolidandosi con il passare dei giorni, dei chilometri”.
Costano 200 milioni (di lire). “Lenzini non li ha. Non ha alternative: chiede aiuto a Remo Sacco. Ventiquattro ore dopo i due giocatori diventano di proprietà della Lazio” (ancora Marcellini).
L’Alessandria vince il campionato di serie C il 19 maggio 1974. Lo stesso giorno la Lazio pareggia 2-2 a Bologna nell’ultima giornata del campionato di serie A, ma lo scudetto è già assegnato, i biancazzurri se lo sono cuciti sul petto con la vittoria per 1-0 della domenica precedente – gol ovviamente di Chinaglia – sconfitto il Foggia, la squadra da cui era arrivato l’allenatore Tommaso Maestrelli, il signorile maestro di quel successo storico.
Storico, per l’Italia, è anche l’esito del referendum che si va a votare (in massa, affluenza dell’87,7%) proprio il 12 maggio 1974, dopo una campagna elettorale particolarmente tesa e polemica. La maggioranza di “NO” lascia in vigore la legge sovente chiamata col nome dei proponenti, la Fortuna-Baslini: la legge che ha introdotto il divorzio.
Alessandria: il contesto storico
Alessandria, che si prepara a festeggiare il ritorno in serie B dopo quasi un decennio, è una città sconvolta. La rivolta nel carcere di piazza don Soria è finita venerdì 10 maggio nel sangue dopo l’intervento dei Carabinieri: tre ostaggi, due guardie carcerarie e due dei tre rivoltosi uccisi, altri quattordici feriti. Ancora oggi non si sa chi introdusse nel carcere le armi: fu addirittura sospettata una giornalista, di cui si narrava la vicinanza con il capo dei rivoltosi. A guidare le forze dell’ordine nell’assalto (dopo un primo sanguinoso già fallito il giovedì) è il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, che sarà premiato una decina di giorni dopo con la nomina al comando del nuovo nucleo antiterrorismo. Secondo ogni ricostruzione, anche la coincidenza con gli ultimi giorni di campagna referendaria ha portato al terribile esito.
Invece la squadra di calcio vive un momento insieme felice e grottesco. Nel ‘72-73 ha giocato magnificamente, con il giovane promettente allenatore Pippo Marchioro, ha lottato a lungo per la promozione, illusa dal successo di marzo nella sfida diretta con il Parma, gol di “Faina” Salvadori davanti a 13.776 spettatori paganti (mai più così tanti al Moccagatta), record di incassi di 30 milioni e 700mila lire, e vinto la prima edizione della Coppa Italia semi-professionisti. Finale al Flaminio di Roma, 4-2 all’Avellino, doppietta come regalo di addio di Lorenzetti.
La stagione successiva al posto di Marchioro arriva in panchina Dino Ballacci, un bolognese molto tosto, schietto. Acceso difensivista, il contrario del gioco spumeggiante di Marchioro. Litiga con la proprietà (l’ing. Remo Sacco è affiancato dal giovane figlio Paolo) quasi subito, si parla di sue dimissioni già a settembre. La squadra vince, il clima non migliora. Ad aprile l’allenatore, spalleggiato da Paolo che si mette (per poco) contro il padre, attacca pubblicamente diversi dirigenti. A maggio rilascia un’altra intervista polemica. Paolo lo esonera due giorni prima della partita che varrà la promozione.
Sul giornale leggiamo il suo primo laconico commento: “Sono stato licenziato per lesa maestà”. La domenica in tribuna il giovane Sacco cerca di stringergli la mano, “forse non rendendosi conto della gravità del suo gesto dell’altro giorno” scrive il giornalista di ‘Stampa Sera’, un giovane Cristiano Chiavegato. “Ballacci non ha ritenuto di ricambiare il gesto, e si è voltato dall’altra parte”. Arrivano in pochi giorni la promozione, le contestazioni anche eccessive alla proprietà, coi tifosi sotto la casa di Spinetta Marengo, le dimissioni prima di Paolo e poi pure dell’ing. Remo che rimane comunque, per pochi anni ancora, proprietario della squadra.
Quelle del maggio 1974 restano le più grandi vittorie sportive, per Sacco e per Lenzini. Le vicende successive della Lazio sembrano la trama di quelle che ora chiamano dramedy.
La cessione a Bruno Cavallo e il rapimento della figlia Maria
Remo Sacco, contestato e con la società in crisi, vende l’Alessandria a Bruno Cavallo, un avventuriero, industriale tessile, già dirigente del Torino, aveva portato in C la “seconda” squadra della sua città, l’Asti Ma.Co.Bi. Scopritore di talenti che sapeva vendere bene, il suo nome resta per sempre legato ad Antognoni, preso quindicenne, venduto per 425 milioni alla Fiorentina proprio “fregando” il Torino.
Il riservato ing. Remo Sacco torna invece sui giornali per una vicenda familiare tragica. Sua figlia Maria, vent’anni, durante la settimana sta a Milano in via Coni Zugna ospite di Luciana Panzarasa, la vedova dell’ex-presidente dell’Inter Masseroni, per lei una zia adottiva. È una casa a due passi da San Siro, lei è una delle pochissime donne fantino. La mattina del 9 novembre 1978 esce come al solito all’alba per raggiungere le scuderie. C’è una fitta nebbia. Prima che salga sulla sua Golf la prendono. Già anni prima avevano cercato di rapire suo fratello Fabio. Allora era una banda improvvisata, alessandrini spiantati che speravano nel guadagno facile, e che avevano ovviamente fallito. Stavolta è una cosa seria.
È in mano a una banda di calabresi per più di tre mesi, ci sarà il sequestro dei beni della famiglia, un primo tentativo di pagare il riscatto bloccato dagli inquirenti. Maria torna infine a casa il 25 febbraio 1979, la liberano nei pressi dell’ippodromo. Si parla di un riscatto miliardario. Lei dice solo “ho avuto paura di non tornare”. L’hanno sempre tenuta con una benda sugli occhi e i tappi nelle orecchie. Il giorno dopo c’è in prima pagina una sua fotografia con due dei sei fratelli e con il padre. È probabilmente l’ultima immagine pubblica dell’ing. Remo che torna nel proprio riserbo e morirà sessantaquattrenne nel 1986 nonostante un complesso intervento al cuore. Cuore che tradirà, appena cinquantatreenne, anche Maria, morta un sabato pomeriggio mentre andava a cavallo, la grandissima passione della sua vita, e infatti dopo i notevoli successi da fantino era diventata allenatrice.
Testo di Beppe Giuliano Monighini, che per Football&Life ha scritto anche “Armando Picchi e lo Scudetto dell’Inter, accadde di maggio 1971”. Monighini è stimato autore presso La Stampa di Alessandria. Ha scritto insieme a Nicolò Vallone e altri autori “Portabandiere, storie di donne a cinque cerchi” per Urbone Publishing.
Ha scritto inoltre il bellissimo “L’estate della gioia e del terrore: i giochi di Monaco”, edizioni Ultra.
Immagine di copertina: formazione dell’Alessandria, foto di proprietà dell’autore.