Wilma Rudolph: deve esserci un disegno

Wilma Rudolph: deve esserci un disegno

Febbraio 10, 2022 0 Di Massimo Bencivenga

Per la consueta rubrica mensile dedicata agli altri sport e curata da Massimo Bencivenga, proponiamo un suo scritto su Wilma Rudolph, gentilmente concesso dall’autore e inserito nell’antologia “La bellezza di Raccontare lo sport”, edita da Apice Libri.

Sicily – Rome American Cemetery and Memorial, Settembre 1960.

I coniugi Nelle seguivano mogi il custode.

Sfociarono in un ampio spazio verde ben curato. Il cuore di Isaac Nelle mancò un colpo nel vedere la fila ordinata di croci che segnava ciò che restava di giovani soldati americani.

Tra le croci, disposte come militari in una tragica parata, l’addetto si muoveva rapido ed esperto. Si fermò indicando una croce:

« Ecco, vostro figlio è qui. L’abbiamo identificato grazie alla piastrina, ad altri è andata anche peggio », sussurrò l’uomo indicando con la mano il grande ossario nel quale erano confluiti tutti quelli che non avevano nemmeno un nome e un cognome.

« Mi spiace, comunque », concluse il custode toccando sulla spalla l’uomo e la donna. Lui annuì, lei, che non amava tutto quel toccare tipico degli italiani, si ritrasse come sfiorata da un rettile. Il sole basso, che pennellava sfumature arancio sulla tavolozza blu del mare di Nettuno, rese più preziose, e quasi del colore del sangue, le lacrime di Isaac Nelle, l’uomo che aveva perso i suoi due figli nella grande follia collettiva nota come Seconda Guerra Mondiale.

Tennessee, 1948

Margareth Nelle spiava il marito cercando di non farsi notare dietro i pesanti tendaggi. Sospirò e sgattaiolò in cucina non appena vide Isaac accingersi a rientrare. L’uomo entrò, si sistemò meglio le bretelle e, dopo aver armeggiato con la radiolina, sedette sul solito lato del divano. Ondeggiava la testa al ritmo della ballata, tormentando una frangia ribelle e scucita del cuscino consunto. Il ritmo country venne inquinato dai rumori delle stoviglie. Isaac si alzò e andò dalla moglie. « Che cos’hai?», chiese.

«Niente », rispose lei, sistemando una pentola.

«Siamo sposati da trentacinque anni e sin dal primo minuto ho capito che quando riordini con questa veemenza il significato è semplice: sei arrabbiata.»

«Sì, lo sono.»

«E perché?»

«Per via delle tue attenzioni verso quel… quel…»

«Negro, dilla pure la parola », concluse per lei Isaac.

«Sì! Prima o poi il Klan verrà a chiederci perché ti ostini a parlare sempre con, come si chiama…»

«Si chiama Edward. E mi fa pena.»

«Ma non pensi a noi? Se quelli del Ku Klux Klan…»

«Non ho paura di quei pagliacci vestiti a festa, né credo che loro s’interessino a un povero cristo come Ed.»

«A maggior ragione…»

«È che mi fa pena. Lo vedevo in stazione spaccarsi la schiena facendo il facchino per tirare avanti i suoi figli. Quella che porta sulle spalle è la ventesima figlia…»

«No, caro Isaac, una cosa del genere non si può chiamare figliolanza, ma nidiata o cucciolata.»

«Anche i tuoi cari Patriarchi biblici erano abbastanza prolifici », cercò di rabbonirla puntando su un argomento che le stava a cuore, ma ottenendo l’effetto contrario.

«Non ti permettere di paragonare i Patriarchi con quelle, quelle…»

«Bestie. Avanti dilla la parola, tanto è questo che pensi dei neri.»

«Dio ha disposto un Disegno per tutte le cose…»

«E per mia fortuna, nel suo disegno mi ha fatto nascere bianco.»

«Sei impossibile! Tu bestemmi, Isaac!»

L’uomo fece un gesto vago e andò verso il pesante mobile che fungeva anche da libreria. Per la verità i libri erano solo due. Ne prese uno. Quando voleva, Isaac sapeva essere insopportabile. Lo sapeva, e quella sera decise di giocarsi il carico.

«E adesso cosa stai facendo?», chiese con una nota allarmata la moglie, ben consapevole anche lei che stava montando una tempesta.

«Niente, cerco in questo libro, che tu tieni in somma considerazione, un riferimento al fatto che ci sia un Disegno che ponga i neri in condizione di inferiorità verso i bianchi, ma mi sa che non lo troverò», rispose tutto serio.

La moglie scattò e gli strappò il libro dalle mani dicendo: «Il Disegno c’è sempre, solo che non sempre lo vediamo o comprendiamo». Quasi con le lacrime agli occhi, Margareth prese a salire le scale.

«E sappiate, tu e il Gran Stregone Imperiale di quei pagliacci del Klan, che prima o poi la parità verrà inserita anche qui», le urlò dietro Isaac, agitando l’altro libro della loro biblioteca: la Costituzione degli Stati Uniti d’America. Finalmente un po’ di pace, pensò. Alzò il volume della radio e ritornò ad ascoltare la musica, ma la mente cominciò a vagare. Perché mi sono comportato così duramente con Margareth? Anche lei sta soffrendo. Anche lei ha perso due figli: uno a Cassino, in Italia; l’altro in un posto chiamato Iwo Jima. Spense la radio con un gesto rabbioso e si diresse verso il capanno degli attrezzi. I vicini lo sentirono martellare e lavorare tutta la notte.

«Che te ne sembra?», chiese alla moglie. Sapeva che, di solito, una nottata bastava ed avanzava per far ritornare serena Margareth.

«Che te ne devi fare?», domandò lei a sua volta, osservando la vecchia bicicletta che il marito, nella nottata, aveva modificato aggiungendo una sorta di cesto sul tubolare, tra il manubrio e il sellino.

«La voglio regalare a Ed.»

«Ancora lui…», cominciò a dire la moglie girandogli le spalle e facendo per tornare in casa.

«Aspetta! I dottori hanno detto che la piccolina, che ha avuto la poliomielite, forse non camminerà mai. Ma Ed non ci crede », sussurrò Isaac.

«E in base a cosa? È un dottore?», lo canzonò.

«No, ma ieri mi ha detto che vede negli occhi della bimba una grinta feroce. Vuole fare di tutto per curarla. Vuole dare una possibilità a quella piccola tigre.»

«E cosa c’entri tu?»

«L’ospedale riservato ai neri dista 80 miglia da casa sua. Lui se la mette in spalla e fa avanti e indietro due volte la settimana. Forse questo trabiccolo potrebbe alleviare la sua fatica.»

La moglie non rispose. Gli voltò le spalle e rientrò in casa.

Roma, Settembre 1960: il trionfo di Wilma Rudolph

Dopo la visita al cimitero. I Nelle, insieme alle altre sventurate famiglie che erano venute dagli Stati Uniti a visitare i resti dei loro cari caduti in guerra, ritornarono a Roma. Margareth ciondolava nei pressi della Fontana di Trevi, quando un urlo forte la riscosse. Erano grida di giubilo, in inglese, e provenivano da un bar. Vide uscire degli uomini, tra questi anche Isaac. Il marito aveva le lacrime agli occhi e la invitava a entrare nel locale. Incuriosita, si mosse verso di lui.

Isaac piangeva come un bambino e diceva: «È Wilma. I dottori dicevano la verità». Entrò nel bar e osservò che tutti gli occhi degli astanti erano puntati su un televisore.

«È Wilma», continuava a dire il marito.

«Wilma chi?», chiese infine la moglie.

«I dottori avevano ragione a dire che non avrebbe mai camminato bene. Infatti vola, Wilma. Quella nera che vedi esultare è la figlia di Ed Rudolph, il facchino al quale regalai la bici. Ha appena vinto la medaglia d’oro nei 100 m alle Olimpiadi.»

Margareth era senza parole.

«Forse», cominciò a dire Isaac, ma un groppo alla gola gli strozzò le parole. Tossì, poi, piangendo e abbracciando la moglie, riprese a dire: «Forse hai ragione tu, Margareth. Forse, per ogni nostra azione, c’è davvero un Disegno…»

 

Nota: Tutto ciò che riguarda Wilma Rudolph è vero. Per il resto… chi può dire che una cosa del

genere non possa essere accaduta per davvero?

 

Testo di Massimo Bencivenga. Racconto inserito nell’antologia “La bellezza di Raccontare lo sport”, edita da Apice Libri. I racconti sono stati scelti tra quelli partecipanti al concorso Sport Storytelling (2019) promosso da Gruppo Scrittori Firenze.

Immagine di copertina: Wilma Rudolph a Roma 1960 presente su trackarena.com