La doppia vita del Gato Andrada
Marzo 23, 2022Mentre l’Apollo 12 realizzava l’allunaggio – con il comandante Charles Conrad e il pilota Alan Bean che divennero rispettivamente il terzo e il quarto uomo a mettere piede sulla luna – Pelé firmava su calcio di rigore, al Maracanã, in occasione della gara valida per la Taça de Prata fra Santos e Vasco, il suo gol numero 1000 in carriera. Il portiere del Vasco, Edgardo Norberto “El Gato” Andrada, divenne famoso per aver subito quella rete. Ma la sua figura resta avvolta in un drammatico mistero, che cerchiamo di dipanare attraverso questo pezzo di Juri Gobbini, autore della pagina Facebook Storia del Calcio Spagnolo e del libro “La Quinta del Buitre”.
El Gato Andrada e il gol 1000 di Pelé
Il 19 novembre 1969 Pelé realizzò il suo millesimo gol in carriera segnando il 2-1 su rigore nella sfida fra Vasco da Gama e Santos. Il Maracanã esplose, e “O Rei” venne accerchiato da decine di persone che invasero il campo per abbraccialo e sollevarlo al cielo come un trofeo. Ci vollero 25 minuti prima che la partita venisse ripresa, ma il risultato non cambiò.
Pelé fu l’eroe della nottata, mentre il portiere argentino Edgardo Norberto Andrada il potenziale villano della storia. Colui che avrebbe potuto rovinare l’intera festa, rimandando di qualche giorno quell’inevitabile traguardo. Per inciso, l’estremo difensore rosarino intuì il tiro di Pelé, sfiorandolo con le dita, anche se il tocco non bastò ad evitare il gol.
El Gato Andrada: non una storia da lieto fine
Ma la storia personale di Andrada, detto “El Gato” per le sue movenze feline, non è una di quelle da lieto fine. Nato a Rosario, Andrada si formò nelle giovanili del Rosario Central, con cui esordì nel 1957 e dove rimase fino al passaggio al Vasco da Gama, avvenuto nel 1969. Negli anni Sessanta fu uno dei portieri più forti in Argentina, e il “Gato” raggiunse persino la nazionale Albiceleste con cui giocò da titolare la Copa America del 1963, competizione che vide la Bolivia imporsi per la prima e unica volta nel massimo torneo continentale. Assieme a lui, per quel torneo fu convocato anche un altro giocatore del Rosario Central, l’attaccante Cesar Luis Menotti.
Mentre Menotti si dovette accontentare di cinque presenze con la maglia della nazionale, Andrada arrivò a giocare venti gare con l’Albiceleste. Un traguardo rispettabile considerata la concorrenza di due colossi come Amadeo Carrizo del River Plate e Antonio Roma del Boca Juniors. Il meglio che l’Argentina aveva in quegli anni. Il suo passaggio al Vasco da Gama lo vide poi mettere in bacheca un paio di trofei: il Campionato Carioca del 1970 e soprattutto il Campionato Brasiliano del 1974, il primo campionato a livello nazionale ottenuto dal Vasco.
Andrada rimase in Brasile fino al 1976. Dopo una stagione al Vitoria rientrò in patria, difendendo la porta del Colón di Santa Fé prima di tornare a Rosario, sponda Renato Cesarini, piccolo club nato negli anni Settanta per omaggiare il famoso centrocampista italo-argentino, i cui gol nei minuti finali fecero nascere in Italia la famosa espressione “Zona Cesarini”. Attualmente il Renato Cesarini è un club concentrato nel produrre giovani calciatori, e dal suo settore giovanile sono usciti gente del calibro di Javier Mascherano, Santiago Solari, Martin Demichelis o Andrés Guglielminpietro, anche se all’inizio degli anni Ottanta riuscì a qualificarsi per il Campeonato Nacional argentino, che disputò in due occasioni.
Un oscuro dopo carriera
Nel 1982, a 43 anni, Andrada appese finalmente i guanti al chiodo anche se non si trovò disoccupato. Un anno prima, quando era ancora in attività, il portiere era entrato infatti a far parte del Destacamento de Inteligencia 121 di Rosario, una specie di distaccamento rosarino dei Servizi Segreti, organismo che spalleggiò la Giunta Militare nel reprimere i ribelli e diffondere il terrore durante gli anni della Dittatura.
Gli orrori della Dittatura argentina, iniziata nel 1976 con il golpe di stato che portò il Generale Jorge Rafael Videla al potere (di cui il 24 marzo ricorre l’anniversario), sono tristemente noti a tutti. Ciò nonostante, esistono tante storie semisconosciute, tanti piccoli pezzi che hanno composto l’enorme puzzle del feroce genocidio. I principali protagonisti, i pesci grossi della Giunta e molti membri dell’Esercito, sono stati tutti, chi più chi meno, puniti, anche se le pene non saranno mai abbastanza sufficienti in rapporto alle barbarie di cui si sono resi protagonisti e alle tante vite spezzate con crudeltà.
Tuttavia, troppi omicidi sono rimasti impuniti, con molti casi venuti a galla col contagocce e solo dopo tanti anni, complici i soliti rallentamenti nei processi investigativi e in alcuni casi la capacità degli autori materiali, bravi nel coprirsi le spalle e consentire che molte verità rimanessero nascoste. Tanto, poi, i morti e le migliaia di Desaparecidos non potevano certo raccontare la propria versione.
Fra i tanti processi investigativi durati decenni troviamo anche quello riguardante il sequestro e l’omicidio di Edoardo Pereyra Rossi e Osvaldo Agustín Cambiaso, attivisti del gruppo peronista dei Montoneros. Rapiti dal Bar Magnum di Rosario e spariti nel nulla per qualche giorno, i due furono ritrovati morti a Lima, nei pressi di Zárate, cittadina una ora e mezzo a nord di Buenos Aires.
Era il maggio 1983, Videla aveva lasciato il potere ma il paese era sempre in mano alla Giunta Militare, stavolta presieduta da Reynaldo Bignone. La Guerra delle Malvinas aveva dato il colpo di grazia ai dittatori. Presto in Argentina sarebbe tornata la democrazia, con Raúl Alfonsín che sarebbe stato eletto a fine anno come nuovo presidente. Malgrado una debole luce finalmente visibile in fondo al tunnel, gli strascichi della Dittatura erano però ancora ben presenti nella società argentina.
Inizialmente, infatti, il caso dei due Montoneros venne bollato come un confronto a fuoco in cui gli attivisti ebbero la peggio, ma non ci volle molto a capire che si trattasse di una messa in scena. Pereyra Rossi e Cambiaso erano stati invece sequestrati e torturati da una Patota, così erano chiamati nel gergo gli squadroni della morte, quelli che piombavano dal nulla a bordo di una Ford Falcon seminando terrore per le strade argentine. La Patota li aveva poi consegnati al Comando Radioeléctrico de la Unidad Regional de Tigre, che aveva successivamente completato l’incarico, uccidendo i due attivisti e simulando uno scontro armato.
La ricostruzione dei fatti del sequestro di Pereyra Rossi e Cambiaso richiese indagini supplementari che si protrassero nel tempo, e l’ultima sentenza fu pronunciata addirittura nel 2016, ben 33 anni dopo gli avvenimenti. Nel frattempo, qualcuno aveva iniziato a parlare, e fra questi Eduardo “El Tucu” Costanzo, personaggio condannato all’ergastolo per delitti contro l’umanità. Costanzo era stato infatti uno dei capetti della Quinta de Funes, un centro clandestino di detenzione situato alle porte di Rosario, uno di quelli dove vennero condotte le tante persone sequestrate, la maggior parte delle quali mai fece ritorno a casa.
L’impianto accusatorio nei confronti di Andrada
Era proprio il Destacamento de Inteligencia 121 – quello di cui faceva parte Andrada – solito a usare la Quinta de Funes. Ciò nonostante, fu una sorpresa quando Costanzo tirò in ballo proprio l’ex portiere del Rosario indicandolo fra quelli che avevano sequestrato Pereyra Rossi e Cambiaso. In quel momento Andrada, già in pensione, era tornato al Rosario Central per lavorare nel settore giovanile, e apparentemente nessuno sapeva della sua doppia vita di agente segreto al servizio dell’Esercito, incarico che durò fino al 2000.
“La sua figura di ex portiere di Rosario Central ispirava fiducia nella gente, specialmente nei quartieri popolari, il che facilita il raggiungimento degli obbiettivi proposti” , recitarono alcuni documenti venuti alla luce anni dopo, nei quali Andrada veniva chiamato con il nome in codice di Antelo Eduardo Néstor e con “Agente S” come alias.
Il Rosario Central gli chiese immediatamente di dimettersi, cosa che lui fece, anche se si rifiutò sempre di commentare le accuse, sia davanti ai microfoni di qualche giornalista sia seduto in un’aula di tribunale, dove decise di rimanere in un ambiguo silenzio. Scomparso nel 2019, all’età di 80 anni, Andrada riuscì ad evitare la condanna e fu fra gli imputati dichiarati non colpevoli nel caso Pereyra Rossi e Cambiaso, un verdetto molto criticato ma che non venne modificato nei successivi appelli.
È pericoloso e per certi versi ingiusto emettere giudizi su una persona ufficialmente mai condannata per nessun crimine, anche se questo non esula Andrada dalle responsabilità, quantomeno morali, per aver fatto parte del Destacamento de Inteligencia 121, le cui attività durante la Dittatura sono tristemente note.
I casi di Piovoso e Tamburrini: vicende opposte ad Andrada
Quella di Andrada è comunque una vicenda opposta a quella accaduta ad altri due portieri argentini, Antonio Piovoso e Claudio Tamburrini. Piovoso – unico giocatore con presenze in Primera nella lista dei Desaparecidos – aveva fatto le giovanili nell’Estudiantes prima di divenire la riserva di Hugo Gatti al Gimnasia La Plata, squadra con cui aveva debuttato professionista nel 1973. Successivamente lasciò il Gimnasia per dedicarsi agli studi di architettura, continuando a parare nelle categorie minori.
Il suo sequestro avvenne proprio in uno studio tecnico dove Piovoso lavorava part-time, e il portiere fu prelevato malgrado fosse estraneo ad attività politiche. Sembrerebbe infatti che la Patota fosse arrivata lì per prendere un’altra persona, ma finirono per portar via anche lui, forse per i capelli lunghi che la Dittatura associava automaticamente con gli elementi sovversivi. Piovoso non avrebbe fatto mai ritorno a casa.
Maggior fortuna ebbe invece Tamburrini, portiere dell’Almagro, che fu capace di evadere rocambolescamente dalla Mansión Seré, il centro di detenzione dove si trovava prigioniero. La sua fuga fu un evento tanto eccezionale quanto drammatico: Tamburrini, che riuscì a scappare all’estero trovando poi rifugio in Svezia, raccontò l’evasione in un libro autobiografico intitolato Pase libre: la fuga de la Mansión Seré da cui è stato tratto il film Crónica de una fuga.
Testo di Juri Gobbini, autore della pagina Facebook Storia del Calcio Spagnolo e del libro “La Quinta del Buitre”.
Immagine di copertina tratta da wikimedia.commons, di dominio pubblico.