La legge del Clásico e il vento che cambia
Marzo 24, 2022 0 Di Luca SistoReal-Barça non è mai una partita qualunque. Il Clásico ha più volte deciso la Liga, ma anche quando non l’ha fatto, ha talvolta segnato un’epoca di grandi cambiamenti. Perché negli anni di dominio del Real Madrid, i club che volevano stravolgere le gerarchie dovevano passare per lo scalpo dei reali di Spagna. E il Barcelona non è stata l’unica squadra in grado di “goleare” i campioni. Penso alla nascita del Superdepor. Il 6 febbraio 2000, il giorno del 5-2 al Real che di lì a pochi mesi avrebbe vinto l’ennesima Champions League.
Senza dover tornare sempre coi ricordi al 1974 e alla manita del Barça di Cruijff in campo, il vero turning point si registra a cavallo della fine della Guerra Fredda. Il Real Madrid veniva da 5 titoli di fila della Liga. Il Barça stava rifondando la sua cultura calcistica sulle basi del Profeta, stavolta in panchina, e di un mercato che cercava di carpire il meglio da giocatori funzionali a un progetto basato principalmente sulla Masia.
La stagione 1989-90: il quinto della Quinta
Nella stagione 1989-90 Hugo Sanchez, il centravanti messicano Pichichi per 5 volte in 6 stagioni (chiedere al brasiliano dei Colchoneros Baltazar per l’anomalia statistica), realizzò 38 gol in Liga. Di tutti i suoi titoli di capocannoniere, questo è il più famoso. I gol vennero realizzati su rigore, punizione diretta, destro, sinistro o testa, in proverbiale acrobazia. Tutti però avevano una caratteristica comune, dal momento che erano giunti “ad un tocco”. Dove c’era Huguito in area, voleva dire “tac” e palla in rete. La sublimazione del centravanti.
Il Real de La Quinta del Buitre giocava per lui e Sanchez giocava per il gol. I Merengues stravinsero il campionato, appunto il quinto di fila. Ma avrebbero dovuto attendere diversi anni prima di rivedere il proprio nome sul trono di Spagna.
Nella stagione successiva, perdendo contro lo Spartak Mosca in Coppa Campioni, qualcosa si ruppe forse definitivamente. E fu il Barcelona di Cruijff ad approfittarne. Quattro titoli di Liga consecutivi con tanto di doblete e prima Coppa Campioni della storia blaugrana, nella famosa finale di Wembley del 1991-92 vinta contro la Sampdoria.
Solo un Milan all’apice del suo ciclo vincente fu capace di goleare il Barça nella finale di Coppa Campioni del 1994, con il regno culé che volgeva alla fine in Liga. In quella stagione Romario e compagni avevano inflitto un sonoro 5-0 al Real. Ma nel campionato successivo il Real restituì il saluto, anche grazie ad una clamorosa tripletta di Iván Zamorano, bomber cileno che avremmo visto volentieri in Italia a Milano, sponda nerazzurra, condividere il rettangolo verde con gente come Ronaldo Fenomeno e Roberto Baggio.
Sembra evidente, ed è un pessimo segnale per il Real di Ancelotti, come il declino (pur sempre momentaneo) di uno dei due club corrisponda sempre ad una goleada da parte degli avversari.
Senza contare come il Barça di Guardiola abbia più volte rubato l’anima dei madridisti. Sonore batoste, come il 2-6 del 2 maggio 2009, a ridosso della conquista della terza Champions League del Barça. E il 5-0 del Camp Nou del 29 novembre 2010. Anni in cui il Real aveva grosse difficoltà ad affrontare i catalani, i quali ottennero 5 vittorie di fila, sei su 7 contando un pareggio, fra il 2008 e il 2012.
L’ultimo Clásico: il trionfo di Xavi che può anticipare il cambiamento
Lo 0-4 con cui il Barça di Xavi ha spezzato la maledizione delle 4 sconfitte di fila nel Clásico in Liga, 5 contando la Supercoppa di Spagna 2022, a prescindere dall’assenza di Benzema e dal netto ritardo in classifica dei blaugrana, è il più classico degli statement game: “siamo tornati”, sembra recitare il risultato. La vittoria per 4-2 contro l’Atletico a febbraio e le frequenti quaterne in giro per la penisola iberica, nonché in Europa League a Napoli, avrebbero dovuto mettere in allarme la difesa madridista. La quale, invece, si è aperta centralmente come il Mar Rosso, lasciando gli avanti blaugrana ripetutamente soli davanti a Courtois. Mai visto tanti buchi di Alaba e Militão in una singola partita.
Il passivo avrebbe potuto essere ancora più pesante non fosse stato per il portiere belga e per la mira non sempre precisa del solito Ferrán. Xavi ha avuto la capacità di cambiare le carte in tavola, attingendo dal mercato e ovviando alla partenza di un Messi che, ormai, sembra avere in testa solo la Selección con vista Qatar 2022. Viste le magre figure in Champions e in Ligue1, campionato che i parigini vinceranno in pantofole ma prendendo scoppole umilianti come a Monaco e Nantes.
Come dimostra l’acquisto di Aubameyang, preso a zero dopo essere stato rilasciato dall’Arsenal. E come lascia intendere la rinascita di Dembelé, fuori dal progetto non più tardi di un mese fa, e oggi decisivo. Chiedere a Nacho per il numero di targa dell’ala francese, considerato prima dell’arrivo di Xavi il peggior acquisto della storia del Barça per rapporto rendimento/prezzo (120 mln per strapparlo al Borussia Dortmund, un po’ come Coutinho quando venne prelevato dal Liverpool).
Se il Real Madrid dopo aver eliminato il PSG può ancora sperare di rivincere la Champions (prossimo turno contro il Chelsea), il Barça, dopo la fallimentare gestione Koeman, dovrà accontentarsi di puntare all’Europa League. Competizione UEFA che non ha mai vinto.
A giudicare dall’ultima gara, e non è un caso, i catalani avrebbero potuto dire tranquillamente la loro dagli ottavi di Champions in poi. Sarà invece il Benfica, che insieme al Bayern aveva brillantemente superato il girone, a proseguire il cammino nell’Europa che conta dopo aver eliminato l’Ajax.
Perché se è vero come è vero che la storia conta, è altrettanto condivisibile l’idea seconda la quale la storia stessa possa cambiare. Che sia mutevole.
E il vento del cambiamento di Xavi somiglia molto ad un’epoca della restaurazione. Ancelotti ha ironicamente dichiarato, quando gli hanno chiesto come si potrebbe perdere un campionato con 10 punti di vantaggio, che lui sa come ha perso una finale di Champions League 3 gol avanti.
Nel 1990 gli Scorpions cantavano “Wind of change”, mentre l’Unione Sovietica si apriva al mondo disgregandosi. Oggi la Russia, col sangue del popolo ucraino, sembra voler rinverdire vecchi e dolorosi periodi della storia. Mentre noi possiamo solo sperare nel rapido sopraggiungere di una pace duratura.
Per fortuna nel calcio, restaurazioni e rivoluzioni non hanno bisogno del sangue degli uomini per essere messe in atto. Il vento del cambiamento è tornato a soffiare in Europa, in direzione uguale e contraria a quello di 32 anni fa. Dalle capriole di Hugo Sanchez a quelle di Aubameyang. Un po’ come quegli anni di Barça e Real. Questa è la legge del Clásico.
Immagine di copertina: Eurosport