Lo spirito di Juanito e l’arte della remontada

Lo spirito di Juanito e l’arte della remontada

Marzo 30, 2022 0 Di Juri Gobbini

La storia dello spirito di Juanito e della leggenda del Real Madrid, a firma di Juri Gobbini, autore della pagina Facebook Storia del Calcio Spagnolo e del libro “La Quinta del Buitre”.

 

Trent’anni fa, esattamente nella mattinata del 2 aprile 1992, ci lasciava Juanito, vittima di un incidente stradale. Fisicamente, Juanito non c’è più. Ma la sua anima è ancora presente nel calcio spagnolo, soprattutto dalle parti del Bernabéu, dove sempre si evoca il suo “spirito” quando il Real Madrid necessita di una rimonta epica, di quelle impossibili.

La straordinaria impresa contro il PSG di qualche settimana fa ne è un esempio perfetto. Prima della gara i media spagnoli si erano appellati allo “spirito di Juanito”, mentre dopo l’impresa sono tornati alla carica, evidenziando di come “Noventa minuti en el Bernabéu son molto longos, la frase usata da Juanito per avvertire gli avversari di quello che li avrebbe aspettati a Madrid.

Anche se i principali eroi della serata sono stati Benzema e Modric, la rimonta d’antologia – o “Remontada”, così dicono in Spagna – contro Neymar e soci è stata comunque una specie di battesimo per una generazione di futuri grandi madridisti, come Vinicius, Valverde o Camavinga, che sono stati partecipi di una impresa epica. Prodezze che trent’anni fa erano diventate la norma, il pane quotidiano delle campagne europee dei blancos.

Anche se la prima “remontada” ufficiale è datata 1975 (5-1 casalingo al Derby County dopo la sconfitta 4-1 dell’andata) sono stati gli anni Ottanta quelli dove il mito è diventato leggenda, soprattutto nelle due Coppe UEFA vinte in maniere consecutiva, quelle del 1985 e 1986.

Erano anni in cui il Real Madrid stava vivendo un specie di crisi d’identità, iniziata con la morte di Santiago Bernabéu nel 1978. Da lì in poi il club aveva iniziato una parabola discendente. Non più il rullo compressore che faceva incetta di titoli, bensì un club ordinario che in quattro stagioni vinse appena una Coppa del Re. Era il “Madrid de los Garcia” per via dei cinque Garcia in rosa. E nemmeno le presenze di nazionali spagnoli come Gordillo, Juanito, Camacho, Santillana e Del Bosque, o di uno straniero dal pedigree internazionale come Uli Stielike, erano serviti a riportare il club in auge.

Juanito, all’anagrafe Juan Gomez, era stato l’ultimo acquisto di spessore effettuato da Bernabéu prima della sua morte. Fu prelevato dal Burgos, dove fece faville, prima in Segunda e poi nella Liga. Il suo arrivo nell’élite non fu comunque facile. Dopo aver lasciato la sua Fuengirola – località nei pressi di Malaga – entrò a far parte del vivaio dell’Atletico Madrid, anche se i Colchoneros decisero di disfarsene quando il giovane attaccante si ruppe una gamba in una amichevole contro il Benfica.

Juanito giurò vendetta al club che lo aveva sedotto e abbandonato. E non mancò mai occasione per far notare all’Atletico l’enorme errore commesso, e lo fece difendendo i colori degli eterni rivali. Classe e temperamento, fantasia e imprevedibilità, genio e sregolatezza – sia in campo che fuori – Juanito “Maravilla” fu l’anima del Real Madrid e delle nazionale spagnola a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta. Il piccolo andaluso prendeva il fútbol come fosse una corrida: da una parte lui, il torero, e dall’altra l’avversario di turno, il toro da abbattere. Le sue qualità contribuivano poi a tenere alto il livello dello spettacolo, deliziando la platea con tunnel, rabone, tocchetti o colpi di tacco, apparendo spesso come uno sfacciato e presuntuoso, specie agli occhi delle tifoserie rivali.

Era moderno per la epoca” raccontò Santillana, all’anagrafe Carlos Alonso Gonzalez, in un articolo pubblicato nel diario El Pais qualche anno fa. “Oggi sarebbe ugualmente meraviglioso, perché aveva tutte le qualità che servono: velocità, dribbling, fisico, spigliatezza…”

Santillana, a lungo suo compagno in attacco, fu certamente uno di quelli che più beneficiò delle qualità di Juanito, visto l’attaccante cantabrico segnò 290 reti con la maglia del Real Madrid in tutte le competizioni, e una buona parte del bottino fu merito degli assist del compagno.

Juanito, foto dal sito ufficiale del Real Madrid

Ma Juanito non era solo frivolezze in campo per la goduria dei tifosi, anzi. Era uno che prendeva la competizione tremendamente sul serio, e quando non riusciva a vincere, spesso dava di matto. Come a Zurigo nel 1978, quando il Real Madrid venne clamorosamente eliminato dal Grasshoppers in Coppa dei Campioni e Juanito scaricò la sua frustrazione aggredendo la terna arbitrale e beccandosi una squalifica di due anni in Europa.

A metà degli anni Ottanta, il Real Madrid si trovò finalmente in mano un gruppo di giovani con il quale mettere le fondamenta per il futuro. A salire alla ribalta fu la famosa Quinta del Buitre, di cui facevano parte Emilio Butragueño, Míchel, Martin Vazquez, Manolo Sanchis e Miguel Pardeza. L’arrivo in squadra dell’argentino Jorge Valdano e del messicano Hugo Sanchez completò poi il cast di stelle, e toccò alla vecchia guardia a sedersi in panchina.

Malgrado la gioventù al potere, quel Real Madrid era ancora una squadra incostante, con la tremenda abitudine di buscare di brutto in trasferta per poi rifarsi al Bernabéu, dove le squadre ospiti si squagliavano come neve al sole. La tattica madridista era primitiva quanto efficace. La prima rimessa laterale, il primo calcio d’angolo e il primo tiro in porta dovevano essere a loro favore. Gli spagnoli sapevano anche chi e come colpire, con falli, spesso violenti, commessi sugli avversari più talentuosi.

Era in quelle notti che Juanito si esaltava, e sia lui che Santillana furono determinanti a consolidare il mito delle “Remontadas” e del “Miedo Escénico”, espressione che Valdano prese in prestito dallo scrittore colombiano Gabriel García Márquez per spiegare quel curioso fenomeno che colpiva le squadre ospiti. La gare, per i madridisti, iniziavano poi fin dagli spogliatoi. Grida, provocazioni e in alcuni casi minacce e sputi erano soliti fare da preambolo a novanta minuti di fuoco, un vero supplizio per gli avversari. Da qui l’origine della mitica frase detta proprio da Juanito all’indirizzo dei giocatori dell’Inter: “Noventa minuti en el Bernabéu son molto longos”.

Tutto accadde nella semifinale d’andata della Coppa UEFA 1984-85: a San Siro l’Inter si era imposta per 2-0 e i nerazzurri erano già convinti di aver ipotecato la qualificazione. Juanito non fu dello stesso avviso e andò di persona nello spogliatoio avversario a ricordarglielo, pronunciando, in un italiano molto arrangiato, quelle parole destinate a rimanere nella storia.

Il messaggio lasciava pochi dubbi all’interpretazione: a Madrid la musica sarebbe stata del tutto differente. E così fu, con l’Inter battuta 3-0, anche se non mancarono le polemiche per una biglia che centrò in testa Giuseppe Bergomi costringendolo ad uscire. Il Real Madrid vinse la Coppa UEFA in finale contro gli ungheresi Videoton, ma nella successiva stagione il tallone d’Achille delle trasferte continuò far soffrire i blancos.

A fine novembre arrivò l’ennesimo patatrac fuori dalle mura amiche: Borussia Mönchengladbach 5, Real Madrid 1. Il pubblico del Bernabéu, semmai ci fossero stati dei dubbi, abbracciò la causa e la squadra rispose presente: 4-0 e tedeschi a casa. In semifinale toccò di nuovo all’Inter (3-1 a Milano, 5-1 a Madrid) poi nelle finale d’andata il Real demolì a domicilio il Colonia (5-1) rendendo meno difficile il ritorno e alzando a cielo la sua seconda Coppa UEFA.

Anche se poi la Quinta del Buitre avrebbe fallito l’assalto alla Coppa dei Campioni, quegli anni regalarono emozioni incredibili ai tifosi del Real Madrid. L’irregolarità in Europa produsse comunque qualche delusione di troppo e alcune eliminazioni mal digerite. Come quella col Bayern di Monaco nel 1987, quando proprio Juanito perse la testa colpendo con un calcio in faccia Lothar Matthaus, mettendo la parola fine alla propria carriera.

Juanito giocò ancora a Malaga prima di diventare allenatore del Mérida, in Segunda División, e immediatamente si iniziò a speculare su un suo possibile rientro al Bernabéu, stavolta come tecnico. “Il Juanito allenatore era come il giocatore: spavaldo, irresponsabile; e il Mérida era molto simile a Juanito, una squadra votata assolutamente all’attacco,” dichiarò Santiago Cañizares, allora portiere del Mérida, al programma Informe Robinson.

Malgrado i 350 km di distanza, Juanito era sempre rimasto legato a Madrid, recandosi quando poteva nella capitale. Fu così anche la serata del primo aprile 1992, con il Real che affrontò il Torino nella semifinale di Coppa UEFA, con l’ex compagno Rafael Martín Vázquez che per la prima volta faceva rientro al Bernabéu dopo il suo addio.

Il Real si impose 2-1, ma ben presto la gente si sarebbe dimenticata di quel risultato. Nel rientrare a Mérida, l’auto sulla quale viaggiava come passeggero Juanito ebbe un incidente lungo l’A5. Juanito, che si era addormentato durante il tragitto, morì sul colpo. La sua scomparsa commosse tutto il mondo del calcio spagnolo, ciò nonostante, la sua leggenda è diventata una specie di Sacro Graal contenente l’essenza del madridismo, una coscienza esoterica rimasta intatta nel tempo e tramandata di generazione in generazione. Anche oggi, infatti, al minuto sette di ogni gara interna dalle tribune del Bernabéu parte il coro “Illa, Illa, Illa, Juanito maravilla…” mentre quando al Real serve una rimonta in campo europeo, si invoca inevitabilmente lo “Spirito di Juanito”. È proprio vero: i miti non muoiono mai, ma vivono per sempre nella leggenda.

 

Testo di Juri Gobbini, autore della pagina Facebook Storia del Calcio Spagnolo e del libro “La Quinta del Buitre”.

Immagine di copertina: pinterest