Il calcio ai tempi di Freddy Rincon

Il calcio ai tempi di Freddy Rincon

Aprile 20, 2022 0 Di Luca Sisto

Avete presente la fidanzatina, o il fidanzatino, a cui in una calda estate, quando avevate, che so, 12-13 anni, avete dato il primo bacio? Ricordate le sensazioni? Quella leggerezza, quella passione e quell’emozione fugace ma piena. Non me ne voglia mia moglie, che conosco da 16 anni, ma tutti più o meno ricordiamo la volta in cui abbiamo dato il primo bacio ed eravamo dei ragazzini spensierati. In buona sostanza, dei bambini.

E io ricordo le stesse sensazioni quando ho cominciato ad andare allo stadio. Sono certo che molti di voi le ricorderanno altrettanto. E mi ricordo di Freddy Rincon, un settembre, giorno 4, del 1994. Era l’acquisto di un Napoli che si affacciava alla Coppa Uefa dopo la splendida stagione targata Lippi, 1993-94, la prima che aveva seguito, saltuariamente, al San Paolo. Napoli-Reggiana 5-0 del 1993 era stata la mia prima partita nel tempio di Fuorigrotta. E così, la squadra emiliana, che si era rocambolescamente salvata in quella stagione, doveva essere la “vittima sacrificale” dell’esordio casalingo degli azzurri sponsorizzati Record Cucine, del nuovo allenatore Guerini, nel 1994-95. 

Quella domenica sarà ricordata per la prima perla in carriera di Francesco Totti. Contro il Foggia, l’assist di testa lo fece Daniel Fonseca, acquistato dal Napoli, il mio primo idolo da stadio insieme a Pino Taglialatela. Finì 1-1, perché al gol del futuro Capitano risposero i satanelli con un altro pezzo di nostalgia degli anni ’90, Igor Kolyvanov. Un personaggio talmente sui generis, che nel parco dove giocavamo a pallone dietro casa, un ragazzino biondo veniva chiamato proprio come lui, Kolyvanov.

La partita con la Reggiana invece, quella giornata di fine estate, non si sbloccava. Rincon veniva dai Mondiali di USA ’94, che come sempre nella rassegna iridata erano stati maledetti per i Cafeteros. Di Mondiali, Freddy, ne avrebbe giocati tre, l’ultimo nel ’98. A Italia ’90 segnò il suo unico gol su visione di Valderrama, contro la Germania che avrebbe sollevato la Coppa, rispondendo a Littbarski, al termine di un’azione in perfetto stile Colombia di Maturana. Quella rete valse gli ottavi di finale proprio al San Paolo contro la sorpresa Camerun.

Una partita che, rivedendola, mi fece innamorare dei Leoni Indomabili, con Roger Milla che rubò palla a Higuita ai supplementari ed eliminò i colombiani. Delusioni a non finire, per una nazionale che a USA ’94 era arrivata in carrozza, asfaltando l’Argentina al Monumental per 5-0, nel partido della “verguenza”, in cui Rincon fece due gol e risultò imprendibile. Tanto che l’Albiceleste fu costretta per i playoff contro l’Australia a richiamare Maradona a furor di popolo, con l’iniziale beneplacito della FIFA, che di biglietti in America ne aveva venduti pochi.

La Colombia a USA ’94 è una storia che abbiamo raccontato. Una storia triste, come tragica fu la fine del suo capitano.

Contro la Reggiana la Curva B aveva cominciato a sperimentare un coro piuttosto blasfemo. Rincon vagava per il campo come un’anima in pena. El Coloso non aveva ancora compreso dove si trovasse. Fu a pochi secondi dal triplice fischio dell’arbitro che, “prima Maradona, poi Gianfranco Zola e poi…” Benito Carbone la mise dentro con un’azione personale fantastica, tale da giustificare un tale entusiasmo delle sempre infuocate curve napoletane. Tempi lontani dallo “stadio teatro” di oggi, quando i posti assegnati erano chimera e un ragazzino di 9 anni in Curva poteva andarci solo con una bella dose di “scugnizzeria”. Preferibilmente in braccio ad un familiare stretto maggiorenne.

Fu quello l’unico acuto della gestione Guerini. Al capezzale di un Napoli distratto dalle trasferte in Coppa Uefa venne chiamato presto Vujadin Boskov, e la musica cambiò anche per Freddy Rincon. Il colombiano aveva realizzato già una doppietta nel pirotecnico 3-3 casalingo contro il Padova. Ma la sua collocazione tattica risultava sempre piuttosto complessa. Unitamente alla scarsa vena per la fase difensiva, Rincon era sembrato un oggetto misterioso, nonostante fosse di gran lunga il giocatore dotato di maggior talento della squadra.

Oltre alla tecnica, a quanto pare, Rincon abbinava una certa dose di simpatia. Quando il Napoli volò a Riga, in Lettonia, per chiudere la pratica Skonto, il colombiano festeggiò in albergo il passaggio del turno insieme ai compagni, presentandosi in stanza, come testimoniato di recente da Pino Taglialatela, con una parrucca bionda e ballando tutta la notte. I compagni di squadra ancora ridono al pensiero. In sostanza, se la posizione in campo era indefinibile, la sua presenza all’interno del gruppo si faceva assolutamente notare. Rincon era uno a cui si voleva bene. E questo l’avrebbe aiutato. I vari cori forgiati per lui dalla Curva sulle note della sigla dei Flinstones o di ‘Livin’ on my own’ di Freddie Mercury, sono memorie che restano. Almeno quanto il sogno Uefa spezzato in casa contro l’Eintracht Francoforte.

Nella sua unica stagione partenopea, che gli valse un contratto con il Real Madrid, dove non brillò, Freddy Rincon realizzò 7 reti in serie A. Tre di queste sono entrate nei miei ricordi d’infanzia, come un bacio d’estate alla ragazzina più bella della comitiva.

Anzitutto, Napoli-Cremonese 1-0. Quella partita fu la prima che vidi in pay per view, a casa del marito di mia cugina. Fu la gara in cui Taglialatela fece la miracolosa parata togliendo la palla dalla linea di porta, dopo un tacco di Florjancic della Cremo che aveva colpito il palo della porta napoletana. Rincon segnò un gol fondamentalmente stupido, approfittando di una dormita colossale della difesa grigiorossa. Glauco mancò il pallone sul lancio di Bia. Il Condor Agostini colse il palo e Freddy ribadì a porta vuota, osservando il pallone che rimbalzata verso di lui come per incanto.

In secondo luogo, il colombiano realizzò una doppietta in quella che è una delle rimonte più emozionanti al San Paolo del Napoli di metà anni novanta. Un 3-2 alla Lazio di Zeman in cui, sullo 0-2 a firma Casiraghi, la curva si era dedicata più a rimproverare la madre del bomber laziale che alla partita. Freddy Rincon segnò dapprima di testa in tuffo. Poi con una splendida girata in area. Carbone si fece parare un rigore inesistente da Marchegiani. Ma fu Renato Buso, stantuffo e incursore di fascia di quel Napoli, a realizzare il gol decisivo che fece esplodere Fuorigrotta in un boato che non si udiva da tempo. E i sismografi si rimisero in moto.

Il Napoli finì in crescendo, ma la vittoria dell’Inter a Padova nell’ultima giornata privò gli azzurri di una qualificazione Uefa che, debiti alla mano, portò prima ad un ridimensionamento del club di Ferlaino, e successivamente agli anni bui culminati con due retrocessioni e il fallimento.

Rincon, Madrid a parte, avrebbe vissuto altri successi in Brasile, al Corinthians. Dove pure al Mondiale per club incontrò di nuovo i campioni di Spagna sulla strada per la vittoria finale del torneo. La sua scomparsa in un incidente stradale avrebbe potuto lasciare me e i suoi tifosi indifferenti, D’altronde, sono passati tanti anni da quando ha calcato i campi di calcio per l’ultima volta. Per non menzionare qualche piccolo guaio con la legge.

Al contrario, ho sentito come se un pezzo della mia infanzia fosse volato via con lui. Molte volte, crescendo, ci capiterà di perdere un pezzettino di ciò che eravamo. Un familiare, un amico, un idolo sportivo o musicale. E la sensazione di quel primo bacio estivo, oggi, è sempre più lontana.

Ma i brividi ai gol di Freddy Rincon al San Paolo li sento ancora scorrere lungo il petto.

 

Immagine di copertina tratta dall’account Twitter “Everything Napoli”.