Adrian Doherty, forever young

Adrian Doherty, forever young

Maggio 1, 2022 0 Di Juri Gobbini

Alex Ferguson, seduto nel suo ufficio, non poteva credere a quello che aveva appena ascoltato. Il ragazzino seduto di fronte a lui aveva rifiutato un contratto di cinque anni, il più lungo mai offerto allora a un membro delle giovanili del Manchester United.

“Un anno, forse due”, era stata la vaga riposta, anche se Ferguson riuscì poi a convincerlo a firmare per tre stagioni. Era l’estate del 1990. Lo United non si era ancora convertito in un club capace di dominare il calcio inglese e competere in quello Europeo, ma nella testa di Ferguson l’idea di investire nel vivaio era già ben presente. Un anno dopo sarebbero entrati nell’Academy dei Red Devils i vari Paul Scholes, i fratelli Neville, David Beckham e Nicky Butt, ma in squadra c’erano già dei talenti pronti in rampa di lancio, fra cui due esterni offensivi tremendamente dotati.

Sulla sinistra tale Ryan Wilson, che pochi mesi più tardi avrebbe adottato il nome materno con cui è tuttora conosciuto: Giggs. Sulla destra, invece, un ragazzino nordirlandese dotato di uno scatto fulminante, grande tecnica e dribbling: Adrian Doherty, colui che aveva rifiutato il sopracitato contratto faraonico in quanto non “troppo sicuro che in cinque anni avrebbe voluto continuare a fare il calciatore”.

Nordirlandese di Strabane, piccola città di confine non troppo distante da Londonderry – o Derry, come la chiamano i nazionalisti di predominanza cattolica – Doherty era cresciuto in un periodo storico abbastanza delicato, visto che quelle zone furono fra le più colpite dai Troubles, gli scontri fra nazionalisti e unionisti che macchiarono di sangue l’Irlanda del Nord. Tuttavia, questo non gli aveva impedito di coltivare la passione del calcio, attirando le attenzioni degli addetti ai lavori, tanto che nell’ambiente lo si considerava “il più grande talento locale dai tempi di George Best”.

Quella che oggi può sembrare una esagerazione, ai tempi fu invece una folgorazione per chi lo invitò a provare: prima il Nottingham Forest di Brian Clough, poi l’Arsenal, infine il Manchester United. Teoricamente l’Arsenal aveva chiuso l’affare, ma il fatto che l’intera famiglia Doherty era tifosa dello United permise ai Red Devils di sorpassare i Gunners.

Doherty fu invitato a Manchester per un provino, e assieme a lui viaggiò anche Brendan Rodgers – attuale tecnico del Leicester- promettente centrocampista la cui carriera da calciatore professionista mai decollò per via di un malformazione al ginocchio.

Rodgers venne scartato, ma Ferguson e il suo staff furono impressionati dalla performance di Doherty, e fu lo stesso manager scozzese a telefonare alla famiglia, per confermare l’acquisto, come si usava fare in quegli anni.

Gli inizi a The Cliffs, l’allora centro di allenamenti dello United, non furono comunque semplici per Doherty, soprannominato Doc dai suoi compagni. Passare dalla piccola Strabane a una città gigantesca e caotica fu un grosso step, così come quello di allontanarsi dalla famiglia. Vivere nella residenza, seguire le regole imposte dal club, iniziare a pensare da adulto a soli 16 anni, una età dove non si è né uomini né bambini.

Per ammazzare il tempo e vincere la solitudine, Doherty si comprò una chitarra e cominciò a suonare, di solito facendo cover del suo idolo Bob Dylan o cercando di comporre pezzi propri. Tanto bizzarro e introverso fuori dal campo, tanto talentuoso ed estroverso dentro il rettangolo verde, Doherty sembrava un pesce fuor d’acqua in un ambiente materialista come quello del calcio. Spettinato, con i vestiti sgualciti e le scarpe consumate – se non rotte del tutto- non era raro vederlo suonare la chitarra nel centro di Manchester, davanti a lui un cestino o un cappello per le offerte, la gente ignara che quel ragazzino fosse una delle più grandi promesse dei Red Devils.

Seduto sui marciapiedi di Manchester, Doherty era un sedicenne qualunque, che si godeva l’anonimato, anche se con il passare del tempo la sua faccia divenne sempre più nota, soprattutto a chi seguiva le giovanili dello United. Doherty a destra con la 7, Giggs a sinistra con la 11, i due erano diventati gli incubi degli avversari e fra loro iniziò una specie di testa-a-testa per capire chi avrebbe debuttato per primo con i grandi. In alcuni momenti Giggs pareva in vantaggio, poi sembrava il momento di Doc, e così via.

Lo United di Adrian Doherty e Ryan Giggs (foto Guardian)

Doherty scalò tanto le gerarchie che a 16 anni fu persino convocato in prima squadra per una trasferta a Southampton, dove però andò solo in tribuna, visto all’epoca si potevano portare solo due giocatori in panchina. In più, Ferguson non si poteva permettere di fare esperimenti, visto che la squadra navigava in una brutta situazione di classifica e la sua panchina in serio pericolo.

Avesse debuttato, Doherty sarebbe stato il secondo giocatore più giovane a vestire la maglia del Manchester United, solo dietro a Duncan Edwards, mitico giocatore dei Busby Babes con cui condividerà invece un tragico destino. Il nordirlandese si accontentò però di incassare il premio vittoria, e con i soldi ricevuti decise di comprarsi una macchina da scrivere, iniziando così a comporre racconti e poesie, nonché testi per le sue canzoni.

Analizzando il Manchester United di allora, tutto faceva pensare che Doherty avesse addirittura più chance di Giggs di avere un impatto immediato, visto che in prima squadra il ruolo di ala sinistra era stato affidato a Lee Sharpe, talentuoso mancino di soli 20 anni, mentre il posto di ala destra sembrava al momento vacante con Russel Beardsmore e Danny Wallace ad alternarsi in quella posizione.

Giggs però, al contrario di Doherty, non ci pensò due volte nel firmare un contratto per cinque anni, anche se il gallese iniziò la stagione 1990-91 con la squadra U18, mentre Doherty era già stato promosso nelle Riserve. Il nordirlandese iniziò a cimentarsi a un calcio diverso, visto che nelle Riserve non solo vi erano giovani in rampa di lancio ma anche vecchi mestieranti o giocatori professionisti in cerca di minutaggio per recuperare la forma fisica. Gente che faceva sentire ai ragazzini la propria presenza, sempre se riuscissero a prenderli, come successe al veterano Alan Hansen, leggenda del Liverpool, che fu ridicolizzato da Doherty in un incontro Riserve terminato 5-1 in favore dei Red Devils.

Convocato nuovamente da Ferguson nel gennaio del 1991 per la gara contro il QPR, per Doherty il conto alla rovescia che lo separava dal debutto pareva prossimo a terminare. Invece, il 2 marzo 1991 contro l’Everton, furono i suoi compagni Darren Ferguson (figlio del tecnico dello United) e Giggs ad esordire in prima squadra, in un incontro che Doherty vide rannicchiato in tribuna, con il ginocchio destro dolorante.

Tutto era accaduto una settimana prima in un incontro riserve contro il Carlisle. Un contrasto fortuito, e il ginocchio aveva ceduto di schianto. Immediatamente la situazione era apparsa grave, ma, nonostante i sospetti di una rottura dei legamenti, nessuno si prese la briga di fare una diagnosi precisa e fornire una soluzione al problema.

Erano anni in cui la chirurgia relativa ai legamenti delle ginocchia era abbastanza arretrata- se paragonata con gli standard attuali- e anche gli staff medici delle squadre erano in un certo modo sottodimensionati. Niente a vedere con la schiera di specialisti di cui i club dispongono oggi giorno.

Si tendeva infatti a considerare l’operazione come l’ultima carta da giocare, e non come prassi per permettere a un giovane calciatore di rimettersi in piedi e continuare ad inseguire i propri sogni.

Doherty, infatti, iniziò una lunga riabilitazione che non lo portò da nessuna parte, visto che appena provò a tornare in campo il ginocchio cedette di nuovo. Nuove sessioni in palestra, nuovi tentativi, nuove ricadute. Solo nell’estate del 1991 fu fatta la risonanza, e solo nel febbraio 1992, quasi a distanza di un anno dall’infortunio, Doherty venne operato a Belfast quando oramai sembrava chiaro che la fisioterapia da sola non sarebbe servita a nulla.

Lontano dai campi, Doc trovò sempre di più rifugio nella musica e nei poemi, e nell’estate 1992 decise di staccare la spina e si concesse una vacanza negli Stati Uniti, a New York. Assieme a un amico si dilettò a suonare per strada, nei pub e proporre la propria musica in alcuni studi di registrazione, andando persino vicino ad ottenere un contratto discografico.

A Manchester, nel frattempo, le cose erano cambiate e molto. Giggs era diventato una superstar, mentre nel ruolo di ala destra era stato acquistato il russo Andrey Kanchelskis. Soprattutto, era esplosa la “Classe del 92”, ovvero la squadra che aveva vinto la FA Youth Cup nel maggio di quell’anno, compagine capitanata da Giggs e composta da Beckham, Gary Neville, Butt, Robbie Savage e Keith Gillespie. Senza poi contare Phil Neville e Scholes presenti nella covata immediatamente successiva. Apparve subito chiaro che il treno verso la gloria fosse passato lasciando Doherty a terra.

Una carriera terminata prima ancora di cominciare (foto Irish News)

Doc rientrò in campo nel gennaio 1993, ma le poche gare giocate sul finale di stagione non servirono certo a far cambiare idea al Manchester United, che decise di fare a meno di lui, proprio al termine del terzo anno di quel famoso contratto che aveva colto di sorpresa Ferguson. Una scelta dura e cruda dal parte del club e anche poco sensibile, se vogliamo essere onesti, visto che il Manchester United ebbe le sue grosse responsabilità nel sottovalutare l’entità dell’infortunio.

Con l’uscita da Manchester, Doherty si trovò a un bivio: da un lato l’esigenza di rifarsi una vita “normale”, dall’altra l’amarezza per vedere il proprio sogno infranto. Ebbe pure un timido tentativo di rientrare in campo, giocando qualche gara con il Derry City, una scelta motivata più da questioni sentimentali – il padre Jimmy aveva giocato con il club negli anni ’60 – che per reale convinzione di poter ricostruirsi una carriera, comunque.

Il ginocchio malandato gli impediva di eseguire i movimenti e le giocate che in precedenza gli riuscivano con naturalezza. Alla fine si convinse che continuare così non avrebbe avuto senso. Il calcio avrebbe dovuto essere un divertimento e non una sofferenza. Meglio chiudere del tutto il capitolo.

Appese le scarpette al chiodo, Doherty sparì completamente dalla mappa del football britannico, godendosi l’anonimato e vivendo senza troppi progetti futuri. A Preston lavorò in una fabbrica di cioccolato, a Galway prima in un hotel e poi in un panificio, sempre accompagnato dall’inseparabile chitarra. Chissà, forse sarebbe stato facile usare l’esperienza di Manchester e della sua mancata carriera da calciatore come biglietto da visita per farsi giudicare meglio dagli altri, ma Doherty aveva messo quel periodo nel cassetto dei ricordi e lì sarebbe dovuto rimanere. Nessun rimpianto.

Un ragazzo particolare, a volte introverso e bizzarro, ma anche estroverso e spontaneo. Un ragazzo d’oro, comunque, che si faceva immediatamente voler bene da tutti. Su questo sono d’accordo le persone che lo hanno conosciuto che hanno donato la propria testimonianza a Oliver Kay per il suo magnifico libro Forever Young: The Story of Adrian Doherty, Football’s Lost Genius. Alcuni di loro completamente ignari poi del suo passato calcistico.

Sembrava che Doc stesse vivendo la propria vita felice lontano dai campi, quando il destino, sotto forma di tragedia, si scontrò di nuovo con lui: una mattina di maggio del 2000 venne tirato fuori privo di sensi da un canale dell’Aia, in Olanda, e ricoverato per oltre un mese in ospedale, con le speranze di vita ridotte praticamente al lumicino. Inizialmente risultò difficile anche il riconoscimento del corpo, e solo grazie alla cicatrice al maledetto ginocchio, ricordo dell’operazione, fu possibile identificarlo.

In assenza di testimoni, le cause dell’incidente non sono state mai chiarite del tutto: nel suo corpo non risultarono presenti droghe né particolari tracce di alcool, mentre non vi erano nemmeno segni di violenza. Sembrerebbe che Doherty si stesse recando alla stazione per tornare in treno a Warmond, dove si era trasferito da qualche settimana per lavorare in un mobilificio, e tutto farebbe pensare a un banale incidente trasformato in tragedia dal fatto che non sapesse nuotare.

Doherty rimase in coma per oltre un mese prima di morire il 9 giugno 2000. Il giorno dopo avrebbe compiuto ventisette anni. Il 12 giugno, a Eindhoven, l’Inghilterra avrebbe invece esordito nell’Europeo con i suoi ex compagni Beckham, i fratelli Neville e Scholes tutti in campo. Il Derry Journal dedicò un articolo alla scomparsa di Doherty, mentre nella stampa inglese non vi fu traccia, ad eccezion fatta di un paio di righe apparse sul Sunday Mirror.

“Io sulla sinistra, lui sulla destra. Eravamo molto simili” – raccontò Giggs alla BBC qualche anno fa nell’ambito di un reportage su Doherty – “Un fulmine, veloce, scattante. Un brillante talento con il quale fu un piacere giocare assieme: era uno di quei giocatori che li osservavi fare qualcosa in allenamento e immediatamente non credevi di quello che avevi appena visto.”

Anche Gary Neville è dello stesso avviso (“un talento fuori dal mondo”), mentre Tony Park, memoria storica delle giovanili dei Red Devils e autore di Sons of United: A Chronicle of the Manchester United Youth Team, lo descrive come Giggs, Kanchelskis and Cristiano Ronaldo fusi assieme in un solo giocatore. Ovviamente è facile sorridere davanti a paragoni del genere, ma quello che dice Park ci fa capire del grandissimo potenziale a disposizione: Doherty aveva tutte le carte in regola per sfondare.

Esistono numerosi casi di giocatori considerati dei fenomeni che però non hanno mai giocato ad alti livelli. L’esempio perfetto è quello del Tomás Felipe Carlovich “El Trinche”, talento rosarino divenuto divinità calcistica grazie ai racconti, un personaggio oggetto di venerazione da parte degli appassionati, non solo argentini. Anche nel caso di Doherty – la cui carriera non è praticamente nemmeno iniziata – il ricordo delle sue abilità è presente nella memoria e nei racconti di chi lo ha visto dal vivo.

Curiosamente, in rete sono presenti poche foto e appena un paio di video di Doherty. Il primo, di quando aveva 12-13 anni, riguarda alcune gare giovanili nella sua Irlanda del Nord, dove già faceva intravedere traccia del proprio talento. L’altro invece lo ritrae mentre esegue All Along the Watchtower di Bob Dylan in un pub della sua Strabane. Forse è giusto così: in entrambi Doherty è felice nel fare quello che meglio gli riusciva.

 

Testo di Juri Gobbini, autore della pagina Facebook Storia del Calcio Spagnolo e del libro “La Quinta del Buitre”.

Immagine di copertina: The42