Lo stregone di Setúbal, la Magica e la maledizione degli “zero tituli”
Maggio 24, 2022“A me non piace la prostituzione intellettuale, a me piace l’onestà intellettuale. Mi sembra che negli ultimi giorni ci sia una grandissima manipolazione intellettuale, un grande lavoro organizzato per cambiare l’opinione pubblica per un mondo che non è il mio. Negli ultimi due giorni non si è parlato della Roma che ha grandissimi giocatori, ma che finirà la stagione con zero tituli…”
Il 3 marzo 2009 José Mourinho, con questo famoso monologo dopo un Roma-Inter 3-3, oltre a deridere il popolo giallorosso, sotto veste di stregone di Setúbal, lanciò la maledizione alla “Magica” degli “zero tituli”.
Difatti, da quando l’allenatore portoghese è sbarcato per la prima volta in Italia, la Roma non ha più sollevato nessun trofeo.
L’ultima coppa risale a maggio 2008 in cui la squadra allenata da Spalletti vinse per 2-1 contro l’Inter di Mancini, con i gol di Mexes e Perrotta. Fantastico il gol del francese con un tiro di controbalzo sul primo palo dopo un calcio d’angolo battuto da Pizarro. Mentre il gol del centrocampista italiano derivò da un contropiede diretto da lui e Giuly e conclusosi con un tiro a porta vuota dopo un assist di Vucinic. Per l’Inter segnò il portoghese Pelé nel finale.
Una maledizione che dura da 14 anni
La Roma, da quel momento, oltre a non aggiungere nulla alla propria bacheca, ha perso due semifinali Europee e nel 2013 si è vista sfuggire la sua decima coppa Italia dai cugini laziali con il famoso Lu71c.
La maledizione dello Special One non ha riguardato solamente i titoli, perché da quando ha lasciato l’Inter in direzione Madrid, dopo il triplete, la Roma ha vissuto grandi cambiamenti.
La storica famiglia Sensi, dopo anni di forte crisi economica, nel 2011 vendette la Roma a Thomas Di Benedetto, ma l’americano durò solamente un anno, anche se la società rimase ugualmente a stelle e strisce con il passaggio al socio James Pallotta.
Dal 2012 è iniziata un’era senza un vero e proprio progetto, la quale ha portato più che altro a prendere scelte di “moda”, rischiose (il cavallo di ritorno Zeman e un allora giovane Luis Enrique), che senza pazienza si sono dimostrate dei buchi nell’acqua.
A poco a poco il rapporto con il presidente bostoniano è andato sempre più scemando, a causa della poca presenza nel bel Paese, ma soprattutto per alcune frasi contro i propri tifosi, definiti “fucking idiots”, o per il trattamento riservato a giocatori storici come Totti e De Rossi.
L’era Friedkin e le nuove fondamenta della Capitale giallorossa
Con il rapporto con i tifosi totalmente rotto Pallotta, poco più di un anno fa, ha ufficializzato la vendita della Roma ad altri suoi connazionali: Dan e Ryan Friekdin.
Questa nuova presidenza, a differenza della precedente, si è dimostrata silenziosa, ma allo stesso tempo vicina alla prima squadra (quasi sempre presenti sia a Trigoria che all’Olimpico) e ultimamente anche alla tifoseria giallorossa (i biglietti per gli abbonati a prezzi resi economici per la semifinale contro il Leicester e quelli della finale di Tirana regalati ai tifosi che erano andati alla trasferta in Norvegia contro il Bodø persa per 6-1).
Dan e Ryan, appena sbarcati nella Capitale, hanno fatto partire un progetto basato “sulla pietra”: le fondamenta di questa nuova avventura si chiamavano José Mourinho.
Nessuno si sarebbe aspettato che l’allenatore, che poco più di dieci anni fa era stato il nemico numero uno e, probabilmente, è stato uno degli allenatori più odiati dalla tifoseria giallorossa, diventasse il nuovo tecnico della Roma.
L’arrivo del portoghese nella Capitale è stato vissuto come l’arrivo di un profeta e ha riportato un entusiasmo che da tanto tempo non si assaporava tra la tifoseria romanista.
Il “progetto Roma” per dimenticare gli “zero tituli”
Mou, grazie alla sua figura, alle sue gesta (le prime: il cellulare con la lupa e girare per Trigoria in vespa) e alle sue parole – “Questo non è il progetto dei Friedkin, non è il progetto di Mourinho, non è il progetto di Tiago Pinto. Questo è il progetto Roma” – è riuscito a riavvicinare i tifosi alla propria squadra.
Lo Special One, dopo un anno pieno di alti e bassi, è riuscito a forgiare una squadra a sua immagine e somiglianza con tanto lavoro psicologico e tanto bastone (“Voglio sapere perché da due anni vi mostrate piccoli contro le grandi… Siete gente senza palle. La cosa peggiore per un uomo!”) e carota (“Grande vittoria, merito dei ragazzi… Abbiamo avuto controllo emozionale”).
Contro il Feyenoord a Tirana José vuole sollevare il suo quinto trofeo Europeo, quella Conference League, alla prima edizione, che definisce “la finale più importante perché è quella che devo ancora giocare”. E ha ragione perché a Roma un titolo internazionale manca da 61 anni (la fu Coppa delle Fiere) e il popolo giallorosso vorrà anche far sparire quella maledizione di “zero títuli” che proprio lo stregone di Setúbal inviò alla Magica. Una maledizione che ha attraversato una finale di Coppa Campioni persa all’Olimpico contro il Liverpool. E una di Coppa Uefa nel derby italiano contro l’Inter. Proprio Mourinho, che di Champions League in bacheca ne ha due e che ha vinto col Porto anche la Coppa Uefa, diventerebbe, come è ovvio che sia, il primo allenatore in grado di vincere tutti i trofei europei per club ancora in “circolazione”.
Testo di Philip Supertramp, redattore per F&L e autore della pagina Facebook Serie A vs La Liga
Immagine di copertina: Corriere dello Sport