Diego Maradona, il tifoso e una giacca molto speciale
Giugno 6, 2022Siamo nel bel mezzo del ‘900, con più precisione nel 1955. L’anno si apre così. Il 7 gennaio, Marian Anderson, tra le più celebri cantati d’opera del secolo scorso, è la prima persona di colore ad esibirsi al Metropolitan Opera di New York. Al di qua dell’oceano, in Inghilterra, Winston Churchill si dimette da Primo ministro del Regno Unito. Questo poco dopo il suo ultimo discorso alla Camera dei Comuni, quello in cui aveva annunciato l’avvio della costruzione della bomba all’idrogeno, esprimendo al contempo inquietudine di fronte alla prospettiva di una guerra atomica.
Storie di ieri che si intrecciano purtroppo col presente. In Svizzera, al salone di Ginevra, viene presentata al pubblico la prima Fiat 600. Mentre a Roma, al quarto scrutinio, viene eletto il terzo presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi. Poco poco più a sud, a Napoli, proprio in quei giorni nasce un uomo. La sua storia non è di certo quella di Churchill, Gronchi o della Anderson. Il suo mito, tantomeno, può essere avvicinato a quello di un’auto senza tempo quale la 600.
Premessa: le origini di un tifoso speciale
Ma la storia di ogni uomo, di ogni donna, conta. Sempre.
Specie a footballandlife. A maggior ragione quando la storia del nostro protagonista si va ad intrecciare con quella del semidio, anche senza semi con tutto il rispetto dei credenti, Diego Armando Maradona. Un nome che solo pronunciarlo è leggenda. Un nome che dà i brividi, che riecheggia, come se fosse accompagnato dall’eco. Tra l’uomo ed il mito, come ad l’eroe Achille decantato da Omero. Ma prima, permetteteci una digressione. Anche perché le strade del nostro protagonista, Alberto, e quella di Diego, si intrecceranno solo nel 1984, dunque ben 29 anni dopo. Poco dopo il primo vagito del nostro Alberto, il Napoli di mister Monzeglio, che aveva riportato in A il club proprio nel ’50, termina il suo campionato al sesto posto.
È il Napoli di Pesaola, Jeppson, Vinicio. È un Napoli che ci prova, ma che non va oltre il quarto posto del ’58. Nel 1959 viene inaugurato lo stadio San Paolo nel quartiere di Fuorigrotta. La famiglia di Alberto ha l’azzurro Napoli che scorre nel sangue ed è un habitué del San Paolo, con mamma e papà sempre con abiti elegantissimi sugli spalti a sostenere gli azzurri.
Alberto non può che appassionarsi a quei colori, con il San Paolo che diventa la sua seconda casa, e il calcio la sua vita. Nel ’61 gli azzurri guidati da Pesaola scendono in B, ma risalgono ben presto, ed addirittura vincono la Coppa Italia, diventando al tempo l’unica squadra insieme al Vado a vincere il trofeo militando in seconda serie.
È il primo trofeo vissuto da Alberto, ma il meglio deve ancora venire. Con la vittoria in Coppa Italia il Napoli esordisce in Europa non andando però oltre i quarti di finale nella Coppe delle Coppe. Nel ’64 il club azzurro diventa Società Sportiva Calcio Napoli, con Fiore nuovo presidente. Il club che era ritornato in B, ora si riaffaccia alla Serie A. Altafini, Zoff e Sivori, i grandi campioni di quei tempi in maglia azzurra. Alberto ora ha circa 13 anni, a Soccavo, dove abita, le partite per strada con i compagni di quartiere sono cose di tutti i giorni. Con qualcuno che immagina di segnare in grande stile come José, mentre qualcun altro di parare l’impossibile come Dino.
Nel ’68 il Napoli sfiora il primo scudetto della sua storia, terminando secondo in classifica. L’appuntamento con quell’indimenticabile trionfo è rimandato. I tempi non sono ancora maturi, a Napoli è arrivato San Paolo, ma non ancora dio Diego. Quest’ultimo, che aveva appena 8 anni ed incantava in argentina con la maglia dell‘Estrella Roja, poco prima di entrera nelle Cebollitas. Mentre nel Sud Italia si sognava lo scudetto, in Sud America Diego sognava di diventare campione del mondo con la sua Argentina.
Un sogno per due
Non sapeva ancora che il suo sogno ed il sogno di Alberto e tutta quella gente a migliaia di km di distanza, sarebbero diventati realtà. Non sapeva che proprio lui, il piccolo ed umile Diego, li avrebbe resi realtà. La macchina del tempo corre inesorabilmente e ci porta agli anni ’70. Il Napoli è ormai in pianta stabile in Serie A. Nel ’74-’75 si avvicina ancora allo scudetto, ma alla fine è ancora una volta secondo posto. L’anno successivo gli azzurri si rifanno con la vittoria della seconda Coppa Italia della loro storia. Tutto questo dopo che nel ’69 il club ormai in dissesto finanziario era passato nelle mani dell’ingegner Ferlaino.
Quest’ultimo dà così il via all’era più longeva e vincente della storia del club. Ora la società azzurra è molto più solida, nella città delle contraddizioni eterne, il Napoli diventa appiglio per tutta la gente del posto che riempie lo stadio, estasiata dal Napoli di Mister Vinicio. Quando tutto va male ci sono gli azzurri a strappare un momento di felicità. Nel frattempo Alberto è ormai un uomo adulto che non smette di seguire la squadra allo stadio. Cambia diversi lavori, ma oltre al calcio, come il papà, ha un’altra passione. Quella per i Pullman.
Quelli che erano gli eroi da sostenere la domenica dagli spalti, ora sono i passeggeri da accompagnare al campo di Fuorigrotta, o al centro Paradiso di Soccavo, proprio nei pressi dell’abitazione di Alberto. Il fortissimo difensore olandese Krol non è più un atleta da ammirare in campo, bensì un compagno di viaggio, da osservare quotidianamente in allenamento. Sono appena cominciati gli anni ’80, l’incontro con Diego è ormai imminente.
Estate 1984: l’incontro con Diego
È l’estate del 1984 a Napoli. Giugno è più rovente del solito, in città c’è la febbre per Maradona, stella del Barcellona e del calcio mondiale. “Arriva, vedi che arriva”. “Non accadrà mai”, secondo qualcun altro. Tutti ci sperano, in pochi ci credono veramente. Col passare dei giorni c’è qualcuno in più a crederci. Alberto sogna di averlo accanto nel bus, proprio come Krol. Il fenomeno Diego, da vedere in carne ed ossa ogni giorno, con la maglia del proprio club del cuore. Più che un sogno di mezz’estate per dirla alla Shakespeare, è una preghiera gridata al cielo.
La sera prima di andare a letto le preghiere infatti cambiano: “Gesù per favore, portaci Diego a Napoli, farò il bravo”. Sventurata la terra che ha bisogno di eroi, tuonava Bertolt Brecht, ma a Napoli se ne fregano. L’eroe lo vogliono ardentemente. Ferlaino decide così di rendere felici i milioni di cuori azzurri. 5 luglio dell’84, Maradona viene presentato in un San Paolo che ribolle di passione. Il clima è incandescente, non è il Vesuvio che erutta, deo gratias, ma la gioia incontenibile di un popolo. Alberto ride e piange di gioia, l’idolo di un popolo è li a pochi passi e ben presto siederà appena una fila dietro a lui.
“Buongiorno Diego”. “Ciao Alberto”. In ogni sguardo allo specchietto retrovisore ora sbuca la chioma ben distinta del giocatore più grande di tutti i tempi. Il Napoli ha un asso nella manica per arrivare finalmente sul tetto del calcio Italiano. Diego è dio, ma umano. Sempre cordiale e gentile. Spesso in ritardo. Sono tanti gli aneddoti delle volte in cui Alberto ha dovuto tenere acceso il bus in attesa solo dell’argentino.
Si faceva la conta prima di partire, manca qualcuno? Sì, Diego. Nessuno si permetteva di mostrare fastidio, anzi lo stesso Mister Bianchi esclamava: “Se non arriva lui, Alberto non partire”. Ma Diego non era un privilegiato, era un uomo del popolo. Non era capo, era leader. Un Masaniello proclamato dagli altri, che vale molto di più. Il pullman è preso d’assedio ogni volta dai tanti tifosi azzurri che chiedono un saluto a Diego, accompagnando la squadra in gran numero allo stadio.
Maradona e la giacca dimenticata: ma ci pensa Alberto
“Il Pullman a volte sembrava che camminasse da solo, spinto solo dai tifosi”, ricorda Alberto con gli occhi lucidi. Ci mette pochissimo ad entrare nell’anima di Alberto, di tutta la gente napoletana, di tutta la squadra, Il numero Dieci (scritto maiuscolo non per errore) che ogni giorno affronta i suoi demoni interiori, indossando sempre un sorriso per tutti. Una volta, prima del termine della seconda stagione, Diego dimentica una costosa giacca all’interno del pullman.
Alberto la trova e la costudisce gelosamente, in attesa del ritorno di Diego dopo la sosta del campionato. Nel frattempo Alberto, che con il pullman accompagnava anche altre squadre quando non era al servizio del Napoli, si lascia sfuggire che quella giacca l’aveva dimenticata Diego. Un giocatore di Serie D campana gli propone ben un milione di lire per ottenere quel cimelio che oggi non avrebbe prezzo. Alberto ci pensa per un po’, insomma un milione di lire sono tanti e farebbero comodo, ma non cede alla tentazione.
Qualche settimana più tardi Diego rientra a Napoli e dunque sul bus per l’inizio della nuova stagione. “Ciao Alberto, hai trovato una mia giacca?”. “Si Diego, eccola qui”. “Grazie Alberto”. La giacca torna dal suo legittimo proprietario, nell’anno dello scudetto. Alberto lascerà la guida del bus azzurro proprio qualche mese prima del trionfo. Ha trovato un altro lavoro più redditizio, a tempo indeterminato, e di soli sogni non si può vivere. Lascia la guida del pullman. Lascia Giordano, Bagni, Bruscolotti, Ferrara, Diego, ma non lascia il San Paolo.
Sarà lì a festeggiare il primo scudetto della storia della SSC Napoli, pensando a quanto sarà difficile riuscire ad uscire dallo stadio per l’autista che lo ha sostituito. Restano i ricordi di aver avuto a pochi metri di distanza il sinistro più magico della storia del calcio. Il campione più grande. Restano i ricordi di quelle avventure, delle centinaia di partite alle quali aveva accompagnato la squadra. O come quella sera che andarono tutti insieme a vedere la prima al cinema di “Così parlò Bellavista”.
Resta la riconoscenza di alcuni tifosi in curva B, di quelli che dopo tanti anni ancora lo ricordano come l’autista del Napoli di Diego. Oppure il ricordo di una storica tifosa anziana del Napoli, ormai volata in cielo, che fino a pochi anni fa quando lo vedeva passare al varco dove entra il Pullman al San Paolo gli ricordava dinanzi a suo figlio: “Alberto, sono passati oltre 20 anni, ma nessuno sa fare la manovra per parcheggiare come la facevi tu”.
E quando quel triste giorno Diego ha deciso di lasciarci sono state lacrime pesanti per Alberto. Come se gli avessero portato via una parte di sé. Come se di colpo avessero cancellato gli anni più belli della sua vita. Ma poi ritorna il sorriso a ripensare a quelle magie viste in allenamento, in campo, ai saluti, ai grazie, alle attese ad ogni ritardo, a quel “Hai trovato la mia giacca?”. Perché non può mai morire chi è infinito come Diego.
Testo di Valerio Vitale, redattore storico di F&L, con tanto di dedica al papà Alberto.
Immagine di copertina tratta da lavocealessandrina.
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