5 luglio 1982: Brasile-Italia 2-3, la “Tragédia do Sarriá”
Luglio 5, 2022Il 21 giugno 1997, durante Espanyol-Valencia, Iván Campo, difensore del Valencia, si invola in contropiede verso la porta catalana, realizzando il suo primo e unico gol in campionato. Il cronometro dello Estadi de Sarrià si fermerà per sempre circa venti minuti più tardi. Il futuro difensore di Mallorca e Real Madrid ha siglato l’ultima vana rete, quella del definitivo 3-2 per i padroni di casa dell’Espanyol, nella storia dello stadio. Un risultato non casuale, verrebbe da dire.
Alcuni mesi più tardi, l’odore immasticabile della polvere e dei detriti si mischierà nell’aria a quello di cipolle fritte e pescato del giorno. Oggi, da quello che una volta era il cerchio di centrocampo, si dipanano i percorsi pedonali di un giardino pubblico costruito all’interno di un ricco complesso residenziale.
Solo 15 anni prima, il 5 luglio 1982, alle 17.15 ora locale, al fischio del direttore di gara Avraham Klein, da quel dischetto era stato battuto il calcio d’inizio di una delle partite più belle della storia dei Mondiali. Italia-Brasile 3-2 o, se volete cambiare il punto di vista come nel nostro articolo, Brasile-Italia 2-3. Celebrata e osannata da 40 anni nel nostro Paese. Disprezzata dai torcedores della Seleçao per lo stesso identico motivo. Ovvero, la presunta vittoria del calcio pratico degli italiani su quello spettacolare dei brasiliani.
Il Brasile e il paradigma vittoria-bel gioco che ritorna
Se escludiamo dal computo l’imbattibile Brasile del ’70, entrato nella narrativa dei Mondiali come la più grande squadra di sempre, il rapporto dei brasiliani con la vittoria è sempre stato controverso. Il Brasile ha vinto quando si sentiva sfavorito e aveva rinunciato alla sua magia, come nel 1958, prima di riscoprirla nel corso della competizione attraverso un giovane diciassettenne sconosciuto ai più in Europa.
Ha vinto nel 1962, nonostante l’infortunio di Pelé, per manifesta inferiorità degli avversari, in una delle edizioni più brutte della storia, quella cilena, rinvigorita solo dalle performance di Garrincha e del cecoslovacco Masopust. Prima di questa doppietta, erano arrivate la delusione del 1954 e la tragedia del Maracanaço. Specialmente nel 1950, in casa, il Brasile sentiva di avere la vittoria in tasca.
Nel 1974 i reduci del ’70 trovarono sulla propria strada i fuoriclasse olandesi. Nel 1978 fu la differenza reti a condannare, dopo un discusso Argentina-Perù 6-0, i brasiliani alla finalina per il terzo posto, vinta proprio contro l’Italia anche grazie ad un siluro d’esterno a giro di Nelinho.
In questa edizione, il calciatore più contestato dalla stampa italiana fu, ironia della sorte, Dino Zoff. Il calcio però è capace di ricordarsi dei suoi eroi nel momento del bisogno. E il portierone friulano della Juventus avrebbe trovato, in una nuvola di gesso sollevatasi dalla linea di porta sul colpo di testa di Oscar, la sua immortale consacrazione, quel 5 luglio 1982.
La Seleçao di Santana non avrebbe fatto eccezione. Più forti sono, più rumore fanno quando perdono, parafrasando una vecchia massima. Globo TV inventò, in Spagna, con una spedizione senza precedenti, il genere del giornalismo sportivo alla brasiliana, conquistandosi in patria un monopolio durato decenni. Dopo la sconfitta contro l’Italia, degli oltre 200 inviati, solo il 10% rimase in Spagna. Quel Brasile era uno spettacolo calcistico e mediatico, capace di influenzare voti, politica, carriere. E la sua eliminazione avrebbe avuto ripercussioni di lungo periodo sullo stile di gioco da adottare, proprio come avvenne nel 1950. Ci sarebbero voluti altri 12 anni, per un totale di 24, prima di rivedere il Brasile sul tetto del mondo. E ne sono passati altri 20 dal Penta del 2002, e il tassametro in Qatar potrebbe continuare a correre.
Un Brasile leggendario
Telê Santana da Silva è considerato uno degli allenatori più impattanti nella storia dei Verdeoro. Eppure, secondo molti, ha fallito un obiettivo che sembrava alla portata. I brasiliani erano i favoriti numeri uno in Spagna. Una rassegna iridata in cui l’Argentina campione uscente, con un quasi 22enne Maradona in più al top della forma, la Francia dei “numeri 10” Platini, Giresse, Genghini e compagnia, e la solida Germania Ovest di Rummenigge, erano forse la minaccia più pressante per le velleità di “Tetra” del Brasile.
Un simile ammasso di talento, a quelle latitudini, non si vedeva dal trionfo messicano del 1970. Quella selezione aveva però un Pelé in più. Il centravanti designato della formazione di Santana era invece Sérgio Bernardino, alias Serginho Chulapa, attaccante di manovra, una specie di centroboa pallanuotistico capace di difendere palla, attirando su di sé i centrali avversari, creando lo spazio per l’inserimento dei formidabili centrocampisti offensivi, schierati tutti insieme appassionatamente manco fossimo a Salisburgo.
Zico, indiscutibile asso del Flamengo. Socrates, il Dottore. Toninho Cerezo, piedi e polmoni. Da dietro, in posizione di terzino sinistro “alla Guardiola”, diremmo oggi, un trequartista del calibro di Junior. Tutta gente che avremmo visto con gli occhi lucidi anche in Serie A. A completare la spina dorsale, il portiere paulista Waldir Peres, i centrali Oscar e Luisinho.
Sulla sinistra, un altro fantasista a fare da raccordo a tutta fascia come Éder Aleixo, col suo temibile mancino. A destra, spazio per le sgroppate di Leandro. Un Brasile a trazione offensiva. Privo di un malconcio Batista, mediano titolare nel 1978, e che nell’unico gettone del 1982 aveva trovato il tempo, sostituendo Zico nel minuti finali contro l’Argentina, solo di farsi rifilare un calcione da Maradona, espulso nell’occasione. E che durante le qualificazioni a Spagna ’82 aveva di fatto deciso di fare a meno della classe di due centravanti spaziali come Careca (neppure convocato, ma Santana ci avrebbe ripensato nell’86) e Roberto Dinamite (in panchina nell’82, probabilmente inviso ai senatori dello spogliatoio).
L’Italia, ma del resto anche il Brasile, non aveva certo brillato nei gironi. Entrambe erano venute fuori alla distanza, facendosi trovare pronte all’appuntamento sulla carta più complesso prima della resa dei conti. L’Italia aveva sconfitto 2-1 l’Argentina anche grazie alle carezze di Gentile a Maradona, mentre i brasiliani avevano rifilato ai campioni uscenti un gol in più. Il 5 luglio al Sarrià, la nazionale allenata dal Vecio Bearzot aveva un solo risultato a disposizione per qualificarsi alle semifinali: la vittoria.
Brasile-Italia 2-3: la madre di tutte le partite
Ricorda l’osservatore di Santana, Jairo dos Santos, che il resoconto sull’Italia parlava di una squadra molto difficile da battere. Bruno Conti, ala tornante, era visto come autentico spauracchio dallo staff tecnico. I brasiliani non avevano sottovalutato la coppia d’attacco Graziani-Rossi, ma erano maggiormente preoccupati dagli inserimenti dei centrocampisti. In effetti, Antognoni avrebbe anche segnato il gol della staffa. Prima di vederselo annullare per un inesistente fuorigioco.
Paolo Rossi, dopo due settimane senza vedere la porta in alcun modo, impiegò solo 5 minuti per bucare di testa Waldir Peres su cross di Cabrini.
Il Brasile rispondeva colpo su colpo. Gentile, dopo Maradona, si prendeva cura di Zico. Ma uno spunto meraviglioso del Galinho, che si liberava col tacco del suo marcatore con una specie di Cruijff Turn sulla trequarti, permetteva al fuoriclasse brasiliano di lanciare col contagiri Socrates in profondità, col Dottore che infilava Zoff sul primo palo. Dino si aspettava forse il cross. E chissà quante gliene avrebbero dette in caso di sconfitta. La stampa sembrava non chiedere altro. Un errore in disimpegno di Cerezo consentì a Paolo Rossi di fare doppietta, battendo Peres con un tiro molto complesso da intercettare.
Nel secondo tempo la pressione brasiliana si faceva ancora più insistente. Falcao, ricevuto palla ai 25 metri da Junior, sempre più avanzato nello scacchiere di Santana, approfittò della sovrapposizione di Cerezo per fintare il passaggio e portarsi la palla sul sinistro. Conclusione micidiale del fuoriclasse giallorosso a superare Zoff. E fu il punto del 2-2.
La tragédia si consumò definitivamente solo sei minuti dopo. Al 74′, sul primo calcio d’angolo conquistato dagli Azzurri, Pablito si faceva trovare pronto a cinque metri dalla porta per girare in rete un tentativo di Graziani. Il forcing finale della Seleçao portò Zoff ad esaltarsi sul colpo di testa di Oscar. Una parata che valse praticamente il Mondiale, poco dopo il gol annullato ad Antognoni.
Chiudiamo con la riflessione del mio amico Davide Tuniz, giornalista italo-brasiliano con il quale ho il piacere e l’onere di condividere un percorso di scrittura sul bimestrale di calcio internazionale, Sottoporta Review (qui la sua copertina con intervista a Zico). Parole, le sue, che svelano più di qualsiasi altra cosa le conseguenze di quella sconfitta in Brasile.
Immagine di copertina tratta da Pinterest, Gentile in marcatura stretta su Zico