Fulvio Bernardini, il campione pensante
Luglio 5, 2022Per più di mezzo secolo Fulvio Bernardini ha fatto parte del nostro calcio. Quasi mai in secondo piano, ha attraversato le prime ere di questo sport assistendo ai diversi cambiamenti epocali che le hanno contraddistinte.
Non si è mai piegato. Si è sempre saputo adattare. Forse perché avanti 10 anni rispetto al resto del mondo o forse perché dotato di quell’istinto che i giornali gli imputavano ogni qual volta ne avessero occasione.
Oggi proviamo a raccontarvi la sua carriera da calciatore. Una carriera attraverso la quale ha coltivato il Bernardini allenatore che tutti conosciamo, interpretando in modo magistrale e innovativo il ruolo di centrocampista.
Nei suoi anni ha visto accadere tante cose nel nostro calcio, scrivendo pagine e pagine di storia, mentre le viveva.
Gli inizi con Guido Baccani
Quando Fulvio Bernardini viene notato dai dirigenti dalla Lazio ha appena 12 anni.
Si diletta nel gioco come portiere della squadra giovanile di quartiere, ma in pochissimo tempo si trova catapultato nel mondo dei grandi.
Non ha neanche 14 anni quando, in un momento di emergenza della squadra, viene scelto per giocare una partita del girone eliminatorio del campionato.
È il 1919 e, seppur in vesti di portiere, il calcio italiano si incontra con “Fuffo nostro”.
Appena due anni dopo, la sua carriera accusa il primo scossone. Subisce un durissimo colpo alla testa in un’uscita che gli provoca una vistosa ferita.
Fulvio è il piccolo di casa. La madre e le sorelle maggiori vivono con grande apprensione quell’episodio. Chiedono al mister Guido Baccani di spostare il piccolo Fulvio in un ruolo meno soggetto a pericoli. Il padre, invece, gli proibisce categoricamente di tornare a giocare tra i pali.
Dopo un periodo di battibecchi con la famiglia del giovane giocatore, mister Baccani si lascia convincere e prova in più ruoli il ragazzo romano.
Ancora non sa che sta scrivendo la storia del nostro calcio.
Baccani prova Bernardini in diverse posizioni. Il ragazzo, che pure il mister stesso dimentica avere solo 16 anni, non delude mai.
Da difensore contiene bene e da centroattacco si rivela ottimo realizzatore. Tuttavia, è come centromediano che fa vedere qualcosa di incredibile. Qualcosa che a Roma vedranno spesso nel corso del secolo XX ma che nessuno, più a sud di Bologna, nel 1921, aveva ancora visto.
Baccani è anche selezionatore della Nazionale, nella sua esperienza aveva visto il calcio del Nord: sa riconoscere il talento puro quando gli si presenta davanti agli occhi. Dal campionato successivo, Bernardini sarà titolare inamovibile.
Fulvio Bernardini: a 20 anni già nella storia
L’apice di quei primi anni di carriera lo raggiunge nel 1923. A neanche 18 anni il giovane Fulvio si rende protagonista di una stagione da incorniciare: 21 reti, segnate un po’ in tutti i ruoli, con le quali porta la Lazio a giocare la sua terza Finale nazionale, la prima del dopoguerra. La doppia sfida sarà, purtroppo per i biancocelesti, dominata da un Genoa di molto superiore.
Non è la prima volta che una squadra del Nord domina una finale in questo modo. Il divario tecnico tra le squadre di Nord e Centro-Sud sembra ogni anno più incolmabile. C’è però qualcosa nell’aria.
A fine dicembre del 1924 Bernardini diventa il primo giocatore della Divisione Centro-Sud ad essere convocato per la Nazionale italiana.
Fulvio è incredulo, è l’occasione della vita. Ancora più incredulo sarà quando scoprirà di non potersi presentare. La banca dove lavora è in un periodo frenetico e ha bisogno di tutto il personale, così non gli viene concesso il periodo di permesso.
Per sua fortuna, il selezionatore e suo mister Baccani ci mette lo zampino, e fa sì che il giovane Fulvio venga convocato anche la settimana successiva.
L’esordio Azzurro
“Ho giocato per lui prima che per me stesso. È solo per Baccani che oggi posso scrivere da neoazzurro. Domani mi convinceró della realtà.”
Dal diario di Bernardini, 22/03/1925
Al ritrovo della Nazionale, composta da campioni del calibro di De Pra’, Levratto e il grande Cevenini, mister Baccani è l’unico a conoscere Bernardini, salvo per due giocatori del Bologna che ne ricordano una doppietta segnata contro di loro. Si scoprirà in seguito che da anni Baccani progettava di portare in Nazionale il suo pupillo. Un piano accurato dal quale Fulvio avevo scorto qualcosa in passato, nelle loro numerose uscite al bar.
La concorrenza in Nazionale però è spietata. Il centromediano titolare dell’Italia era tal Burlando, motorino di centrocampo nel Genoa, assente per una brutta frattura a un piede.
Carzino della Sampierderenese e Gastone Baldi del Bologna sono i pari-ruolo da superare nelle gerarchie. Nella partita provino Fuffo gioca molto bene ma il posto da titolare va a Baldi. Per la gara contro l’Ungheria, il giovane Fulvio parte dalla panchina.
L’esordio sarà solo rimandato. La partita con l’Ungheria si rivela un fallimento, 1-2 e lo stadio di Milano che applaude gli avversari. Baldi delude molto. Il centrocampista del Bologna dopo l’incontro si avvicina a Bernardini: “Quando capiterà a te, di giocare, pensa a me e fai il contrario.”.
il mister Augusto Rangone avrebbe voluto mettere Bernardini nell’intervallo, ma Baccani si è messo di mezzo, forse per proteggere il ragazzo.
Fuffo Nostro dovrà aspettare due lunghi mesi, ma nel marzo 1925 viene convocato per la partita casalinga contro la Francia, e mister Rangone lo seleziona nella formazione titolare. Ora il suo talento è sotto gli occhi di tutti.
Fulvio gioca da incanto. La partita finisce 7-0. A fine incontro, un centinaio di tifosi entrano in campo e portano in trionfo il giovane prodigio romano, in lacrime per quanto euforico.
“Prima di giocare il pallone raccoglie negli occhi il quadro della situazione. È istinto, non può essere che istinto.”
Da “La Gazzetta dello Sport”, 23/03/1925
La lettera e la rottura con la Lazio
Per quanto Bernardini viva un momento idilliaco, il mondo del calcio è in continua evoluzione, e i cambiamenti che ne scaturiscono lo influenzeranno in pieno.
Nell’estate del 1925 la Juventus si presenta alla porta di Bernardini con un’offerta importante, ma Fuffo rifiuta in tronco.
Questa scelta non dipende solo dal suo amore per la Lazio, ma anche e soprattutto dal suo diniego al calcio professionistico, da poco legittimato dal regime fascista. Nella giusta ingenuità dei 20 anni, vuole difendere a spada tratta il calcio amatoriale, presente ormai quasi solo al Centro-Sud, in segno di ribellione contro lo strapotere del calcio norditalico.
Al ritrovo con la Lazio Bernardini tiene un lungo discorso, molto emozionato, in cui spiega le sue motivazioni e chiede a tutti i suoi compagni di continuare a giocare gratis, dopo lavoro, come sempre avevano fatto e come lui amava fare.
La squadra reagisce bene e tutti si dicono d’accordo con lui. Per Fulvio è una giornata bellissima.
Passa qualche mese quando nella cassetta di Bernardini compare una lettera. La firma è quella dei suoi compagni: Fraschetti e Nesi.
I due, grandi amici del giovane romano, rivelano una scomoda verità. Da un po’ di tempo a questa parte, quasi tutti i giocatori della Lazio percepiscono uno stipendio. La società ha inoltre imposto a una promessa tutti gli uomini biancocelesti: “Non fatene parola con Fulvio.”.
Per Bernardini è un colpo troppo grosso. Si sente profondamente tradito dalle persone nelle quali aveva riposto la sua massima fiducia. Quelle bugie e quelle omissioni da parte della dirigenza sono come una lama nel petto, il tutto per la paura di una sua partenza.
Il dilettantismo a questo punto non gli interessa più. Vuole solo andare via.
Una visita del dirigente, nonché uno dei fondatori del club, Bitetti non fa che peggiorare la situazione. Finisce di mezzo anche Baccani che, prendendo le parti del ragazzo, viene licenziato per tradimento e il tutto si conclude tra accuse reciproche e interviste scabrose.
“Sono convinto, oggi come allora, che se me ne avessero parlato a tempo mi sarei fatto una ragione delle necessità di vita di parecchi. Non avrei avuto il cuore di fare storie.”
Fulvio Bernardini, 1946
L’Inter, Weisz e la scoperta di Meazza
Quando un emissario dell’Inter si presenta da Bernardini con un’offerta da 50.000 lire annue più l’iscrizione alla Bocconi, il sì del giocatore è immediato.
L’unica condizione che Fulvio chiede è quella di non parlare con la Lazio. Non vuole che la dirigenza che lo ha trattato cosi male si arricchisca da quella situazione.
Con la società se la vedrà lui stesso, accettando di pagare 20.000 lire in cambiali da 1.000.
Fulvio Bernardini arriva al Nord.
Nella metropoli milanese si ambienta abbastanza velocemente. A scuola si crea subito un largo gruppo di amici, non difficile per il ragazzo conosciuto in tutta la Bocconi come “quello dell’Inter”, e al campo di allenamento ritrova molti compagni di Nazionale.
Fa la conoscenza di mister Arpad Weisz, dalla carriera e vita non indifferente, che gli chiede a sorpresa di prepararsi a giocare centroattacco.
Quell’Inter è già coperta nella posizione di centromediano, occupata egregiamente da Giuseppe Giustacchini, ma ha grande bisogno di un realizzatore.
Fulvio accetta, non senza qualche riserva, realizza 10 gol e fa vedere tanto del suo talento nel nuovo impianto di San Siro. Il tridente con Conti e Cevenini verrà ricordato come l’attacco più spettacolare di quelle stagioni. In campionato però non si va oltre il secondo girone.
Alle porte della nuova stagione Fulvio prova a farsi valere. Si presenta da Weisz e chiede di poter giocare a centrocampo. Il tecnico ungherese obbietta di non disporre di validi attaccanti, Fulvio tuttavia si ricorda di un ragazzo che aveva visto più volte nelle giovanili, e lo propone a Weisz.
Altri compagni erano d’accordo, e dopo aver attentamente visionato il 17enne Giuseppe Meazza, Weisz si convince a portarlo in prima squadra. Già dal primo allenamento il ragazzino incanta chiunque andando oltre ogni aspettativa. Ma questa, come direbbe qualcuno di ben più blasonato del sottoscritto, è un’altra storia.
Oltre agli esordi del giovane Meazza, quella stagione non regala grandi successi ai neroazzuri. Bernardini migliora la sua campagna precedente con 17 gol, ma nel Girone Nazionale la squadra fa grande fatica e chiude al settimo posto.
Durante l’estate, a Bernardini viene proposto di giocare nella neonata squadra giallorossa AS Roma, fondata appena un anno prima. L’idea di tornare a casa alletta Fulvio che finito il biennio alla Bocconi in tempo record, accetta di buon grado.
Vittorio Pozzo e i Mondiali saltati
Nel primo campionato in giallorosso, passato ad ambientarsi nella squadra guidata dal capitano Attilio Ferraris, riportato sempre come Ferraris IV, si rende protagonista di una stagione soddisfacente.
La sua seconda stagione sarà la prima della Serie A come la conosciamo oggi. Nel primo campionato a girone unico la Roma si piazza al sesto posto e vince il primo derby della storia contro la Lazio. Partita che molti raccontano come la più sentita dell’anno, soprattutto per Bernardini, e che la Roma porta a casa grazie al gol del bomber Rodolfo Volk.
Nell’estate 1930 Bernardini si presenta come sempre al ritiro della nazionale, dove già da un anno il ritorno in panchina di Vittorio Pozzo ha portato venti di cambiamento.
Il mister chiama Fulvio nel suo ufficio per una chiacchierata. Dall’espressione sul volto di Pozzo si capisce subito che l’aria che tira non è buona.
Bernardini ricorda perfettamente le parole di Pozzo, e altro non possiamo fare se non riportarle in modo fedele.
“Vede Bernardini, lei gioca attualmente in modo superiore. In modo, direi, perfetto. Questa sua particolare situazione porta la squadra dove lei opera all’assurdo di non aver facili collegamenti, perché gli altri non possono arrivare alla concezione che lei ha del gioco.
Dovrei quasi chiederle di giocare meno bene. Sacrificare lei o tutti gli altri? È un problema come mai ne ho avuti nella vita.
Mi dica, cosa farebbe al mio posto?”
Fulvio capisce, è un ragazzo intelligente e sta al passo con i ragionamenti di mister Pozzo, ma in cuor suo la prende molto male.
Riporta queste parole in una lettera a un giornale nazionale che le pubblica su cartaceo, ma Pozzo non pare disturbato dalla cosa.
Questa chiacchierata rappresenterà la fine della sua carriera in Nazionale. Verrà convocato un altro paio di volte ma salterà entrambi i mondiali che videro gli Azzurri vittoriosi.
In futuro Bernardini confesserà di provare ancora rancore per quella scelta, ma di aver capito che, alla fine, la storia ha dato ragione al mister riconosciuto all’unanimità come padre della nostra Nazionale.
Campo Testaccio
“Poi ce sta er torello der Bodini
cor gran Furvio Bernardini
che da’ scola agli argentini”Dal brano “Campo Testaccio”, primo inno della AS Roma.
Con la Roma Bernardini, ormai chiamato da molti “Il Dottore“, essendo ancora raro trovare giocatori laureati, giocherà per ben 11 stagioni. Saprà rendersi protagonista in una squadra che viene ricordata ancora oggi per lo spettacolo offerto nell’impianto di “Campo Testaccio.”
Capienza da quasi 20.000 posti, costruito ispirandosi allo stadio dell’Everton, è uno dei più imponenti dell’epoca. Ogni settimana viene riempito dai tifosi giallorossi che, sebbene nati da poco, si dimostrano tra i più caldi in Italia. L’atmosfera di Campo Testaccio unita a una squadra di grande livello trasformano lo stadio della Roma in un vero e proprio fortino.
Nella stagione 1930/31, per la prima volta la Roma si rende protagonista della lotta Scudetto.
Disputa un campionato incredibile. Un 5-0 contro la Juventus “degli argentini” entra di fatto nella storia del club giallorosso. Con la doppietta e la prestazione di Bernardini che lo faranno entrare negli annali con quei versi a lui dedicati nel brano che i romanisti cantano ancora oggi. Grande realizzatore di quel campionato è il fiumano Rodolfo Volk, che vince la classifica marcatori con 28 reti.
Nelle battute finali del campionato la corsa viene interrotta da un pareggio contro la Lazio, dopo il quale scoppia una sanguinosa rissa sia in campo che sugli spalti dello stadio Flaminio, allora campo dei biancocelesti.
Bernardini viene punito con tre giornate di squalifica e la Roma perde lo smalto nelle ultime partite, riuscendo ad arrivare al secondo posto dietro alla Juventus.
Anche nella stagioni successive la Roma gioca un grande calcio. Tuttavia, tra annate condizionate da infortuni e altre più sfortunate o deludenti non riesce mai a tornare a giocarsi il titolo a Campo Testaccio.
Bernardini diventa insostituibile. Con Ferraris IV a fare il vero e proprio mediano, Fulvio gli sta accanto, aiutandolo a organizzare il gioco ma con un occhio rivolto all’attacco.
Con il suo sinistro segnerà gol bellissimi, che a rivederli oggi fanno quasi impressione da quanto “moderni”, soprattutto considerata la difficoltà nel calciare i palloni dell’epoca.
Nel 1939, dopo 11 anni a servizio della maglia giallorossa e a quasi 34 anni, Fulvio Bernardini lascia la Serie A. Finirà la carriera nella squadra romana del Mater, militante in serie C, dove avrà un ruolo di giocatore-allenatore che lo formerà per la sua nuova carriera.
Immagine di copertina riadattata da Wikipedia, di dominio pubblico